l'Investitore Accorto

Per capire i mercati finanziari e imparare a investire dai grandi maestri

Archivi per il mese di “Maggio, 2007”

Investire: arte, scienza, narrazione

Lo scopo di questo blog è di imparare a investire. Come? Facendo ricorso ai grandi maestri. E come si riconosce un “grande maestro”? Direi dalla bontà dei suoi risultati e/o dal rigore, obiettività e qualità scientifica delle sue indagini. In altre parti di questo blog ho parlato dell’investire come di un’arte. Ora invoco la scienza. Dunque, investire è arte o scienza? Probabilmente, per ora, entrambe le cose e azzardo qui una spiegazione.

Investire sta sempre più diventando anche una scienza, una disciplina razionale e sperimentale in un campo di attività umana complesso e in rapida evoluzione.

Alle ipotesi propriamente testate si accompagnano quelle in fase di dibattito e verifica, ma questo nocciolo di ricerca comunque scientifica, anche se spesso immatura, resta immerso in un universo di saperi artigiani, di intuizioni artistiche e di narrazioni mitologiche.

Districarsi in questo ginepraio non è facile. E forse uno degli scopi che mi propongo con questo blog è proprio cercare, almeno un po’, di separare quello che possiamo dire di sapere – e cioè le provvisorie “verità” della scienza degli investimenti – dalle “storie”, che sono poi spesso affabulazioni interessate e ingannevoli.

Vorrei citare a questo proposito Valuing Wall Street , un bellissimo libro di Andrew Smithers e Stephen Wright, su cui avrò modo di tornare. Smithers e Wright sono due eccellenti analisti ed economisti inglesi, che nel libro spiegano perché e come utilizzare uno strumento di valutazione, la q di Tobin, per evitare i bear market azionari più catastrofici e migliorare i rendimenti di portafoglio nel lungo periodo.

Scrivono dunque Smithers e Wright, in un capitoletto introduttivo titolato “l’economia dei broker” (la traduzione è mia):

“[…] L’economia è una disciplina complessa. Il risultato è che gli economisti hanno difficoltà a uscire dall’incertezza, sono continuamente in disaccordo tra di loro […] Ma c’è una cosa che li dovrebbe unire, e che in effetti li unisce quasi tutti. Ed è il fatto che dovrebbero per lo meno tentare di affrontare le loro questioni in modo scientifico. L’opinione condivisa in merito all’approccio scientifico è che procede 1) formulando ipotesi, 2) sottoponendo le ipotesi all’esame dell’osservazione, e se i dati le smentiscono, 3) rigettando le ipotesi stesse.”

“La disciplina economica è difficile perchè formulare ipotesi semplici che possano essere testate e rigettate in maniera conclusiva, in un mondo complesso, è difficile. Ciononostante, il principio resta.”

“La q di Tobin è in effetti un esempio particolarmente valido di concetto affermatosi grazie al metodo scientifico […] Il contrario è invece vero dell’‘economia dei broker’. Mentre uno scienziato respinge un’ipotesi che si riveli incoerente con i dati, i broker in genere rifiutano quei dati che siano incoerenti con le loro ipotesi.”

“La diversità d’approccio deriva dalle differenti motivazioni. Gli scienziati che rigettano dati in conflitto con le loro ipotesi sono disprezzati e vengono in breve messi al margine […] “L’ipotesi” di un broker è che le azioni sono fantastiche. E qualsiasi broker che rifiuti questa ipotesi si troverà in breve senza lavoro. […] Gli scienziati sono pagati per cercare la verità; i broker, per vendere azioni.”

“I broker possono naturalmente cercare supporto in criteri di valutazione i più vari, ma se l’evidenza risulta in contrasto con ‘l’ipotesi che le azioni sono fantastiche’, farne uso non avrà per il broker alcun senso dal punto di vista commerciale. Per questo motivo, un certo numero di indicatori che vengono regolarmente impiegati dai broker sono in contrasto con l’analisi del valore, in teoria così come in pratica.”

Nel prossimo post, mi propongo di illustrare, con l’aiuto di Smithers & Wright e di un altro grande analista e investitore, John Hussman, un caso particolarmente appariscente e fuorviante di “economia dei broker” in azione: il cosiddetto Fed Model.

Pubblicità

Filosofie d’investimento

Su cosa s’intenda per value investing, e quale sia la sua bontà teorica e pratica avrò modo di scrivere a più riprese, in questo blog, citando spesso un testo fondamentale come Value investing, from Graham to Buffett and beyond di Bruce Greenwald, Judd Kahn, Paul Sonkin e Michael van Biema. Per ora, da questo libro, vorrei trarre spunto per riassumere quali siano le grandi filosofie d’investimento e in cosa consista l’unicità del value investing.

Ho già scritto che la chiarezza nell’approccio di fondo ai mercati è per l’investitore il primo e imprescindibile passo. “Se non sai chi sei, il mercato è un luogo costoso dove scoprirlo,” è l’intramontabile massima scolpita da Adam Smith (uno pseudonimo) nel classico The Money Game . Continua a leggere…

Dall’investimento passivo al value investing

In due post del mese scorso, Cicli di mercato e rendimenti e Value investing o investimento passivo?, riflettevo sulle coordinate di fondo di questo blog, e cioè sui meriti e demeriti delle varie filosofie d’investimento. Investire è infatti, prima di tutto, un’attività intellettuale. Richiede l’elaborazione di un sistema di idee critico, non contraddittorio e operativamente efficace. Insomma, per ogni investitore, la messa a punto di una filosofia d’investimento viene prima di ogni altra cosa. Continua a leggere…

La prima bolla davvero globale

Ho già accennato, nei post Analisi strategica del ciclo e Utili record e utili normalizzati, perché i mercati azionari siano da giudicare sopravvalutati e come lo scoppio della bolla dei titoli TMT, tra il 2000 e il 2002, sia stato seguito dal gonfiarsi di svariate altre bolle nei settori più disparati (immobiliare, private equity, mercati del credito, Cina, etc). Dei boom e dei crolli di mercato, dal 2000 a oggi, si è ovviamente scritto molto, a partire da Euforia irrazionale di Robert Shiller, un libro tempestivo e lungimirante uscito negli Usa a inizio 2000. Vorrei qui soffermarmi su due lavori più recenti, utili per cercare di capire le bolle di oggi e opera di due grandi e saggi investitori: Jeremy Grantham e Marc Faber.

Nella sua Quarterly Letter del mese scorso, Grantham, fondatore del gruppo GMO e uno dei più noti value investor anglo-americani, ci aiuta a definire i termini del problema. Le due “condizioni necessarie” per il formarsi di una bolla, scrive Grantham, sono l’esistenza di fondamentali economici “per lo meno eccellenti, e preferibilmente quasi perfetti”, e un’offerta di liquidità “generosa e a buon mercato.”

