Un bear market azionario è forse alle porte?
Che faranno, a questo punto, i mercati azionari? Già in due occasioni, negli ultimi due mesi, ho cercato di combinare analisi tecnica e analisi macroeconomica per arrivare a una risposta – sempre partendo dalla premessa che le Borse, come più volte ho cercato di dimostrare in questo blog, sono in generale sopravvalutate. Per due volte gli studi a cui ho fatto riferimento (non miei, io faccio il giornalista e non l’analista tecnico o l’economista) si sono dimostrati attendibili. E’ comprensibile la tentazione di volerci riprovare, con l’accortezza di tenere ben presente che nessuno ha la sfera di cristallo. E che non è sulle previsioni di breve periodo che si può basare un’accorta gestione del portafoglio.
Vediamo allora cosa ho già scritto e come quel quadro può essere aggiornato.
Due analisi azzeccate
Il 9 ottobre, subito prima che i mercati Usa ripiegassero dai massimi, nel post L’analisi tecnica svela un rally di Borsa sospetto, scrivevo così:
“Volume e ampiezza ci raccontano storie simili. Il rally dell’ultimo mese e mezzo appare sospetto, perché ha avuto scarsa partecipazione di investitori (bassi volumi) e di titoli (linea Advance-Decline divergente rispetto ai prezzi).”
Notavo che si trattava di caratteristiche “tipiche di un top di mercato” e concludevo: “E’ probabile che molti investitori abbiano deciso di stare alla finestra in attesa delle trimestrali del terzo trimestre […]. In ogni caso, la conclusione da trarre, per ora, è che di questo rally, e della grancassa mediatica che ha salutato i nuovi massimi di Wall Street, è giusto essere scettici.”
Il 21 ottobre, subito dopo il “mini-crash” di venerdì 19 ottobre, scrivevo, dopo aver lasciato la parola a due dei miei analisti preferiti, Brett Steenbarger e Paul Kasriel:
“Il ‘mini-crollo’ di venerdì ha cominciato a ristabilire un clima di mercato meno irrazionale e più rispondente ai fondamentali. I nuovi massimi di molti indici azionari riflettevano scommesse speculative ed eccessi di ottimismo di una parte sempre meno rappresentativa dell’universo degli operatori. In questa fase, è giusto invece essere dubbiosi, incerti e anche un po’ timorosi. E’ possibile, e forse probabile, che i mercati azionari debbano ritestare i minimi di agosto prima di decidere sul serio il loro corso futuro” […]
Al test dei minimi di agosto siamo ora arrivati. E il contesto, sia tecnico che macroeconomico, come ci dicono sempre Steenbarger e Kasriel, si va deteriorando.
Un mercato sempre più fragile
In un post pubblicato mercoledì sul suo blog Traderfeed, Steenbarger osserva come la flessione degli indici nelle ultime settimane sia stata accompagnata da:
a) la continua espansione del numero di titoli che vanno a segnare nuovi minimi a 52 settimane (New Low);
b) l’incessante debolezza dei settori più penalizzati del mercato (l’indice del settore bancario ha perforato i minimi di agosto);
c) l’amplificarsi di segnali di flight to safety, e cioè di avversione al rischio e ricerca della sicurezza, come ad esempio la corsa all’acquisto di titoli di Stato, che ha spinto i rendimenti del T-bond decennale sotto il 4% per la prima volta dal 2005.
Steenbarger ammette che la sua ipotesi interpretativa, a partire dall’estate, era stata che una correzione fosse alle porte, ma non un bear market.
Fino a qualche settimana fa era sua convinzione che il test dei minimi di agosto, da lui previsto, avrebbe potuto risolversi positivamente, grazie alle forti iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali e alla solidità dei titoli a larga capitalizzazione.
Ma ora Steenbarger osserva come l’espansione dei New Low – e la fragilità tecnica che questo indicatore denuncia – riguardi non più solo il NYSE, e cioè la generalità del mercato, ma anche l’S&P 500, ossia le large cap. “Io seguo i miei indicatori e non compro un mercato dove i New Low sono in aumento.”
