Scrivevo una decina di giorni fa, nel post L’analisi tecnica svela un rally di Borsa sospetto, che la corsa dei mercati azionari dai minimi di agosto nascondeva molta fragilità. “Volume e ampiezza ci raccontano storie simili,” notavo allora. “Il rally dell’ultimo mese e mezzo appare sospetto, perché ha avuto scarsa partecipazione di investitori (bassi volumi) e di titoli (linea Advance-Decline divergente rispetto ai prezzi)”.
E concludevo:
“E’ probabile che molti investitori abbiano deciso di stare alla finestra in attesa delle trimestrali del terzo trimestre […]. In ogni caso, la conclusione da trarre, per ora, è che di questo rally, e della grancassa mediatica che ha salutato i nuovi massimi di Wall Street, è giusto essere scettici.”
Ci troviamo ora a fare i conti con il mini-crollo di venerdì, quando tutti i principali indici americani hanno lasciato sul tappeto, in poche ore, un cospicuo 2,6%.
Le cause dell’ondata di vendite
La concomitanza con il G-7 e con il ventesimo anniversario del drammatico crollo (-22,6%) dell’indice Dow Jones il 19 ottobre 1987, giorno rimasto nella storia dei mercati con il fosco nome di Black Monday, hanno permesso di confondere più del solito le acque. “Il G-7 pessimista scuote Wall Street,” ha titolato ieri, ad esempio, Il Sole-24 Ore.
Ma né il G-7, né le ricorrenze, c’entrano qualcosa. Wall Street è troppo pratica e troppo calata nel presente per farsi condizionare, più di tanto, dal remoto passato o dai conciliaboli, spesso senza conseguenze, dei Sette Grandi.
Quello che invece è accaduto è che i deludenti bilanci delle aziende hanno fatto riaffiorare gli spettri di agosto, con l’aggiunta di più concreti timori che i dissesti dei mercati immobiliare e del credito stiano avendo ampie e negative conseguenze sull’economia reale.
Alla fragilità tecnica del rally si sono insomma aggiunte nuove riserve sulla salute dei fondamentali. E il mercato ha bruscamente invertito rotta.
La parola a due grandi analisti
Per scrutare ora un po’ nel futuro, tenendo conto sia degli aspetti tecnici che fondamentali, vorrei dare la parola a due dei miei analisti preferiti: Brett Steenbarger, per la parte tecnica, e Paul Kasriel per la parte macro.
In un post apparso ieri sul suo blog TraderFeed, Steenbarger si concentra sull’andamento del Russell 2000, l’indice delle small cap Usa, e sui nuovi massimi e nuovi minimi a 52 settimane (New High New Low, per una spiegazione vedi qui) fatti segnare dai titoli del NYSE.
Riproduco qui il suo grafico:

Due cose appaiono evidenti:
a) le small cap, nel corso degli ultimi mesi, non hanno avuto la forza di seguire le large cap verso nuovi massimi. E’ dalla fine del 2006 che sono intrappolate in un trading range.
b) i rally di quest’anno sono stati caratterizzati da una partecipazione via via più esigua di titoli, mentre le discese degli indici hanno visto espandersi il numero di azioni che segnavano nuovi minimi (vedi numeri in blu nel grafico). L’indicatore New High New Low, con le sue divergenze rispetto agli indici di prezzo, conferma dunque le fragilità di cui avevo già parlato una decina di giorni fa.
Cosa aggiunge Steenbarger? E’ probabile che gli indici vadano ora a ritestare i minimi di agosto. Se questo accadrà con un’ulteriore espansione del numero di new low, i supporti potrebbero cedere segnalando l’inizio di un bear market.
Un mercato ricco di contrasti
Al momento, la situazione resta ambigua. Ci sono settori del mercato, come i finanziari o le costruzioni di case, che in un bear market ci sono già. Ma altri settori, come energetici e tecnologici, si muovono ancora in un trend rialzista.
Un segmento da seguire con particolare attenzione sarà quello dei beni di consumo. Se scenderanno verso nuovi minimi, rompendo i supporti di agosto, vorrà dire – nota Steenbarger – che la debolezza del mercato della casa americano sta creando condizioni recessive nel resto dell’economia.
L’impressione di Steenbarger è che i supporti reggeranno, grazie ai tassi di crescita ancora attraenti delle large cap e alla liquidità di cui le banche centrali stanno inondando i mercati (in Usa la massa monetaria cresce a un tasso annualizzato del 24%, facilitando tra l’altro il continuo deprezzamento del dollaro, che si traduce in maggiori profitti per le imprese esportatrici).
“Ma il mio istinto si è già sbagliato in altre occasioni,” conclude Steenbarger con saggia umiltà. Per questo il suo consiglio è di continuare a monitorare con attenzione dei segnali oggettivi come le performance settoriali e la forza interna del mercato, in particolare attraverso l’indicatore New High New Low.
Le tante debolezze dell’economia più forte del mondo
Per la parte macro, vediamo cosa dice Paul Kasriel, chief economist di Northern Trust, nel suo ultimo esame mensile dello stato della congiuntura negli Usa.
Kasriel analizza diversi punti. Ecco i principali:
a) C’è chi trae conforto dall’andamento dell’occupazione e dalla crescita dei redditi. Ma Kasriel ricorda che si tratta, nella migliore delle ipotesi, di indicatori coincidenti e non anticipatori del ciclo. Ci dicono poco sulla possibilità che gli americani continuino in futuro a spendere quanto hanno speso nel recente passato.
I dati sulla disoccupazione, quelli più seguiti dal mercato, sono inaffidabili perché condizionati da un metodo di destagionalizzazione la cui correttezza suscita molte perplessità. Le statistiche sull’occupazione, che non sono soggette ad alcuna manipolazione, rivelano una crescente debolezza del mercato del lavoro (vedi grafico sotto).