Entrambe le condizioni sono presenti, ormai da qualche tempo, a livello globale. E il risultato è stato il diffondersi di “spiriti animali” molto vigorosi, premi per il rischio eccezionalmente bassi, bolle varie che “si rinforzano dovunque l’una con l’altra,” tanto da arrivare a creare la prima bolla davvero globale nella storia dei mercati finanziari.

La conseguenza più rilevante e paradossale della sopravvalutazione di tutte le principali classi d’attivo (azioni, obbligazioni, real estate) è che l’abituale esercizio di previsione dei ritorni attesi a 7 anni, che GMO aggiorna ogni semestre (ipotizzando il raggiungimento, a fine periodo, del fair value) dà, per la prima volta, rendimenti attesi maggiori per la liquidità rispetto a qualsiasi altra combinazione di asset rischiosi. Come nota ironicamente Grantham, chi investe oggi “paga per il privilegio di assumersi dei rischi!”

In attesa dello scoppio della bolla

Le conclusioni sono intrise di realismo. Siccome “ogni bolla è sempre scoppiata,” anche questa lo farà, interessando, vista la sua natura globale e la crescente correlazione di tutti i mercati, “tutti gli asset in un po’ tutti i paesi, con la probabile eccezione delle obbligazioni di alta qualità.” L’aspetto più imprevedibile, come sempre, riguarda la tempistica. E dato che una delle caratteristiche di molte bolle è stata quella di concludersi con una “fase esponenziale” di drammatici rialzi in breve tempo, che forse non ha avuto ancora luogo, è possibile che per gli investitori “prudenti o pessimisti” ci sia ancora da sopportare non poca frustrazione nell’astenersi dal partecipare all’euforia collettiva.

Il consiglio di Grantham è di trascorrere questo tempo analizzando quali siano state le parti dei nostri portafogli a soffrire i colpi più pesanti negli improvvisi ribassi del febbraio scorso e del maggio di un anno fa. Lì si nascondono fragilità che potrebbero non reggere al botto ben più fragoroso con cui si annuncerà lo scoppio della “bolla globale”. Un esempio? Un anno fa i mercati azionari emergenti, in presenza dei fondamentali migliori della loro intera storia, patirono un calo del 25% in tre settimane. “Quale avrebbe potuto essere il ribasso a seguito di cattive notizie?,” si chiede Grantham. “Forse il 50% in tre settimane?”

Strategie in tempi di euforia finanziaria

Alla saggezza di Grantham fa il paio quella di Faber, che nei primi capoversi del capitolo “Nuove ere, manie e bolle” del suo eccellente libro Tomorrow’s Gold, Asia’s age of discovery offre due essenziali consigli “strategici” su come far fronte all’euforia dei mercati. La traduzione che segue è mia:

“[…] E’ importante capire che mentre le recessioni, depressioni e crisi offrono grandi opportunità d’investimento, le manie presentano di solito delle occasioni uniche per vendere. Benché l’ideale per l’investitore sarebbe di partecipare alla mania proprio fino al suo culmine, dato che la fase finale è di solito la più parossistica, dovrebbe risultare ovvio che non sarà mai possibile che tutti gli investitori escano dal mercato esattamente ai massimi. Tuttavia, nel momento in cui una mania prende piede, il punto in cui un investitore decide di vendere non è poi così importante. Non sono infatti al corrente di nessuna mania in cui il mercato non abbia in seguito ceduto tutti i guadagni accumulati negli anni dell’ascesa verso il picco, e anche qualcosa in più.”

Riassumendo, i due consigli “strategici” sono:

a) se siamo in una bolla, dobbiamo pensare a vendere, non a comperare;

b) se siamo in una bolla, “quando” vendere non è poi la domanda migliore. E’ possibilissimo che chi vende veda poi il mercato accelerare al rialzo. Ma non ci dovrebbero essere motivi di rammarico. La domanda giusta è infatti: “Sarò in grado di riacquistare a prezzi più bassi?” E se siamo in una bolla, la risposta è senz’altro sì.

L’accortezza, in questo approccio agli investimenti, è duplice. Si tratta di prestare sempre attenzione alle valutazioni, chiedendosi: “siamo o non siamo in una bolla?” E di operare sempre in un orizzonte di lungo periodo, che abbracci l’intero ciclo dell’economia e dei mercati, chiedendosi: “oltre a cavalcare il bull market, sarò in grado di sopravvivere al bear market?”

Omaggio a Popper V

Concludo questo mio omaggio a Karl Popper con una raccolta di pensieri su temi vari, tra cui il linguaggio, il dovere della chiarezza, la tolleranza, la tradizione e il ruolo della chiesa:

“La lingua è una delle più importanti istituzioni della vita e la sua chiarezza è una condizione essenziale perché essa possa funzionare come mezzo di comunicazione razionale. Il suo uso per la comunicazione di emozioni è molto meno importante, perché possiamo comunicare una grande quantità di emozioni senza dire una parola.” (La società aperta e i suoi nemici)

“La ricerca della verità è possibile soltanto se parliamo chiaramente e semplicemente ed evitiamo tecnicismi e complicazioni non necessari. Dal mio punto di vista, mirare alla semplicità e alla chiarezza è un dovere morale degli intellettuali: la mancanza di chiarezza è un peccato e la pretenziosità un delitto. (Anche la brevità è importante, vista l’esplosione delle pubblicazioni, ma è meno urgente, ed è talora incompatibile con la chiarezza). (Conoscenza oggettiva)

“La tolleranza è necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili: errare è umano, e tutti noi commettiamo continuamente errori. Perdoniamoci dunque l’un l’altro le nostre follie. Questo è il fondamento del diritto naturale.” (Alla ricerca di un mondo migliore)

“Le chiese hanno fatto troppa politica e si sono occupate troppo poco di chi cercava aiuto spirituale.” (Cercatori di verità)

“Si è spesso asserito che il razionalismo si pone in antitesi rispetto a ogni tradizione; ed è vero che il razionalismo si riserva di discutere criticamente ogni tradizione. Ma in ultima analisi il razionalismo stesso poggia sulla tradizione: sulla tradizione del pensiero critico, della libera discussione, del linguaggio semplice e chiaro e della libertà politica.” (Alla ricerca di un mondo migliore)

“Si dovrebbe comprendere chiaramente che possono esservi soltanto due atteggiamenti fondamentali nei confronti della tradizione. L’uno consiste nell’accettarla acriticamente, spesso senza neppure esserne consapevoli. […] L’altra alternativa è rappresentata da un atteggiamento critico, che può risolversi tanto nell’accettazione quanto nel rifiuto, o magari in un compromesso. In ogni caso dobbiamo essere a conoscenza di una certa tradizione, e averla compresa, prima di essere in grado di criticarla […] Ora, non penso che possiamo mai liberarci completamente dai vincoli della tradizione. Il cosiddetto processo di liberazione è in realtà soltanto il passaggio da una tradizione a un’altra. Siamo tuttavia in grado di liberarci dai tabù di una tradizione, e possiamo farlo non solo rifiutandola, ma anche accettandola criticamente. Ci liberiamo da un tabù se vi riflettiamo, e ci domandiamo consapevolmente se dobbiamo accettarlo o rifiutarlo. A questo scopo, dobbiamo innanzitutto avere con chiarezza davanti a noi una certa tradizione, e dobbiamo comprendere, da un punto di vista generale, quali possano esserne la funzione e il senso.” (Congetture e confutazioni)

