l'Investitore Accorto

Per capire i mercati finanziari e imparare a investire dai grandi maestri

Archivio per il tag “Buffett”

Valutazioni azionarie e rendimenti attesi

A ottobre, nel post Punto di svolta, scrissi che ero diventato compratore di azioni. Dopo aver giocato in difesa o scommesso al ribasso per quasi un anno e mezzo, sostenevo che la sottovalutazione dei listini azionari era diventata tale da convincermi ad accumulare gradualmente delle posizioni lunghe, ossia rialziste.

Ora che gli indici hanno fatto un altro tonfo, violando con decisione i minimi dello scorso autunno, è giusto chiedersi se quella mia scelta non sia stata sbagliata. Continua a leggere…

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Ingannevoli previsioni

“E’ indesiderabile credere a un’affermazione quando non c’è alcun motivo per ritenerla vera.” Questa massima del filosofo Bertrand Russell andrebbe tenuta a mente da ogni investitore che si senta tentato di fare affidamento sulle previsioni continuamente formulate da frotte di analisti di mercato ed economisti. E’ infatti evidente che nessuno ha ancora scoperto il modo di anticipare correttamente l’andamento del ciclo economico, degli utili aziendali o dei mercati finanziari. Continua a leggere…

Panico e miopia degli investitori

Esiste una regola aurea dell’investimento azionario? Penso di sì. L’ha formulata il più grande investitore di tutti i tempi, Warren Buffett, e recita così: “Sii timoroso quando tutti sono avidi, avido quando tutti sono timorosi.” Se questa massima, semplice e paradossale, è aurea è perché, come Buffett dimostra da oltre mezzo secolo, si è rivelata nel tempo straordinariamente redditizia. Continua a leggere…

Gli investitori value sfidano il bear market

A cavallo dell’ultimo fine settimana di ottobre, quando gli indici di Borsa americani sono ridiscesi verso i minimi del 10 ottobre e quelli europei e asiatici sono sprofondati ancora più giù, ho di nuovo acquistato azioni. E qualcosa ho comperato anche nell’ultimo paio di giorni. Nei momenti di massimo sconforto e paura, ho preso atto di quello che faceva la massa e mi sono regolato di conseguenza: ho fatto l’opposto. Nel mio portafoglio di attività finanziarie, i titoli azionari, che avevo drasticamente tagliato al 15% già nella prima metà del 2007, sono così arrivati a costituire una quota del 55%. Continua a leggere…

Punto di svolta

Nell’ultimo paio di settimane il mio punto di vista sui mercati è cambiato. Chi ha letto il blog sa quanto io sia stato negativo – sin dai primi post nella primavera del 2007 – sulle prospettive del ciclo economico e delle Borse e quanta cautela abbia invitato a esercitare mentre montava quella che avevo descritto, ben prima che il processo entrasse nella fase acuta, come una gigantesca bolla del credito in procinto di trasformarsi in un’epocale crisi finanziaria (vedi i post La prima bolla davvero globale, Le banche i mercati e la bolla del credito o Buffett, Gross e gli schemi di Ponzi delle banche). Ciò che poteva sembrare pessimismo si è dimostrato un realistico set di aspettative. Continua a leggere…

Food for thought

Quelli che seguono sono i link a un po’ di articoli che ho letto nel corso dell’ultima settimana e che mi sembra interessante proporre ai lettori del blog. Visto che i testi non sono in italiano, ho aggiunto dei brevi sommari. Il tono complessivo, come si vedrà, è improntato a un certo pessimismo. Il collasso del mercato Usa della casa, il boom dei prezzi del petrolio e delle materie prime in genere e i pericoli d’inflazione, in particolare nei paesi emergenti, sono i motivi di preoccupazione in primo piano.

