l'Investitore Accorto

Per capire i mercati finanziari e imparare a investire dai grandi maestri

Archivio per il tag “John Hussman”

Valutazioni azionarie e rendimenti attesi

A ottobre, nel post Punto di svolta, scrissi che ero diventato compratore di azioni. Dopo aver giocato in difesa o scommesso al ribasso per quasi un anno e mezzo, sostenevo che la sottovalutazione dei listini azionari era diventata tale da convincermi ad accumulare gradualmente delle posizioni lunghe, ossia rialziste.

Ora che gli indici hanno fatto un altro tonfo, violando con decisione i minimi dello scorso autunno, è giusto chiedersi se quella mia scelta non sia stata sbagliata. Continua a leggere…

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Il divergente ribasso dei mercati azionari

Dopo aver recuperato circa il 25% dai minimi di novembre il mercato azionario americano, nelle ultime due settimane, è tornato a flettere, facendo come al solito da guida alle altre principali Borse. Com’è stato questo calo?

Partiamo da una premessa. L’ipotesi che negli ultimi mesi ho ventilato in questo blog (ed è solo un’ipotesi, non l’asse portante di una strategia d’investimento) è che gli indici azionari stiano disegnando il fondo del bear market iniziato nel 2007. Continua a leggere…

Il “finale di partita” del bear market azionario

Come finiscono i grandi bear market azionari? Esiste una trattazione molto analitica di questa questione in un libro del 2005 di Russell Napier intitolato Anatomy of the Bear, che individua interessanti analogie tra i quattro maggiori bear market americani del Novecento.

Tornerò a parlarne quanto prima. Per ora vorrei limitarmi a introdurre il tema riportando alcune meno ponderose ma acute osservazioni fatte di recente da John Hussman, uno dei più interessanti investitori value della nuova generazione.

Su Hussman, prima di entrare nel vivo di questo post, vorrei spendere qualche parola di introduzione. Continua a leggere…

Come valutare i rischi dell’investimento in azioni

Sembrerà arrogante dirlo, ma la gran parte degli investitori ha un’idea poco ragionevole del rischio dell’investimento azionario. Tende a considerare massima la pericolosità delle azioni quando invece è minima, e minima quando invece è massima. Possibile?

Qualcuno penserà che io mi riferisca, al più, alla notoria mancanza di tempismo della folla dei piccoli risparmiatori, di cui è risaputa l’inclinazione a disfarsi delle azioni, in un impulso di disperazione, verso la fine di un bear market, magari per riacquistarle – dopo mille titubanze e rimuginamenti – solo quando un bull market si sta ormai esaurendo. Ma non è di loro, o solo di loro, che intendo parlare. Continua a leggere…

Panico e miopia degli investitori

Esiste una regola aurea dell’investimento azionario? Penso di sì. L’ha formulata il più grande investitore di tutti i tempi, Warren Buffett, e recita così: “Sii timoroso quando tutti sono avidi, avido quando tutti sono timorosi.” Se questa massima, semplice e paradossale, è aurea è perché, come Buffett dimostra da oltre mezzo secolo, si è rivelata nel tempo straordinariamente redditizia. Continua a leggere…

Gli investitori value sfidano il bear market

A cavallo dell’ultimo fine settimana di ottobre, quando gli indici di Borsa americani sono ridiscesi verso i minimi del 10 ottobre e quelli europei e asiatici sono sprofondati ancora più giù, ho di nuovo acquistato azioni. E qualcosa ho comperato anche nell’ultimo paio di giorni. Nei momenti di massimo sconforto e paura, ho preso atto di quello che faceva la massa e mi sono regolato di conseguenza: ho fatto l’opposto. Nel mio portafoglio di attività finanziarie, i titoli azionari, che avevo drasticamente tagliato al 15% già nella prima metà del 2007, sono così arrivati a costituire una quota del 55%. Continua a leggere…

Il mercato delle idee: mutui, tassi e CDO

Nel mercato delle idee espongo idee altrui che trovo stimolanti. In vetrina, oggi, ci sono John Hussman che giudica sopravvalutati e ipercomprati i mercati azionari, Bill Gross che prevede il diffondersi delle insolvenze sui mutui con la Fed costretta a tagliare i tassi a breve ma gli spread in aumento, e poi Paul Kasriel al quale appare sempre più difficile che sia evitata una recessione negli Usa. Controcorrente resta l’opinione di Ken Fisher, che giudica il pessimismo dei media come uno dei migliori indicatori contrari.