“Per quanto rispetti la tradizione e sia consapevole della sua importanza, sono nello stesso tempo un seguace quasi ortodosso della non ortodossia: ritengo che l’ortodossia sia la morte della conoscenza, e ciò perché il progredire del sapere dipende interamente dall’esistenza del disaccordo. Certo, il disaccordo può portare allo scontro e anche alla violenza. E tale esito è, penso, profondamente negativo (aborro la violenza). E tuttavia, il disaccordo può anche condurre alla discussione, al ragionamento e alla reciproca critica. E tali cose sono, a mio avviso, di estrema importanza.” (Il mito della cornice)

“Il dato di fatto che la maggior parte delle fonti del nostro sapere poggia su tradizioni mostra che l’ostilità nei confronti della tradizione, l’antitradizionalismo, è privo di qualsiasi significato. Ma questa evidenza non può essere considerata supporto del tradizionalismo; perché nemmeno la più piccola parte del sapere tramandatoci (e perfino del nostro sapere innato) è immune dall’essere verificata criticamente e, eventualmente, eliminata. Ciò nonostante, senza la tradizione la conoscenza sarebbe impossibile.” (Alla ricerca di un mondo migliore)

“Possiamo giudicare la razionalità di un’azione soltanto in rapporto a dei fini.” (Congetture e confutazioni)

“Nell’interesse della pace, sono un avversario del cosiddetto movimento pacifista. Dobbiamo imparare dalle nostre esperienze; e già due volte il movimento pacifista ha contribuito a incoraggiare l’aggressore.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“Non credo nelle leggi storiche, e tantomeno a una legge di progresso. In realtà, sono convinto che ci è molto più facile regredire che progredire.” (Congetture e confutazioni)

“La storia termina con il presente giorno. Noi possiamo imparare da essa; il futuro, tuttavia, non è mai un prolungamento del passato, e nemmeno una sua estrapolazione. Il futuro non esiste ancora; ed esattamente qui sta la nostra grande responsabilità: che noi possiamo influenzare il futuro, che possiamo fare di tutto per renderlo migliore. A questo scopo dobbiamo far uso di tutto quello che abbiamo imparato dal passato; e una cosa molto importante che dovremmo avere imparato è di essere modesti.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“La nostra pedagogia consiste nel riversare sui fanciulli risposte senza che essi abbiano posto domande, e alle domande che pongono non si dà ascolto.” (Il futuro è aperto)

“Noi, per ragioni umanitarie, dobbiamo adoperarci perché nascano solo i bambini desiderati; e questo perché è crudele mettere al mondo un figlio non desiderato, cosa questa che porta tanto spesso alla violenza psicologica e anche fisica”. (Tutta la vita è risolvere problemi)

N.B.: le altre raccolte di pensieri di Popper sono qui: Omaggio a Popper I, Omaggio a Popper II, Omaggio a Popper III, Omaggio a Popper IV.

Omaggio a Popper IV

L’omaggio a Karl Popper prosegue con una serie di pensieri sulla ricerca scientifica e la filosofia:

“Il segreto dell’eccellenza intellettuale è lo spirito di critica, è l’indipendenza intellettuale.” (La società aperta e i suoi nemici)

“Ai nostri giorni nessun uomo dovrebbe essere considerato colto se non ha interesse per la scienza […] Chi non si sforza di acquisire una comprensione di questo movimento si taglia fuori dal più rilevante sviluppo che si è registrato nella storia degli affari umani. Le nostre cosiddette Facoltà di Lettere, fondate sulla teoria che per mezzo di un’educazione letteraria e storica si può introdurre lo studente nella vita spirituale dell’uomo, sono quindi diventate obsolete nella loro forma attuale. Non ci può essere storia dell’uomo che escluda la rievocazione delle sue lotte e conquiste intellettuali; e non ci può essere storia delle idee che escluda la rievocazione delle idee scientifiche. Ma l’educazione letteraria ha anche un aspetto più grave. Non solo essa non riesce a educare lo studente, che spesso poi diventerà un insegnante, alla comprensione del più grande movimento spirituale del proprio tempo, ma spesso non riesce neppure a educarlo all’onestà intellettuale. Soltanto se lo studente fa la diretta esperienza di quanto facile sia errare e di quanto difficile sia fare anche un piccolo progresso nel campo della conoscenza, soltanto in tal caso egli può percepire il significato dei criteri di onestà intellettuale, può giungere al rispetto della verità e al disprezzo dell’autorità e della presunzione. Ma nulla è più necessario della diffusione di queste modeste virtù intellettuali. ‘La capacità mentale – scrisse T. H. Huxley in A Liberal Education – che risulterà della massima importanza nella vostra vita sarà la capacità di vedere le cose come sono senza riguardo per l’autorità…Ma nella scuola e all’università voi non conoscerete altra fonte di verità che l’autorità.’ Riconosco che, disgraziatamente, questo è vero anche di molti corsi scientifici, che da alcuni insegnanti sono ancora trattati come se la scienza fosse un ‘corpo di conoscenze’, per usare una vecchia espressione. Ma questa idea, almeno lo spero, finirà un giorno con lo sparire; infatti la scienza può essere insegnata come un’affascinante parte della storia umana, come un insieme, in rapido sviluppo di audaci ipotesi controllate dall’esperimento e dalla critica. Insegnata in questo modo, come parte della ‘filosofia naturale’ e della storia dei problemi e delle idee, essa può diventare la base di una nuova educazione universitaria liberale; di un’educazione il cui scopo, quando non può produrre degli esperti, sia quello di produrre almeno uomini che sappiano distinguere fra un ciarlatano e un esperto. Questo obiettivo modesto e liberale trascenderà di gran lunga tutto ciò che oggigiorno le nostre Facoltà di Lettere riescono a realizzare.” (La società aperta e i suoi nemici)

“La scienza comincia con problemi e finisce con problemi.” (La ricerca non ha fine)

“La teoria di Einstein ha demolito l’autorità di quella di Newton, e con questa qualcosa di importanza anche maggiore – l’autoritarismo nella scienza. Coloro che appartengono alla mia generazione ricorderanno probabilmente i giorni in cui la religione secolare della scienza pretendeva un’autorità totale. Si riconosceva il ruolo giocato dalle ipotesi, ma lo si considerava euristico e transitorio: si riteneva la scienza un corpo di conoscenze. Non consisteva di ipotesi, ma di teorie provate – teorie provate come quella di Newton. […] L’epoca della scienza autoritaria è stata superata, penso per sempre, grazie alla rivoluzione di Einstein. […] Einstein fu chiaro fin dall’inizio riguardo alla natura essenzialmente congetturale delle sue teorie.” (Il mito della cornice)

“Il movente principale dell’evoluzione e del progresso è la varietà del materiale da sottoporre a selezione. Per quel che riguarda l’evoluzione umana, è la ‘libertà di essere anche eccentrico, e diverso dagli altri’ , ‘di dissentire dalla maggioranza e di seguire la propria strada’. Il controllo olistico, cioè il livellamento non dei diritti umani, ma delle menti umane, significherebbe la fine del progresso.” (Miseria dello storicismo)

“Il nostro interesse principale in scienza e in filosofia è, o dovrebbe essere, la ricerca della verità, mediante audaci congetture, e la ricerca critica di ciò che è falso nelle nostre varie teorie rivali.” (Conoscenza oggettiva)

“Una delle cose che possono capitare a un filosofo, e che questi può sicuramente annoverare fra le sue più alte conquiste, è di scorgere un enigma, un problema, o un paradosso, non precedentemente rilevato da alcun altro. E’ questo un evento ancor più importante della risoluzione dell’enigma. Il filosofo che per primo scorge e comprende un nuovo problema scuote la nostra pigrizia e il nostro compiacimento. Egli fa per noi ciò che Hume fece per Kant: ci risveglia dal ‘sonno dogmatico’ e apre davanti a noi un nuovo orizzonte.” (Congetture e confutazioni)

“Una rivoluzione scientifica, per quanto radicale, non può rompere del tutto con la tradizione, perché deve proteggere la validità delle teorie precedenti. Ecco perché le rivoluzioni scientifiche sono razionali.” (La razionalità delle rivoluzioni scientifiche)

N.B.: le altre raccolte di pensieri di Popper sono qui: Omaggio a Popper IOmaggio a Popper IIOmaggio a Popper IIIOmaggio a Popper V.

Omaggio a Popper III

Continuo questo mio omaggio a Karl Popper con qualche altro suo pensiero sui temi della libertà, della politica e della democrazia. Si tratta di lezioni preziose per chiunque ma in particolare per noi italiani che viviamo in un sistema politico così confuso e fragile.

“Lo stato è un male necessario. I suoi poteri non dovrebbero essere accresciuti oltre il necessario. Si potrebbe chiamare questo principio il ‘rasoio liberale’ (sulla scorta del rasoio di Ockham, del celebre principio cioè secondo il quale gli enti metafisici non devono essere moltiplicati più del necessario).” (La ricerca di un mondo migliore)

“Un democratico è in effetti un anarchico il quale ha capito che l’anarchismo totale, cioè l’assenza di uno stato organizzato è poco pratico, specialmente in un’epoca nucleare come la nostra. Un democratico è un anarchico il quale si allontana dal concetto totale di anarchia quel tanto che basta a evitare una tirannia generale o un generale caos.” (Cercatori di verità)

“Per democrazia non intendo affatto qualcosa di vago come ‘il governo del popolo’ o ‘il governo della maggioranza’, ma un insieme di istituzioni (e fra esse specialmente le elezioni generali, cioè il diritto del popolo di licenziare il governo) che permettano il controllo pubblico dei governanti e il loro licenziamento da parte dei governati e che consentano ai governati di ottenere riforme senza ricorrere alla violenza e anche contro la volontà dei governanti.” (La società aperta e i suoi nemici)

“La democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. E’ questa la sua caratteristica essenziale. Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia.” (Cattiva maestra televisione)

“Noi non siamo democratici perché la maggioranza ha sempre ragione, bensì perché le istituzioni democratiche, quand’esse affondino le radici in tradizioni democratiche, sono di gran lunga le più innocue che conosciamo. Quando la maggioranza (la ‘pubblica opinione’) decide a favore della dittatura, un democratico non deve per questo abbandonare le proprie convinzioni; ma diverrà consapevole del fatto che nel suo paese la tradizione democratica non era abbastanza forte.” (Alla ricerca di un mondo migliore)

“Le democrazie non sono governi del popolo, bensì prima di ogni altra cosa istituzioni attrezzate contro una dittatura. Non permettono nessun governo di tipo dittatoriale, nessuna accumulazione di potere, tentano piuttosto di limitare il potere dello Stato.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“Ogni dittatura è immorale […] La dittatura è moralmente cattiva perché condanna i cittadini a collaborare con il male contro la loro migliore scienza e coscienza, contro la loro convinzione morale, almeno con il loro silenzio. Essa toglie all’uomo la responsabilità umana; e, privo di responsabilità, l’uomo è soltanto un mezzo uomo, un centesimo di uomo.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“Se riconosciamo all’intolleranza il diritto d’essere tollerata, allora noi distruggiamo la tolleranza e lo stato di diritto. Fu questo il destino della Repubblica di Weimar.” (Alla ricerca di un mondo migliore)

“Le nostre burocrazie sono ‘antidemocratiche’ (almeno per come io intendo il senso della parola). Nel loro interno ci sono innumerevoli dittatori tascabili occidentali che praticamente non vengono mai richiamati alla loro responsabilità per le loro azioni e omissioni”. (Tutta la vita è risolvere problemi)

“Gli uomini sono inclini a venerare il potere. Ma non c’è dubbio che il culto del potere è uno dei peggiori generi di idolatrie umane, un relitto del tempo della gabbia, della servitù umana. Il culto del potere è figlio della paura, emozione che è giustamente disprezzata.” (La società aperta e i suoi nemici)

“E’ tempo ormai che ci si renda conto che la domanda ‘Chi deve esercitare il potere nello stato?’ importa ben poco rispetto alle domande ‘Come è esercitato il potere?’, e ‘Quanto è il potere esercitato?’ Dobbiamo renderci conto che, in sostanza, tutti i problemi politici sono problemi istituzionali, problemi di struttura legale piuttosto che di persone, e che il progresso verso una maggiore uguaglianza può essere salvaguardato soltanto mediante il controllo istituzionale del potere” (La società aperta e i suoi nemici)

“Liberalismo e intervento statale non sono tra loro in antitesi. Al contrario, qualsiasi genere di libertà è chiaramente impossibile se non è garantito dallo stato. Una certa quantità di controllo statale dell’educazione, per esempio, è necessaria, se i giovani devono essere protetti da una trascuratezza che li renderebbe incapaci di difendere la libertà e se lo stato deve provvedere a che tutte le attrezzature educative siano a disposizione di tutti. Ma un eccessivo controllo statale in campo educativo è un fatale pericolo per la libertà, dato che porta fatalmente all’indottrinamento. L’importante e difficile questione delle limitazioni della libertà non può essere risolta da una formula rigida e sbrigativa. E il fatto che ci saranno sempre dei casi dubbi dev’essere considerato positivamente, perché senza lo stimolo di problemi politici e di contrasti politici di questo genere, la disponibilità dei cittadini a battersi per la loro libertà scomparirebbe ben presto e, con essa, la libertà. (Visto in questa luce, il preteso contrasto tra libertà e sicurezza, cioè una sicurezza garantita dallo stato, non è che una chimera. Infatti, non c’è libertà se non è garantita dallo stato; e, inversamente, solo uno stato che è controllato da cittadini liberi può offrire loro una qualche ragionevole sicurezza).” (La società aperta e i suoi nemici)