Nel campo degli ottimisti resta schierata la gran parte degli strategist delle banche d’investimento, sull’affidabilità delle cui previsioni, purtroppo, non c’è da farsi soverchie illusioni. Continua a leggere…

Il value investing secondo Pabrai II

Nella prima parte di questo articolo ho esposto tre dei nove principi in cui Mohnish Pabrai (nella foto a fianco) sintetizza, nel suo recente libro The Dhandho Investor, la filosofia del value investing. Si trattava, come abbiamo visto, delle seguenti regole:

  1. 1. Concentrati nell’acquisto di quote di aziende già esistenti e ben avviate.
  2. 2. Investi in aziende semplici operanti in settori poco soggetti al cambiamento.
  3. 3. Compra aziende in difficoltà in settori in difficoltà.

Vorrei ora affrontare questi altri tre principi:

4. Compra aziende con un durevole vantaggio competitivo: il “fossato”.
5. Scommetti con forza quando le probabilità sono nettamente a tuo favore.
6. Concentrati sui giochi di arbitraggio. Continua a leggere…

Buffett, Gross e gli schemi di Ponzi delle banche

Gli analisti tecnici di Credit Suisse hanno messo in luce, in uno studio di questi giorni, tutta una serie di analogie nel comportamento dei mercati tra l’attuale crisi del credito e la crisi delle Savings & Loans (casse di risparmio) americane del 1990. Il movimento degli indici azionari, l’entità del crollo del settore finanziario (con perdite superiori al 50%, allora come oggi, per un titolo guida come Citigroup), persino l’andamento del prezzo del petrolio o le punte elevate di pessimismo nel sentiment degli investitori presentano, fin qui, molte somiglianze.

Se i parallelismi continueranno – conclude Credit Suisse – un fondo ai ribassi delle Borse dovrebbe essere toccato a febbraio, con un panic bottom in prossimità di quota 1300 per l’S&P 500.

L’inversione di rotta dovrebbe a quel punto essere segnalata dalla stabilizzazione prima, da un gran rally poi del settore finanziario.

Nei sei mesi successivi al raggiungimento dei minimi, nell’ottobre 1990, i titoli finanziari, pesantemente ipervenduti, segnarono un avanzamento del 50% risultando di gran lunga il settore migliore del mercato. Progressi quasi insignificanti furono invece fatti registrare dai leader della precedente fase di ribassi: telefonici, servizi di pubblica utilità, energetici.

Che dire? Questo genere di confronti piace molto agli analisti tecnici, forse anche perché produce grafici di grande impatto visivo. Ma il raziocinio e un po’ di esperienza me ne fanno diffidare.

I mercati finanziari e la crisi del credito di oggi sono troppo diversi da quelli del 1990 perché ogni apparente analogia nel comportamento di alcuni indicatori non si dimostri, a lungo andare, come in larga misura casuale.

C’è però un dato dell’analisi di Credit Suisse che mi pare più interessante e fondato. Senza una stabilizzazione e una ripresa del settore finanziario americano (l’epicentro della crisi di allora come di quella di oggi) è improbabile che i mercati azionari abbiano la forza di imboccare un trend rialzista.

In America come altrove, le banche sono troppo importanti per il buon funzionamento dell’economia e hanno un peso troppo rilevante negli indici di Borsa per pensare che senza il loro contributo la crisi possa essere lasciata alle spalle.

Grafici da brivido

Uno sguardo alla performance del settore bancario offre per ora scarso conforto.

Ecco quanto sta succedendo negli Usa, in un grafico realizzato grazie a StockCharts:


E quanto sta accadendo in Europa, in un grafico accessibile sul sito Stoxx.com (il settore bancario, confrontato all’indice Stoxx TMI, è indicato dalla linea più chiara):


Un’impressione se possibile ancora peggiore la dà il seguente grafico di lungo periodo, relativo ai titoli bancari americani, che Marty Chenard ha pubblicato sul sito Safe Haven qualche giorno fa:


Come si vede, il tracollo degli ultimi mesi ha prodotto la netta rottura di una trendline rialzista risalente addirittura al 1994.