b) Molti posti di lavoro, in questo ciclo, sono stati creati nel settore immobiliare e nelle parti connesse del settore finanziario. La crisi degli ultimi mesi, che è destinata a continuare, colpirà a fondo questo segmento del mercato del lavoro. E i primi segni già si vedono. Nel terzo trimestre, i licenziamenti nel settore finanziario sono cresciuti di 60mila unità rispetto a un anno fa.
c) La situazione finanziaria delle famiglie americane non è mai stata così precaria. Una percentuale record del reddito è spesa in consumi (vedi primo grafico sotto) e i livelli di indebitamento, in rapporto agli asset detenuti, sono esplosi a livelli mai visti prima, e ben peggiori di quelli, già preoccupanti, degli anni ’90 (vedi secondo grafico sotto).


d) il settore corporate è quello su cui gli ottimisti fanno affidamento, mettendone in rilievo la solidità finanziaria. I bilanci sono sì in buone condizioni, nota Kasriel, ma tanto i profitti (primo grafico sotto) che la spesa per investimenti (secondo grafico sotto) hanno cominciato da qualche trimestre a rallentare.


Se si esclude il settore finanziario, che ha contato moltissimo nell’ultimo ciclo espansivo, la crescita dei profitti è negativa dalla fine del 2006. Ma alla luce degli sviluppi degli ultimi mesi, quanto ci vorrà – si chiede Kasriel – perché anche gli utili del comparto finanziario comincino a contrarsi?
Quanto alla spesa per investimenti, che dovrebbe sostenere l’economia in una fase di crescente difficoltà dei consumatori, in questo ciclo non è mai stata molto dinamica, neanche quando i profitti erano in piena esplosione. E’ ragionevole attendersi che diventi sostenuta ora, quando i profitti iniziano a scarseggiare? Evidentemente no. E poi, nota Kasriel, più che i profitti la spesa per investimenti segue l’andamento dei consumi – che sono ancora più a rischio.
e) Al di là di tanti ragionamenti, c’è un’osservazione diretta che ci consente di dire che l’ottimismo di chi crede che sarà il settore corporate a salvare l’America dalla recessione non è condiviso da chi, nel settore corporate, opera in prima linea. Sono infatti i Ceo a dichiararsi sempre meno fiduciosi, come segnala l’indice di fiducia del Conference Board (vedi grafico sotto), sceso al punto più basso di questo ciclo, e a livelli storicamente depressi.

f) E l’economia mondiale? C’è chi pensa che Europa e Asia avranno la forza di sostenere il ciclo anche in presenza di un’America debole. Ma Kasriel ne dubita. Il raffreddamento della congiuntura si è negli Usa rapidamente fatto sentire sulle importazioni, in brusca frenata da qualche trimestre (vedi grafico sotto).

Gli effetti negativi si riverberano, già dall’inizio dell’anno, sia in Europa, dove la crescita è in rallentamento, sia in Giappone, dove addirittura il Pil nell’ultimo trimestre si è contratto (vedi grafico sotto).

La conclusione di Kasriel è che una recessione negli Usa non può ancora essere data per certa. Ma le probabilità che sia evitata non sono così alte come molti pensano.
Conclusione: un invito alla cautela
Tirando le fila delle analisi di Steenbarger e Kasriel, mi sembra ragionevole dire che il “mini-crollo” di venerdì ha cominciato a ristabilire un clima di mercato meno irrazionale e più rispondente ai fondamentali.
I nuovi massimi di molti indici azionari riflettevano scommesse speculative ed eccessi di ottimismo di una parte sempre meno rappresentativa dell’universo degli operatori. In questa fase, è giusto invece essere dubbiosi, incerti e anche un po’ timorosi.
E’ possibile, e forse probabile, che i mercati azionari debbano ritestare i minimi di agosto prima di decidere sul serio il loro corso futuro. Nessun investitore ha la sfera di cristallo. Ma non è difficile prevedere che instabilità e volatilità resteranno i tratti distintivi di un mercato che, nell’immediato futuro, potrà essere navigato con successo facendo uso, in primo luogo, di una maggiore cautela.
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