Mercati azionari troppo rischiosi

John Hussman suona l’allarme, e non per la prima volta. Cosa caratterizza il mercato azionario di oggi (o quanto meno, il benchmark per eccellenza, e cioè l’S&P 500)? Il fatto di quotare a un multiplo del picco ciclico degli utili superiore a 18, di essere ai massimi dell’ultimo quadriennio, di trovarsi oltre l’8% sopra la media mobile esponenziale a 52 settimane, in un contesto di rendimenti obbligazionari in ascesa.

Ci sono stati altri momenti, negli ultimi 50 anni, in cui l’S&P 500 ha affrontato un’uguale costellazione di fattori?

Sì, è accaduto altre sette volte e con questi esiti: nel dicembre 1961, quando il mercato perse poi il 28% in 6 mesi; nel gennaio 1973, quando seguì un crollo del 48% in 20 mesi; nell’agosto 1987, quando la caduta fu del 34% in tre mesi; nel luglio 1998, quando l’indice scese del 18% in tre mesi; nel luglio 1999, quando la flessione fu del 12% in tre mesi; nel dicembre 1999, quando il calo fu del 9% in due mesi; e infine nel marzo 2000, quando, come molti ricorderanno, iniziò un bear market che portò l’S&P 500 a dimezzare il suo valore nell’arco di 30 mesi.

Osserva Hussman che a voler rendere il confronto più selettivo, si potrebbe aggiungere un indicatore di sentiment, e cioè il fatto che, al momento, meno del 20% dei consulenti d’investimento sondati da Investors’ Intelligence si dichiara bearish (pessimista). Con questo quinto elemento descrittivo, i precedenti si restringono al gennaio 1973 (-48%) e all’agosto 1987 (-34%).

Hussman mette in chiaro che la sua non è una previsione, ma una semplice constatazione: il mercato di oggi è così sopravvalutato e ipercomprato da offrire una combinazione di rischi e rendimenti attesi estremamente sfavorevole.

Crisi del mattone e contagio

Per qualche settimana il mercato ha temuto che le difficoltà dei due fondi di Bear Stearns, messi in ginocchio da scommesse sbagliate nell’opaco mondo dei CDO, dessero il via a un effetto domino tra altri hedge fund e i broker primari che prestano loro ingenti quantità di denaro. Poi un salvataggio da 3 miliardi di dollari messo rapidamente in atto da Bear Stearns ha calmato gli animi.

Ma Bill Gross si chiede se siano davvero questi i rischi da cui gli investitori si devono guardare. La sua risposta è che il vero contagio è in arrivo da un’altra direzione, e cioè dalla marea di mutui ipotecari, a tasso variabile e (sino a oggi) a condizioni di estremo favore, che in America saranno soggetti a revisione nei prossimi mesi.

Stima Bank of America che si tratta di 500 miliardi di dollari di mutui nel 2007 (con una revisione media al rialzo del tasso applicato stimata in 200 punti base) e di 700 miliardi nel 2008, di cui circa i tre quarti sono subprime, riguardano cioè debitori di bassa qualità.

La catena di eventi che si sta mettendo in moto, per Gross, è chiara: le insolvenze, che tra i mutui subprime sono già al 7% del totale, si moltiplicheranno; e la crisi si diffonderà ben oltre il mercato subprime.

I prezzi delle case scenderanno ancora. La disponibilità di credito diminuirà. Molti investitori in CDO che ora vantano rating di BBB o anche A si ritroveranno in mano dei pezzi di carta senza valore. E gli spread, anche nei mercati apparentemente meno correlati a quello americano, punteranno al rialzo mentre la liquidità eccessiva, di cui oggi tutti parlano, diventerà un ricordo.

E’ possibile che tutto questo prenda le forme di un semplice ritorno alla razionalità piuttosto che di una crisi globale. Ma Gross prevede che in ogni caso, per assicurarsi contro il montare dei rischi, la Federal Reserve comincerà nei prossimi sei mesi a tagliare i tassi a breve.

Esuberanza contenuta

Per Mark Hulbert, analista di lungo corso del sentiment del mercato (è dal 1980 che tiene sott’occhio le raccomandazioni di 160 newsletter finanziarie americane), gli umori non sono ancora quelli tipici di un top delle Borse.

