l'Investitore Accorto

Per capire i mercati finanziari e imparare a investire dai grandi maestri

Archivio per la categoria “previdenza”

TFR o previdenza integrativa?

Per 11 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato siamo alla stretta finale: entro la fine del mese devono decidere cosa fare del TFR, se mantenerlo in azienda o destinarlo alla previdenza integrativa. Siccome tutti ne parlano, io non lo farò. O, almeno, non lo farò con la cura e il dettaglio che l’argomento merita. Voglio soltanto segnalare tre utili e sintetiche letture, tra loro complementari: TFR e fondi pensione di Riccardo Cesari, Il gioco delle pensioni: rien ne va plus? di Giuliano Amato e Mauro Marè, e La pensione tradita di Beppe Scienza.

Il libro di Cesari spiega bene l’evoluzione del sistema pensionistico italiano, la genesi e le finalità del nuovo pilastro della previdenza complementare, il funzionamento di un fondo pensione e come dovrebbe essere gestito (e valutato nella sua performance) dal punto di vista finanziario.

Amato e Marè ragionano sulla previdenza complementare ponendo l’accento sui problemi di sostenibilità di lungo periodo del nostro sistema pensionistico in un’analisi ricca di confronti internazionali.

Scienza, infine, prende posizione, senza mezzi termini, a favore del mantenimento, per ora, del TFR in azienda, denunciando le inefficienze del nostro sistema dei fondi (fondi comuni e fondi pensione).

Dai tre libri vorrei trarre solo dei brevi assaggi, giusto per invogliare a leggerli.

Scrive nelle conclusioni Riccardo Cesari: “Le riforme del 1995 e del 2005 hanno avviato in Italia un’opera di correzione degli squilibri precedenti, rendendo più articolato e flessibile l’intero sistema previdenziale. Pilastro centrale del nuovo sistema sono i fondi pensione, uno strumento che può rivelarsi, per chi lo saprà sfruttare, un’adeguata contropartita al taglio delle prestazioni pubbliche.”

Vero in teoria, ma in pratica? Un limite del libro di Cesari, mi pare, è che opera confronti quantitativi sulla base di scenari ipotetici, prendendo come riferimento i rendimenti di mercato. Questo è utile a dimostrare la fondatezza teorica delle scelte che anche in Italia, come in molti altri paesi, si sta cercando di fare. E’ necessario al fine di illustrare le opportunità implicite in un nuovo modo di organizzare il sistema previdenziale. Ma poi, in pratica, nell’esperienza italiana, i rendimenti di mercato sono quelli effettivamente ottenuti dai fondi?

Beppe Scienza ci dice di no, facendo ricorso alle meticolose analisi del centro studi di Mediobanca, che ogni anno fa le pulci all’industria italiana del risparmio gestito.

Osserva Scienza: a gestire la previdenza integrativa saranno in sostanza gli stessi soggetti che già da 20 anni danno prova di sé con i fondi comuni. Con quali risultati? Dati di Mediobanca alla mano, Scienza dimostra che per ogni orizzonte temporale (5, 10, 15, 20 anni) fondi comuni e sicav italiani hanno reso meno dei Bot.

Una prima conclusione, legittima, è la seguente: “Ora c’è il rischio che la storia si ripeta: come i fondi comuni hanno fatto peggio dei Bot, così non stupirebbe che i fondi pensione facciano peggio del TFR.”

Ma c’è dell’altro. Nelle varie categorie (obbligazionari, azionari, azionari specializzati, etc.) i fondi italiani hanno in genere la sconsolante caratteristica di offrire rendimenti medi che sono inferiori al benchmark per una percentuale superiore ai costi (o, almeno, ai costi dichiarati).

Nota di nuovo Scienza: “uno scimmione che avesse scelto i titoli a casaccio avrebbe ottenuto risultati allineati a quelli di mercato, ossia un minus di gestione limitato alle commissioni dichiarate. E’ infatti ormai assodato che scegliendo con criteri casuali si ottengono alla lunga performance pari a quelle medie del settore.”

Come mai i fondi italiani fanno mediamente peggio delloscimmione che investe a casaccio? La risposta di Scienza è che purtroppo non si sa.

Non si può – e probabilmente non si potrà mai – appurare se i minus di gestione sono provocati da gestori incapaci o ladri o da chissà cos’altro. Il livello di trasparenza dei fondi comuni d’investimento italiani è infatti vicino allo zero. Ma se la cosa può consolare, quello dei fondi pensione si prospetta ancora inferiore.”

Il problema, per ciascuno di noi, comunque resta. La pensione pubblica sarà in futuro inadeguata a garantire una vecchiaia decorosa. E il TFR offre sì rendimenti sicuri, ma bassi, di poco superiori al tasso d’inflazione e dunque insufficienti ad accumulare nel tempo una rendita soddisfacente.

I mercati finanziari, se correttamente sfruttati, possono offrire di più. Ci vuole una migliore educazione finanziaria degli individui e delle famiglie e un sistema di gestori professionali più aperto, competitivo, trasparente.

Lo dicono con chiarezza Amato e Marè nelle conclusioni del loro libro: “Lo sviluppo di un vero mercato richiede che sia realizzata una genuina equiparazione delle diverse forme di previdenza complementare; che esse siano messe su un piano omogeneo di regole e di vincoli, così da permettere l’affermarsi di una vera concorrenza tra di esse.”

Purtroppo, come ho già scritto nel post Fondi chiusi e spirito dell’illuminismo, citando un bell’articolo di Andrea Moro, le scelte del legislatore italiano, condizionate dagli interessi delle parti sociali a scapito di quelli dei lavoratori, sono state a tal fine troppo timide e pasticciate.

Malauguratamente, non c’è più tempo per mezze riforme o per riforme mancate.

Come ci ricordano sempre Amato e Marè, “il gioco delle pensioni si avvicina al punto di non ritorno. L’invecchiamento della popolazione e l’approssimarsi della generazione del baby boom riducono la soglia di intervento, il margine per possibili riforme, ci avvicinano al punto della ‘fine della riforma’. L’innalzarsi dell’età dell’elettore mediano può avere come effetto quello che nessun governo possa avere in futuro, per molti anni, il capitale politico per introdurre misure di riequilibrio del sistema pensionistico e soprattutto per ripartire in maniera più equa tra le generazioni il costo dell’offerta delle prestazioni.”

“Perciò, ci stiamo avvicinando al rien ne va plus del gioco delle pensioni ed è opportuno fare scelte sagge e responsabili.”

Pubblicità

Fondi chiusi e spirito dell’illuminismo

La riforma della previdenza complementare parte segnata da (almeno) due vizi che, in Italia, sono troppo comuni per essere casuali: l’insufficiente riconoscimento della libertà individuale e il difetto di concorrenza. Come ben argomenta Andrea Moro in un articolo pubblicato su La Voce , i fondi negoziali o chiusi, uno dei pilastri della riforma, sono troppo chiusi a causa dei vincoli imposti dagli accordi tra le parti sociali alla contribuzione del datore di lavoro.

Il risultato è che viene di fatto limitata la libertà di scelta del lavoratore e ridotta la concorrenzialità del sistema dei fondi previdenziali, con prevedibili ricadute negative su costi e rendimenti a danno degli interessi del lavoratore stesso. Continua a leggere…

Navigazione articolo

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: