Investire: arte, scienza, narrazione
Lo scopo di questo blog è di imparare a investire. Come? Facendo ricorso ai grandi maestri. E come si riconosce un “grande maestro”? Direi dalla bontà dei suoi risultati e/o dal rigore, obiettività e qualità scientifica delle sue indagini. In altre parti di questo blog ho parlato dell’investire come di un’arte. Ora invoco la scienza. Dunque, investire è arte o scienza? Probabilmente, per ora, entrambe le cose e azzardo qui una spiegazione.
Investire sta sempre più diventando anche una scienza, una disciplina razionale e sperimentale in un campo di attività umana complesso e in rapida evoluzione.
Alle ipotesi propriamente testate si accompagnano quelle in fase di dibattito e verifica, ma questo nocciolo di ricerca comunque scientifica, anche se spesso immatura, resta immerso in un universo di saperi artigiani, di intuizioni artistiche e di narrazioni mitologiche.
Districarsi in questo ginepraio non è facile. E forse uno degli scopi che mi propongo con questo blog è proprio cercare, almeno un po’, di separare quello che possiamo dire di sapere – e cioè le provvisorie “verità” della scienza degli investimenti – dalle “storie”, che sono poi spesso affabulazioni interessate e ingannevoli.
Vorrei citare a questo proposito Valuing Wall Street , un bellissimo libro di Andrew Smithers e Stephen Wright, su cui avrò modo di tornare. Smithers e Wright sono due eccellenti analisti ed economisti inglesi, che nel libro spiegano perché e come utilizzare uno strumento di valutazione, la q di Tobin, per evitare i bear market azionari più catastrofici e migliorare i rendimenti di portafoglio nel lungo periodo.
Scrivono dunque Smithers e Wright, in un capitoletto introduttivo titolato “l’economia dei broker” (la traduzione è mia):
“[…] L’economia è una disciplina complessa. Il risultato è che gli economisti hanno difficoltà a uscire dall’incertezza, sono continuamente in disaccordo tra di loro […] Ma c’è una cosa che li dovrebbe unire, e che in effetti li unisce quasi tutti. Ed è il fatto che dovrebbero per lo meno tentare di affrontare le loro questioni in modo scientifico. L’opinione condivisa in merito all’approccio scientifico è che procede 1) formulando ipotesi, 2) sottoponendo le ipotesi all’esame dell’osservazione, e se i dati le smentiscono, 3) rigettando le ipotesi stesse.”
“La disciplina economica è difficile perchè formulare ipotesi semplici che possano essere testate e rigettate in maniera conclusiva, in un mondo complesso, è difficile. Ciononostante, il principio resta.”
“La q di Tobin è in effetti un esempio particolarmente valido di concetto affermatosi grazie al metodo scientifico […] Il contrario è invece vero dell’‘economia dei broker’. Mentre uno scienziato respinge un’ipotesi che si riveli incoerente con i dati, i broker in genere rifiutano quei dati che siano incoerenti con le loro ipotesi.”
“La diversità d’approccio deriva dalle differenti motivazioni. Gli scienziati che rigettano dati in conflitto con le loro ipotesi sono disprezzati e vengono in breve messi al margine […] “L’ipotesi” di un broker è che le azioni sono fantastiche. E qualsiasi broker che rifiuti questa ipotesi si troverà in breve senza lavoro. […] Gli scienziati sono pagati per cercare la verità; i broker, per vendere azioni.”
“I broker possono naturalmente cercare supporto in criteri di valutazione i più vari, ma se l’evidenza risulta in contrasto con ‘l’ipotesi che le azioni sono fantastiche’, farne uso non avrà per il broker alcun senso dal punto di vista commerciale. Per questo motivo, un certo numero di indicatori che vengono regolarmente impiegati dai broker sono in contrasto con l’analisi del valore, in teoria così come in pratica.”
Nel prossimo post, mi propongo di illustrare, con l’aiuto di Smithers & Wright e di un altro grande analista e investitore, John Hussman, un caso particolarmente appariscente e fuorviante di “economia dei broker” in azione: il cosiddetto Fed Model.