L’ottimismo è tutt’altro che pervasivo, come rivela l’Hulbert Stock Newsletter Sentiment Index (HSNSI), un indicatore che condensa il sentiment di quegli autori di newsletter che praticano strategie di market timing di breve termine. L’HSNSI segnava 40,6% verso la fine della settimana scorsa, rispetto al 62,4% dei massimi di fine febbraio.

L’analisi contraria rivela dunque come manchi quell’“esuberanza irrazionale” che si manifesta tipicamente alla fine di un bull market. Le Borse, per Hulbert, possono ancora salire.

L’incoraggiante pessimismo dei media

Ken Fisher, che nel 2000 diventò bearish e dall’estate del 2002 tornò a essere bullish, resta molto ottimista sulle prospettive dei mercati azionari. E quali sono i motivi, che cita nel suo ultimo articolo per Forbes?

Intanto, il fatto che i media, a larga maggioranza, non hanno mai creduto al bull market iniziato quasi 5 anni fa e continuano a non crederci, ammonendo a ogni passo che gli utili record sono insostenibili e che il mercato, dall’alto dei nuovi massimi di questi giorni, è costoso. Finchè l’ultimo di questi “Orsi” non sarà diventato “Toro”, le Borse, per Fisher, continueranno a salire.

Quanto ai più fondamentali problemi valutativi, Fisher osserva che il mercato è molto meno costoso che nel 2000. I nuovi massimi recenti sono apparenti, dato che non tengono conto dell’inflazione. In termini reali l’S&P dovrebbe toccare quota 1800 prima di stabilire davvero un nuovo record. Inoltre, dal 2000, gli utili sono saliti del 57%. E per quanto i paventati rischi di insostenibilità possano anche essere fondati, non c’è segno che un’inversione del trend sia imminente.

Consumatori alle strette

Paul Kasriel di Northern Trust analizza la brusca decelerazione delle vendite al dettaglio negli Usa. In termini reali, il dato del secondo trimestre potrebbe segnare un calo del 4,9% annualizzato, dopo la crescita del 2,5% del primo trimestre.

Nel complesso, i consumi privati, nel trimestre da poco concluso, faticheranno a raggiungere un tasso di crescita dell’1%-1,5% rispetto all’ancora esuberante +4,2% del primo trimestre. Bisogna essere ciechi per non vedere che il collasso del mercato della casa sta “strangolando” le famiglie americane, sostiene Kasriel.

Né è sensato lasciarsi illudere dai segnali positivi che sono venuti di recente dai sondaggi sulla fiducia dei consumatori. Uno studio della Federal Reserve di Filadelfia ha infatti dimostrato che l’andamento del sentiment non ha alcuna valenza predittiva in relazione ai consumi.

Senza una riduzione dei tassi la recessione sarà difficile da scongiurare. E’ una conclusione a cui Kasriel si aspetta che arrivi anche la Federal Reserve, ma non prima dell’incontro del FOMCdel 31 ottobre, quando saranno diffuse anche le prime stime sul Pil del terzo trimestre. E quando potrebbe essere ormai troppo tardi per evitare il peggio.

Un sistema di disequilibrio instabile

Nouriel Roubini si interroga sulle prospettive del sistema di cambi semi-fissi, ancorati al dollaro, instaurato nell’ultimo decennio da molti paesi emergenti dell’Asia, e in parte responsabile per i crescenti squilibri delle bilance dei pagamenti a livello globale (il cosiddetto Bretton Woods 2, o BW2).

Gli Usa, la prima economia al mondo, ne sono diventati anche il maggiore debitore, con disavanzi che vengono sempre più finanziati dalle banche centrali asiatiche a tassi particolarmente bassi. Nel 2006 il deficit delle partite correnti americano ha toccato gli 811 miliardi di dollari, pari al 6,1% del PIL. E il dato è destinato a crescere nel 2007.

I paesi emergenti dell’Asia hanno tratto vantaggio dall’ancoraggio al dollaro debole perchè i tassi di cambio molto sottovalutati hanno consentito l’accumulo di ingenti riserve valutarie e il perseguimento di aggressive politiche di crescita economica e di industrializzazione basate sull’export.

Ma per Roubini BW2 si sta tramutando da un sistema di “disequilibrio stabile”, come molti l’hanno definito, a uno di pericoloso disequilibrio instabile. Già diversi paesi asiatici lo hanno abbandonato. E altri lo faranno, perchè i suoi limiti, in termini di surriscaldamento economico, rischi d’inflazione e bolle sui mercati finanziari, si stanno facendo sempre più evidenti.

 

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