La velocità e la profondità del movimento più che far presagire imminenti inversioni del trend, agitano inquietanti interrogativi sui rischi di un devastante crash. E richiamano alla mente un vecchio detto di Wall Street: le azioni, quando salgono, usano le scale, ma quando scendono, prendono l’ascensore (“a stock takes the stairs up, but the elevator down”).

I grafici di prezzo, naturalmente, ci raccontano solo dei movimenti di superficie. Non ci aiutano a capire se ci sia o non ci sia “valore” nei mercati. Per questo, bisogna guardare più in profondità, o ascoltare chi ha la capacità di farlo.

Buffett e le banche

Nel periodo di Natale mi era sfuggita. Ma fortunatamente, nei giorni scorsi, sono riuscito a ripescare dal mio Google Reader un’intervista della CNBC a Warren Buffett (nella foto in alto), del 26 dicembre.

Si tratta, come sempre, di un Buffett arguto, rilassato e divertente, che discute in primo luogo la sua acquisizione del gruppo Marmon (con la quale, dice, si è finalmente “guadagnato lo stipendio” per il 2007, visto che fino a Natale non aveva fatto altro che “bighellonare”!).

A un certo punto, l’intervista passa al tema del giorno, e cioè le banche.

Con diversi grandi gruppi intenti a fare pulizia nei conti, ad annunciare enormi svalutazioni di asset e a cercare di ricapitalizzarsi, a Buffett viene chiesto se non sia stato anche lui contattato, visto che è noto come nei bilanci di Berkshire Hathaway, la sua holding, ci siano 40 miliardi di dollari in cash, che attendono occasioni propizie per essere investiti.

Buffett conferma che sì, è stato avvicinato (“la gente conosce il nostro numero di telefono”) e gli sono state fatte delle proposte di investimento. Ma “we haven’t seen anything we want to move on […] so far we have not seen a deal that causes me to start salivating” (“Non abbiamo visto nulla su cui vogliamo muoverci…non ho ancora visto un affare che mi faccia venire l’acquolina in bocca”).

Nel settore bancario, insomma, per Buffett ci sono ancora più rischi che opportunità. Sommariamente, l’Oracolo di Omaha qualche motivo lo accenna: i problemi sono tali che “non possono essere risolti in un breve lasso di tempo”, certi utili messi a bilancio erano “illusori” e ora pulizia dovrà essere fatta, e questo significa che per un po’ di anni è probabile che alcune della grandi banche “non saranno in grado di riportare i loro profitti al top.”

Ingegneria finanziaria e nuovi prodotti derivati hanno spinto molti gruppi creditizi nei guai. E rimettere ordine non sarà facile.

Citando il Ceo di Wells Fargo, Buffett osserva: “I don’t know why the banks had to find new ways to lose money when the old ones were working so well” (“Non capisco perchè le banche abbiano dovuto andare in cerca di nuovi modi per perdere soldi quando quelli vecchi funzionavano così bene”).

Gross e le banche

Buffett non lo dice, ma è probabile che avesse in mente alcuni dei ragionamenti che un altro grande asset manager, Bill Gross di PIMCO, ha invece esplicitato nella sua ultima lettera mensile agli investitori.

L’enorme crescita di sempre più esotici prodotti derivati nel mercato del credito, finiti per lo più in pancia a quei nuovi, oscuri e poco regolati attori che vanno sotto il nome di conduits, SIVs e hedge funds (il cosiddetto “sistema bancario ombra”), ha finito in questi anni per assumere i tratti di una colossale fioritura di schemi di Ponzi, dove il gioco poteva durare finchè i mercati (e il credito) si espandevano.