“Non scegliamo la libertà politica perché ci promette questo o quello. La scegliamo perché rende possibile l’unica forma di convivenza umana degna dell’uomo; l’unica forma in cui possiamo essere pienamente responsabili di noi stessi.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“Senza il libero scambio di pensieri non può esserci vera libertà di pensiero. Abbiamo bisogno degli altri per mettere alla prova su di loro i nostri pensieri; per scoprire se sono validi. La discussione critica è il fondamento del libero pensiero del singolo individuo. Ma ciò significa che senza la libertà politica la libertà di pensiero è impossibile. E significa, inoltre, che la libertà politica è una condizione preliminare del libero uso della ragione di ogni individuo.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“La libertà distrugge se stessa se è illimitata. La libertà illimitata significa che un uomo forte è libero di tiranneggiare un debole e di privarlo della sua libertà. Questa è la ragione per cui chiediamo che lo stato limiti in qualche misura la libertà, in modo che la libertà di ciascuno risulti protetta dalla legge. Nessuno deve essere alla mercé di altri ma a tutti si deve riconoscere il diritto di essere protetti dallo Stato.” (La società aperta e i suoi nemici)

“E’ chiaro che l’idea di un mercato libero è paradossale. Se lo stato non interferisce, possono in tal caso interferire altre organizzazioni semi-politiche come monopoli, trust, sindacati, etc., riducendo a una finzione la libertà del mercato. D’altra parte, è molto importante rendersi conto del fatto che, senza un mercato libero accuratamente protetto, l’intero sistema economico deve cessare di servire all’unico suo fine razionale, che è quello di soddisfare le richieste del consumatore. Se il consumatore non può scegliere; se deve prendere quello che il produttore gli offre; se il produttore, sia esso un produttore privato o lo stato o un’agenzia commerciale, è padrone del mercato invece del consumatore, viene a determinarsi una situazione per cui, in ultima analisi, il consumatore svolge la funzione di fornire denaro e di assorbire scarti per conto del produttore, e non è invece il produttore a soddisfare i bisogni e i desideri del consumatore. Qui ci troviamo evidentemente di fronte a un importante problema di ingegneria sociale: il mercato deve essere controllato, ma in modo tale che il controllo non impedisca la libera scelta del consumatore e non faccia venir meno per i produttori la necessità di competere a vantaggio del consumatore. La ‘pianificazione’ economica che non pianifica per la libertà economica in questo senso ci spingerà pericolosamente verso sbocchi totalitari.” (La società aperta e i suoi nemici)

“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi.” (Cattiva maestra televisione)

“Il principio dello stato nazionale, vale a dire la pretesa politica che il territorio di ogni stato debba coincidere con il territorio abitato da una nazione, non è affatto così evidente di per sé come sembra credere molta gente. Anche se si sapesse esattamente che cosa si intende dire quando si parla di nazionalità, non risulterebbe tuttavia affatto chiaro perché la nazionalità debba essere considerata come una fondamentale categoria politica, più importante per esempio della religione, o della nascita nell’ambito di una data regione geografica, o della lealtà a una dinastia, o di un credo politico come la democrazia […]. Nessuna delle teorie che sostengono che una nazione è unita da un’origine comune, o da un linguaggio comune, o da una storia comune, è accettabile o applicabile in pratica. Il principio dello stato nazionale non è solo inapplicabile, ma non è stato mai neppure chiaramente concepito. Esso è un mito; è un sogno irrazionale, romantico e utopistico, un sogno del naturalismo e del collettivismo tribale.” (La società aperta e i suoi nemici)

L’opinione pubblica, quale che sia la sua natura, è assai potente. Essa può cambiare i governi, anche quelli non democratici. I liberali dovrebbero guardare con un certo sospetto a un qualsiasi potere del genere. A causa della sua anonimità, l’opinione pubblica è una forma di potere non responsabile, e dunque assai pericolosa da un punto di vista liberale […]. Il rimedio, in un’unica direzione, è ovvio: riducendo al minimo il potere dello stato, si ridurrà anche il pericolo dell’influenza dell’opinione pubblica, esercitato attraverso la mediazione dello stato. Ma ciò non garantisce l’autonomia del comportamento e del pensiero dell’individuo dalla pressione diretta dell’opinione pubblica. Per ciò l’individuo necessita dell’efficace protezione dello Stato.” (Congetture e confutazioni)

“In politica e in medicina, chi promette troppo non può essere altro che un ciarlatano. Noi dobbiamo cercare di migliorare le cose, ma dobbiamo sbarazzarci della idea di una pietra filosofale, di una formula che converta senz’altro la nostra corrotta società umana in puro oro perenne.” (La società aperta e i suoi nemici)

“Se dovessi dare una semplice formula o ricetta per distinguere fra quelli che considero piani di riforma sociale ammissibili e gli inammissibili progetti utopici, direi: agisci per l’eliminazione dei mali concreti piuttosto che per realizzare dei beni astratti. Non mirare a realizzare la felicità con mezzi politici. Tendi piuttosto a eliminare le miserie concrete. […] In breve, sostengo che il problema più urgente di una politica razionale è rappresentato dalla miseria umana, mentre la questione della felicità non va posta sullo stesso piano. L’attingimento della felicità dovrebbe essere lasciato agli sforzi dei singoli.” (Congetture e confutazioni)

“Fra tutti gli ideali politici, quello di rendere la gente felice è forse il più pericoloso. Esso porta invariabilmente al tentativo di imporre agli altri la nostra scala di valori ‘superiori’, per far sì che si rendano conto di ciò che a noi sembra della massima importanza per la loro felicità, al fine, per così dire, di salvare le loro anime. Esso porta all’utopismo e al romanticismo. Noi tutti siamo certi che ognuno sarebbe felice nella bella e perfetta comunità dei nostri sogni. E, senza dubbio, ci sarebbe il cielo in terra se potessimo amarci reciprocamente. Ma […] il tentativo di realizzare il cielo in terra porta invariabilmente al disastro. Porta all’intolleranza, porta alle guerre di religione e alla pretesa di salvare le anime per mezzo dell’inquisizione e si fonda, a mio giudizio, su un totale fraintendimento dei nostri doveri. E’ nostro dovere aiutare quelli che hanno bisogno del nostro aiuto; ma non può essere nostro dovere rendere gli altri felici, perché ciò non dipende da noi e perché troppo spesso ciò significherebbe intrusione. […] La pena, la sofferenza, l’ingiustizia e la loro prevenzione, questi sono gli eterni problemi di politica pubblica, gli ‘agenda’ della politica pubblica (come avrebbe detto Bentham). I valore ‘superiori’ dovrebbero essere in larghissima misura considerati come ‘non-agenda’ e dovrebbero rientrare nell’ambito del laissez-faire. Quindi possiamo dire: aiutate i vostri nemici, assistete quanti sono in difficoltà, anche se vi odiano, ma amate soltanto i vostri amici.” (La società aperta e i suoi nemici)