La conclusione di Steenbarger è che “dalla fine della scorsa settimana, i segnali di debolezza si stanno intensificando, non riducendo, e questo per i Tori (gli ottimisti) deve essere un motivo di preoccupazione.”
Una recessione difficile da evitare
Se il quadro tecnico peggiora, lo stesso si può dire dei fondamentali macroeconomici.
I rischi di recessione, come mettono in chiaro Kasriel e il suo team a Northern Trust, sono in aumento.
E’ di ieri l’ultimo aggiornamento del LEI (o superindice economico, com’è conosciuto in Italia). Dell’importanza di questo indicatore, che ha correttamente predetto, con un trimestre circa di anticipo, tutte le recessioni americane degli ultimi 50 anni, con l’unica eccezione di un falso segnale nel 1966, ho già scritto nel post L’economia Usa e lo spettro della recessione .
Ecco il grafico, che riprendo da Northern Trust (le recessioni sono rappresentate dalle bande grigie):
Come spiega Asha Bangalore, dopo un effimero rimbalzo nel terzo trimestre, il LEI è tornato a spingersi in territorio negativo. E le prospettive sono di ulteriore indebolimento, visto che uno dei pochi elementi di relativa forza nel dato pubblicato ieri è stato l’andamento del mercato azionario a ottobre. Ma sappiamo come Wall Street abbia poi mutato decisamente rotta a novembre.I segnali infausti provenienti dagli Usa sono, peraltro, numerosi, come ci ricorda Paul Kasriel in un’analisi pubblicata all’inizio di questa settimana.
Tra i più preoccupanti c’è l’andamento delle vendite al dettaglio, scese a ottobre, in termini reali (al netto, cioè, dell’inflazione) dell’1,65% annuo. Quello che sta accadendo, dice Kasriel, è che la crisi del mercato della casa sta finalmente inducendo le famiglie americane a moderare i consumi al fine di rimpinguare livelli di risparmio troppo bassi.
L’impennata del tasso di risparmio è una dinamica che si è manifestata subito prima di tutte le recessioni degli ultimi 40 anni, come evidenzia il grafico che segue:
Sulle prospettive del mercato della casa, all’origine del rallentamento dell’economia e dei patemi delle Borse, non c’è poi da illudersi.I prezzi, da qualche trimestre, hanno cominciato a flettere perché l’offerta di immobili supera la domanda. Ma questo squilibrio è destinato ad aumentare nei prossimi mesi. Insolvenze e pignoramenti sono in rapida ascesa, e spingono una massa crescente di immobili sul mercato.
Il risultato è che le scorte di case invendute, in rapporto al numero di case vendute, hanno già superato i livelli toccati nella recessione del 1990-91 e seguitano a impennarsi, come risulta chiaro dal grafico che segue (il quale mostra, per chi non sappia decifrare l’inglese, che al ritmo attuale di vendita occorrerebbero 10,3 mesi per esaurire le scorte di case invendute):
La caduta dei prezzi delle case, conclude Kasriel, è con ogni probabilità destinata ad accelerare nel 2008, con due effetti negativi. Verrà ulteriormente ridotta la capacità delle famiglie Usa di indebitarsi, e sostenere in questo modo i consumi. E diminuirà ancora il valore del collaterale sottostante all’enorme massa di Asset-backed securities (ABS), su cui Wall Street ha costruito negli ultimi anni quella bolla del credito che con fragore sta ora scoppiando.
Per cercare di evitare una recessione, la Federal Reserve dovrebbe per Kasriel portare i Fed funds al 3,5% entro la metà del 2008. Ma c’è da dubitare che sarà in grado di farlo. Con il petrolio a 100 dollari al barile e il dollaro già così debole, ci sono rischi sia di inflazione che di un collasso del biglietto verde.
Quale può essere la conclusione? Un quadro tecnico e fondamentale in peggioramento, e due enormi bolle – quella della casa e quella del credito – che hanno appena iniziato a sgonfiarsi, mi pare che rendano più credibile, almeno per ora, mettere in conto che le soglie di agosto non reggano a lungo.
Qui da noi hanno già ceduto. Ma importa poco. Anche chi investe a Piazza Affari è su Wall Street che deve tenere puntato lo sguardo.
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