Non ci sono, osserva Gross, solo i problemi risalenti al mercato della casa: i mutui subprime e le cartolarizzazioni, che per un po’ hanno consentito di ignorare o di oscurare i rischi impliciti in pratiche di credito immobiliare troppo disinvolte, ma che alla fine arriveranno a infliggere almeno 250 miliardi di dollari di perdite ai bilanci delle banche.

Un’altra bomba in attesa di scoppiare è quella dei Credit Default Swaps (CDS), derivati nati negli anni ’90 con finalità di assicurazione contro i rischi di insolvenza sui debiti societari.

Il mercato, che non è organizzato, e dove i rischi sono concentrati tra le due controparti di ogni contratto, è cresciuto a dismisura in questi ultimi anni di vacche grasse e liquidità a go go, raggiungendo, a fine 2007, un valore di 43 mila miliardi di dollari, pari – nota Gross – a oltre la metà degli asset del sistema bancario globale.

I CDS in genere non sono supportati da garanzie, né dall’accantonamento di riserve da parte del “protection seller”, e cioè la controparte (in genere una banca) che assicura contro il rischio di default.

Sono insomma andati configurandosi come un’industria assicurativa follemente speculativa, senza adeguati controlli e senza capitali messi a riserva nel caso di perdite.

Stima Gross che se i default su prestiti societari saliranno nel 2008 verso la media storica dell’1,25%, che è poi più o meno quanto prevedono Moody’s e S&P’s, le perdite a carico dei “protection seller” potrebbero ammontare ad altri 250 miliardi di dollari – facendo così raddoppiare l’entità del salasso ascrivibile alla crisi dei mutui subprime.

La conclusione di Gross è che il sistema bancario è miseramente sottocapitalizzato per far fronte al collasso di tutti questi “schemi di Ponzi.” Alcuni istituti salteranno, altri saranno ridimensionati. La forzata contrazione nell’attività di credito (credit crunch) renderà inevitabile una recessione.

Il “sistema bancario ombra” scomparirà e chi sopravvivrà – grazie anche agli energici interventi di politica monetaria e fiscale che le autorità metteranno in campo (Gross si aspetta i Fed Funds al 3% entro giugno) – si ritroverà in un sistema finanziario diverso, con nuovi rischi ma, sicuramente, meno effetto leva.

Dunque, riassumendo, per Buffett il fondo della crisi è ancora lontano e ci vorranno anni per completare il lavoro di pulizia. Per Gross è scoppiata una bolla epocale fatta di speculazioni e schemi piramidali che costringerà a ridisegnare il sistema finanziario americano e globale.

Per ogni investitore accorto non può che essere tempo di paziente attesa e grande cautela. Alla fine, per chi avrà saputo aspettare, le opportunità si ripresenteranno.

La Borsa secondo Graham e Buffett: Mr. Market

E’ arrivato il momento di mantenere una promessa che avevo fatto a giugno nel post I benefici del lungo periodo e offrire una mia traduzione, dato che non ne conosco altre, di un famoso testo di Warren Buffett (nella foto): quello in cui descrive l’atteggiamento da tenere nei confronti del mercato azionario, insegnatogli dal maestro e amico Ben Graham. Si tratta dell’allegoria di Mr. Market, raccontata in modo delizioso nella lettera di Buffett agli investitori del 1987. Continua a leggere…

Sette tratti psicologici per essere come Buffett

buffett.nCome si fa a diventare un novello Warren Buffett, il più geniale investitore di tutti i tempi? La domanda l’ha posta Mark Sellers, un mancato pianista jazz diventato analista finanziario per Morningstar e poi gestore di hedge fund oltre che columnist per il Financial Times, a un gruppo di giovani che sicuramente se l’era già chiesto – e cioè gli studenti del master in business administration dell’Università di Harvard. L’originale e gustosa dissertazione, che ho trovato citata sul blog di Greg Mankiw, merita di essere letta. Per chi abbia difficoltà ad affrontare un testo di alcune pagine in lingua inglese, provvedo con un mio sunto. Continua a leggere…

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