“Il metodo scientifico nella politica significa che alla grande arte con cui ci autopersuadiamo di non avere fatto sbagli – o facciamo finta di non vederli, o li nascondiamo, o ne diamo la colpa ad altri – sostituiamo l’altra assai più grande di accettare la responsabilità dei nostri sbagli, di cercare di trarne una lezione e di mettere in atto le conoscenze così acquisite in modo da evitare gli stessi sbagli in avvenire.” (Miseria dello storicismo)

“La libertà è più importante dell’uguaglianza; […] il tentativo di attuare l’uguaglianza è di pregiudizio alla libertà; e […] se va perduta la libertà, tra non liberi non c’è nemmeno uguaglianza.” (La ricerca non ha fine)

“L’autoritarismo è per sua natura destinato a scoraggiare la critica e, quindi, il dittatore buono non verrà facilmente a conoscenza delle lamentele suscitate dalle misure che ha preso. Ma, senza siffatta verifica, egli non può sapere se le sue misure conseguono il desiderato fine buono. La situazione diventa necessariamente ancora peggiore per l’ingegnere utopico. La ricostruzione della società è una grossa impresa che deve determinare considerevoli incomodi a molti e per un considerevole periodo di tempo. Quindi, l’ingegnere utopico dovrà mostrarsi sordo a molte lamentele; in realtà, sarà parte del suo compito la soppressione di irragionevoli obiezioni. (Egli dirà, come Lenin: ‘Non si può fare una frittata senza rompere le uova’). Ma, insieme con esse, egli finirà invariabilmente col sopprimere anche le critiche ragionevoli.” (La società aperta e i suoi nemici)

N.B.: le altre raccolte di pensieri di Popper sono qui: Omaggio a Popper IOmaggio a Popper II, Omaggio a Popper IVOmaggio a Popper V.

Omaggio a Popper II

Vorrei proseguire questo omaggio a Karl Popper presentando una raccolta di suoi pensieri, che sono andato annotando nel corso degli anni. E’ una sollecitazione a tornare più spesso a leggere le opere di uno dei grandi maestri della cultura europea. Questo primo gruppo tocca i temi della razionalità, del dovere della critica, dell’individualismo e del passaggio alla società aperta.

“Come uno degli ultimi seguaci rimasti del Razionalismo e dell’Illuminismo, io credo all’autoemancipazione dell’uomo per mezzo della conoscenza.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“Un razionalista è semplicemente una persona a cui importa più di imparare che di avere ragione; che è pronto a imparare da altri, non semplicemente accettando l’opinione degli altri, ma piuttosto lasciando volentieri criticare le proprie idee da altri e criticando volentieri le idee altrui.” (Tutta la vita è risolvere problemi)

“Sono un razionalista e credo alla verità e alla ragione. E non significa che io credo all’onnipotenza della ragione umana. Un razionalista non è affatto, come asseriscono molti dei nostri oppositori antirazionalisti, un individuo che vorrebbe fare degli altri puri esseri razionali. Questo sarebbe sì estremamente irragionevole. Ogni uomo ragionevole, e perciò, spero, anche un razionalista, sa molto bene che la ragione può rivestire solo un ruolo ben modesto nella vita umana. E’ il ruolo della riflessione critica, della discussione critica. Ciò che intendo parlando di ragione e di razionalismo, non è altro che la convinzione che si possa imparare dalla critica – dalla discussione critica con gli altri e dall’autocritica.” (Alla ricerca di un mondo migliore)

“Un razionalista, nel senso in cui io uso il termine, è una persona che cerca di giungere alle risoluzioni mediante la discussione e, magari, in determinati casi, ricorrendo al compromesso, piuttosto che mediante la violenza. Egli, cioè, preferirebbe fallire nel convincere l’altro attraverso la discussione, piuttosto che riuscirvi ricorrendo alla forza, all’intimidazione, alle minacce, o anche alla propaganda persuasiva.” (Congetture e confutazioni)

“Il vero razionalista sarà sempre consapevole di quanto poco sa, e del semplice fatto che, qualsiasi facoltà critica o ragione possegga, egli ne è debitore ai rapporti intellettuali con gli altri. Sarà dunque portato a giudicare gli uomini fondamentalmente uguali, e a vedere nella ragione umana un legame che li unisce. La ragione per lui è esattamente il contrario di uno strumento di potere e di violenza: egli vede in essa un mezzo con cui sottomettere il potere e la violenza. (Congetture e confutazioni)

“Fa parte della grande tradizione del razionalismo occidentale combattere le nostre battaglie con le parole invece che con le spade. E’ questa la ragione per cui la civiltà occidentale è una società essenzialmente pluralistica, mentre fini sociali monolitici significherebbero la morte della libertà: della libertà di pensiero, della libera ricerca della verità e, con essa, della razionalità e della dignità dell’uomo.” (La società aperta e i suoi nemici)

“L’individualismo, unito con l’altruismo, è diventato la base della nostra civiltà occidentale. Esso è la dottrina centrale del Cristianesimo (‘ama il prossimo tuo’, dice la Scrittura, non ‘ama la tua tribù’) ed è il nucleo vivo di tutte le dottrine etiche che sono scaturite dalla nostra civiltà e l’hanno alimentata. Esso è anche, per esempio, la dottrina etica centrale di Kant (‘devi sempre riconoscere che gli individui umani sono fini e che non devi mai usarli come meri mezzi ai tuoi fini’). Non c’è alcun altro pensiero che abbia avuto tanta influenza nello sviluppo morale dell’uomo.” (La società aperta e i suoi nemici)

“L’invenzione del metodo critico non sarebbe stata possibile senza lo scontro tra culture”. (Il mito della cornice)

“Facciamo progressi perché (e soltanto se) siamo disposti a imparare dai nostri sbagli, ossia a riconoscere i nostri errori e, invece d’insistere in essi dogmaticamente, a utilizzarli con giudizio critico” (Miseria dello storicismo)

“Gli organismi evolvono per prove ed errori, e i loro tentativi sbagliati – le loro mutazioni sbagliate – vengono eliminati, in genere, attraverso l’eliminazione dell’organismo che è ‘portatore’ dell’errore. E’ una componente della mia epistemologia che, nell’uomo, attraverso l’evoluzione di un linguaggio descrittivo e argomentativo, le forme di tale processo siano radicalmente cambiate. L’uomo ha raggiunto la possibilità di adottare un atteggiamento critico nei confronti dei propri tentativi provvisori, delle proprie teorie. Tali teorie non fanno più parte del suo organismo o del suo sistema genetico. Le si può esporre in libri e giornali. Ed è possibile discuterle criticamente e dimostrarle sbagliate senza uccidere gli autori o bruciare i libri – senza distruggere i ‘portatori’. In questo modo, giungiamo a una nuova fondamentale possibilità: i nostri tentativi, le nostre ipotesi provvisorie, possono essere eliminati criticamente dalla discussione razionale, senza eliminare noi stessi. […] Se si instaurasse il metodo della discussione critica e razionale, allora l’uso della violenza diventerebbe obsoleto. La ragione critica è infatti la sola alternativa alla violenza fino ad ora scoperta. E’ un dovere scontato di tutti gli intellettuali lavorare per questa rivoluzione, per la sostituzione della funzione eliminatoria della violenza con la funzione eliminatoria della critica razionale.” (Il mito della cornice)

“Considero l’approccio critico come un dovere. Ogni altro atteggiamento è megalomane e irresponsabile, anche se ispirato dalle migliori intenzioni.” (Miseria dello storicismo)

“I Greci per noi dettero inizio a quella grande rivoluzione che, a quanto pare, è ancora ai suoi inizi: il passaggio dalla società chiusa alla società aperta. […] La nascita della stessa filosofia può essere interpretata, a mio avviso, come una risposta alla dissoluzione della società chiusa e delle sue credenze magiche. Essa è il tentativo di sostituire una fede razionale alla perduta fede magica; essa modifica la tradizione di tramandare una teoria o un mito fondando una nuova tradizione: la tradizione cioè di sfidare le teorie e i miti e di discuterli criticamente.” (La società aperta e i suoi nemici)

“Noi possiamo ritornare allo stato ferino. Ma se vogliamo restare umani, ebbene, allora, c’è una strada sola da percorrere: la via che porta alla società aperta. Noi dobbiamo procedere verso l’ignoto, l’incertezza e l’insicurezza, usando quel po’ di ragione che abbiamo per realizzare nella migliore maniera possibile entrambi questi fini: la sicurezza e la libertà.” (La società aperta e i suoi nemici)

N.B.: le altre raccolte di pensieri di Popper sono qui: Omaggio a Popper IOmaggio a Popper IIIOmaggio a Popper IV, Omaggio a Popper V.

Omaggio a Popper I

Si è svolto i giorni scorsi a Milano un convegno dal titolo “Economia e Società Aperta”, organizzato dall’Università Bocconi e dal Corriere della Sera. E’ un evento che mi rallegra e che spero porti frutti, rivelandosi un momento di discontinuità per il nostro paese. Di discontinuità abbiamo infatti bisogno. E in poche parole cercherò di spiegarmi. “Società aperta” fa riferimento all’opera più famosa di Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, pubblicata nel 1945. Penso ci siano almeno due buoni motivi per considerare Popper uno dei grandi maestri del pensiero europeo.

1) E’ stato forse il più importante filosofo della scienza del ventesimo secolo. Ci ha insegnato a capire – e a praticare – un metodo sviluppatosi in Europa e diventato la più evoluta forma di pensiero umano finalizzato alla “ricerca della verità”.

2) Scrivendo nel 1945, Popper rifletteva su tre decenni di crisi quasi esiziale per i popoli e la civiltà europea, travolti dall’irrazionalismo nichilista e criminale di nazismo e fascismo e dalle false promesse, congiunte a una “realtà crudele”, del marxismo-leninismo in versione staliniana. Continua a leggere…

Analisi strategica del ciclo II

Il mio precedente post, Analisi strategica del ciclo I, si può riassumere in poche idee: a) Ai fini di una profittevole gestione del portafoglio, l’esame assiduo e minuzioso del ciclo economico è, per l’investitore accorto, una tentazione da respingere. b) Può essere utile, invece, un’analisi strategica che sia esclusivamente mirata a individuare i grandi punti di svolta segnati dall’approssimarsi di una recessione, un evento relativamente raro (verificatosi, ad esempio, solo nove volte negli Stati Uniti dal dopoguerra a oggi). c) Nel riconoscere per tempo una recessione, l’investitore accorto sa di non poter far conto né sul mercato né sulle forze che più lo condizionano, come banche centrali, governi, consenso dei grandi operatori e analisti.

Si tratta di “giocatori” che hanno in genere l’interesse a posporre, per quanto possibile, questa sgradevole ma inevitabile fase della vita economica, di solito negandola (spesso anche a se stessi). Oppure che, anche quando la considerino imminente e ineluttabile, si guardano bene dal dirlo, per non vedersene attribuita la responsabilità (penso, in questo caso, alle banche centrali). L’opera di rimozione è resa facile dal fatto che le recessioni si materializzano alla fine di un ciclo espansivo, quando l’ottimismo prevale e il successo arride, momentaneamente, a chi più ha rischiato.

d) L’investitore accorto deve quindi usare la sua testa, e fare ricorso ai buoni consigli di una minoranza di analisti, di comprovata perspicacia, e fuori dal coro.

Proverò adesso a calare questa griglia di idee, piuttosto vaghe e di largo respiro, nella realtà di oggi.

Analisi del ciclo attuale

I mercati azionari sono in una fase “toro”, senza correzioni significative, da oltre quattro anni – una delle espansioni più lunghe del dopoguerra. Hanno superato indenni anche il primo biennio del ciclo presidenziale Usa (2005-2006), tipicamente caratterizzato da una certa debolezza delle Borse (e il ciclo presidenziale è stato sinora uno degli strumenti più affidabili di analisi ciclica del mercato).

E’ vero che si lasciavano alle spalle i ribassi particolarmente pronunciati del bear market del 2000-2002. Ma è altrettanto vero che, nel punto di massima inflessione – nell’ottobre del 2002 negli Usa, e nel marzo del 2003 in Europa – non avevano ancora raggiunto livelli valutativi in linea con la media storica.

L’attuale rally, cioè, è partito da uno stato di sopravvalutazione e si sta spingendo verso una condizione di bolla paragonabile al 2000 (anche se all’impazzimento per i titoli TMT si sono oggi sostituite manie più sofisticate e/o esotiche come il private equity, i credit derivatives, e la Cina).

L’ultima recessione, negli Usa, è di 6 anni fa. Fu blanda e di corto respiro grazie all’imponente reazione della Federal Reserve, che portò i tassi addirittura all’1%, e all’aggressivo uso della leva fiscale da parte dell’amministrazione Bush, che partendo da una virtuosa condizione di surplus ha fatto sprofondare il bilancio federale in un pesante deficit.

Quella breve recessione accadeva poi a 11 anni dalla recessione precedente del 1990: uno iato di una durata senza precedenti, e reso possibile dalle politiche troppo espansive della Fed e dall’euforia “millenaristica” per la new economy, che travolse gli americani – e non solo – in prossimità dell’anno 2000.

Un quindicennio di crescita drogata ha lasciato gli Usa, il cuore del sistema globale, male attrezzati per il futuro: un enorme deficit commerciale, un grande deficit di bilancio, famiglie molto indebitate e tassi di risparmio negativi, un dollaro in balia delle decisioni d’investimento delle banche centrali asiatiche.

Non è una battuta osservare, come hanno fatto già in molti, che se gli Usa non fossero gli Usa, il Fondo Monetario Internazionale sarebbe già da tempo intervenuto con le sue amare ricette per cercare di porre rimedio a un tale strutturale dissesto.

Le osservazioni che ho fatto sin qui non sono le uniche possibili. In positivo si potrebbe parlare, a livello micro, della migliorata governance delle aziende, e, a livello macro, del fenomenale sviluppo dei paesi emergenti. E di altro ancora.

Ma soffermarsi a considerare, in un periodo di diffuso ottimismo, la fragilità del cuore del sistema e lo stato di sopravvalutazione dei mercati è forse la premessa essenziale, per l’investitore accorto che si cimenti in un’analisi strategica della congiuntura.

Squilibri strutturali e rischi di recessione

Siamo dunque a un punto del ciclo in cui è giusto chiedersi se, anziché la vigorosa spinta alla ripresa e alla crescita, non possano essere gli squilibri sottostanti a cominciare a dettare il passo dei mercati. Per l’investitore accorto, insomma, è arrivato il tempo della circospezione.

Un rapido giro d’orizzonte rivela che l’economia Usa è entrata, da alcuni trimestri, in una fase di rallentamento ma che il ciclo globale resta vigoroso (sin troppo, in paesi come la Cina).

L’opinione diffusa è che i problemi americani siano limitati al mercato immobiliare, e che la pausa, come è abbastanza comune a metà del ciclo e come già accadde nella fase centrale della scorsa decade, evolverà verso una rinnovata espansione, probabilmente già dal prossimo semestre.

Sarà. Ma alcuni dei miei economisti preferiti (non tutti, a dire il vero) non sono d’accordo. Penso, ad esempio, a Paul Kasriel di Northern Trust e Van Hoisington e Lacy Hunt di Hoisington Management , le cui analisi dell’economia Usa leggo sempre con viva attenzione.

L’ultimo “Quarterly Review and Outlook” di Hoisington & Hunt, in particolare, offre, in 5 pagine e 5 brevi ma puntuali capitoli, un’eccellente sintesi dei motivi che, a giudizio degli autori, stanno spingendo gli Usa verso la recessione. Provo a riassumerli.

1) La politica monetaria è restrittiva e l’andamento degli aggregati monetari ne è prova. Bisogna poi tener conto del fatto che, a causa dei lunghi ritardi con cui la leva dei tassi esercita i suoi effetti, i 100 punti base di aumento dei Fed Funds, messi in atto nella prima parte del 2006, devono ancora impattare l’economia.

2) Il ricorso al credito da parte delle famiglie è crollato del 6% in rapporto al reddito disponibile tra fine 2005 e fine 2006. Si tratta del secondo maggiore calo dal 1952, e di un fenomeno che in passato ha quasi sempre coinciso con una recessione.

3) Fasi di pronunciata contrazione del credito, come l’attuale, a seguito di periodi di rapida espansione, hanno sempre prodotto “drammatici” aumenti delle sofferenze e delle insolvenze. Segni di contagio sono già evidenti, a partire dai mutui ipotecari di minore qualità (sub-prime e Alt-A) a quelli di maggiore qualità (prime), ai mercati delle carte di credito e dei CDO (collateralized debt obligations), dove gli standard di credito sono stati molto irrigiditi.

4) Lo scoppio della bolla immobiliare è lungi dall’esaurire i suoi effetti. Le scorte di case invendute sono ai livelli più alti da 16 anni e le nuove case completate, a febbraio (ultimi dati disponibili), erano il 9,1% in più di quelle iniziate. E ciò vuol dire che i tagli alla produzione e all’occupazione sono solo agli inizi, in un processo, che, com’è tipico di un mercato poco liquido come la casa, è destinato a dipanarsi nell’arco di anni.

L’impatto sull’economia Usa sarà amplificato dal fatto che, in questa ripresa, il settore immobiliare ha creato il 31% della nuova occupazione complessiva mentre il rifinanziamento dei mutui ha probabilmente reso possibile metà della crescita dei consumi dell’ultimo triennio.

5) Gli investimenti in beni capitali, che esercitano un importante effetto “moltiplicatore” sul resto dell’economia, stanno entrando in recessione. Sono sensibili a due fattori – profitti e utilizzo della capacità degli impianti – che sono entrambi in flessione.

6) Diversi indicatori evidenziano rischi elevati di recessione, e in particolare due di grande affidabilità: il Superindice Economico (LEI) e l’Indicatore di Kasriel (KRWI, basato sulla curva dei rendimenti e sulla variazione annua della base monetaria, rettificata per l’inflazione). Negli ultimi 40 anni, il primo ha dato un solo falso segnale, il secondo nessuno, come risulta chiaro dai grafici n. 4 e n. 8 (a pagina 4 e 5) del documento di Hoisington Management.

La conclusione di Hoisington & Hunt è che una recessione negli Usa è ormai forse inevitabile. La leva fiscale è già stata sin troppo sfruttata, potrebbe produrre risultati solo in tempi lunghi, e in ogni caso la contrapposizione tra Presidente e Congresso promette solo paralisi fino alla scadenza del mandato di Bush.

Quanto alla leva monetaria, la Fed sembra per ora preoccupata più dell’inflazione che della crescita e, come accadde a cavallo tra il 2000 e il 2001, un cambio di rotta rischia sempre più di risultare tardivo.

Valutazione delle probabilità

Si tratta di osservazioni a mio parere persuasive. Ci sono, dicevo, analisti per cui nutro pure grande rispetto, come quelli di PIMCO o di BCA Research, i quali continuano a ritenere, con il consenso, che la fase di bassa crescita americana, per quanto delicata, non si trasformerà in recessione.

E c’è poi chi teorizza il cosiddetto decoupling, e cioè il graduale affrancamento dell’economia globale dal ruolo guida degli Usa. Secondo costoro, ci potrebbe anche essere una recessione negli Usa, senza però che Asia ed Europa se ne debbano troppo preoccupare.

Su quest’ultimo punto penso che un investitore debba essere in ogni caso scettico. E’ evidente che la straordinaria crescita dei paesi emergenti sta trasformando gli equilibri globali. Ma è altrettanto evidente che quando si parla di mercati, creature istintivamente poco amanti delle novità, sarà difficile che il ruolo guida di Wall Street sia messo tanto presto in discussione.

In particolare, la correlazione delle Borse europee a quella Usa è da molto tempo superiore al 90%. E trovo difficile immaginare che una recessione americana, con pesanti perdite a Wall Street, risulti, all’improvviso, indifferente o quasi agli indici da questa parte dell’Atlantico.

Il senso di questo lungo post è allora che, dal punto di vista di un investitore accorto, il tempo presente è non solo quello della circospezione ma dell’attiva cautela.

Il ciclo è in uno stadio avanzato. Le borse sono sopravvalutate. E i rischi di recessione negli Usa sono maggiori di quanto non venga riconosciuto dal consenso. In poche parole, il rally dei mercati appare scivoloso come una buccia di banana.

Navigazione articolo

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: