Investire non è un’attività semplice e istintiva, come può essere giocare al “gratta e vinci” o partecipare alla lotteria di Capodanno. Si tratta invece di un’occupazione complessa, che richiede cultura e carattere, ossia, in una parola, formazione. Non sto dicendo nulla di nuovo. L’importanza della formazione degli investitori (investor education) per il buon sviluppo dei mercati finanziari è stata riconosciuta da tempo in tutto il mondo civile. E sono in tanti quelli che se ne occupano, ai più alti livelli. Vorrei allora proporre una mia parzialissima rassegna di quanto viene fatto in America, in Europa e in Italia, da cui purtroppo si intuirà quale sia il gap che noi dobbiamo ancora colmare.
Investor education in America
In America, leader indiscusso anche in questo campo, la financial literacy (alfabetizzazione finanziaria) e l’investor education sono preoccupazioni primarie di istituzioni sia pubbliche che private, con un’attenzione che si estende fino al mondo dei giovani e della scuola.
E’ questo il caso della Federal Reserve, la banca centrale, che ha un sito ad hoc per la formazione, con un’intera sezione riservata alle risorse educative per gli insegnanti, e che approfondisce i temi dell’education anche nella sua attività di ricerca.
Ma il settore privato non è da meno, a partire dall’American Association of Individual Investors, un’associazione non profit nata nel 1978 e diventata oggi una “potenza” con 150mila membri e un sito straricco di informazioni (in parte riservate agli iscritti ma in parte accessibili da tutti).
L’esempio americano è stato seguito in molti paesi. E un modo semplice per rendersene conto è fare un rapido tour dei luoghi dove si concretizza l’attività di investimento, e cioè i mercati organizzati.
NYSE, Amex, Nasdaq, così come CBOE, CBOTeCME, e cioè i principali exchange americani, offrono tutti, nei loro siti, delle ampie sezioni dedicate all’education, accessibili da chiunque gratuitamente.
Il NYSE, il mercato più grande, si vanta addirittura di essere “the most investor-friendly market in the world…dedicated to protecting the interests of all investors, large and small” (“il mercato al mondo più attento ai bisogni degli investitori, dedicato a proteggere gli interessi di tutti gli investitori, grandi e piccoli”). Lo annuncia proprio in apertura di un sito che, così come nel caso della Fed, è ricco, ben organizzato e comprende anche manuali, rivolti agli insegnanti, per l’educazione finanziaria nella scuola dell’obbligo.
Investor education in Europa
Ma neppure i mercati dei principali paesi europei trascurano le esigenze dei piccoli investitori, a partire dal LSE, che mette a disposizione una sezione con materiali didattici a due livelli, per principianti, dove vengono illustrate tutte le conoscenze di base, e per investitori esperti, dove si arrivano ad analizzare “tattiche e strategie.”
Ci sono poi corsi online più approfonditi su strumenti d’investimento come le azioni o i covered warrant e sussidi su come partecipare a uno dei 12mila “investment club” del paese o crearne di nuovi. Tutto il materiale è gratuito e accessibile da chiunque (i corsi online richiedono una semplice registrazione).
Deutsche Boerse, nella sezione del suo sito riservata agli “investitori privati”, ha una parte, chiamata “Knowledge Base”, dove è disponibile una dettagliata rassegna di tutte le conoscenze di base (“Basics Overview”), che va dalla struttura, funzionamento e storia del mercato, alla spiegazione degli indici e delle caratteristiche di tutti i vari strumenti d’investimento; c’è un segmento chiamato “First Steps” (primi passi), dove sono discusse le diverse strategie d’investimento o le differenze tra investire e speculare; c’è ancora un segmento “Trading Standards” dove sono chiariti gli aspetti più tecnici del trading e presentati una serie di altri servizi per gli investitori (newsletter, seminari, etc); c’è infine un glossario.
Euronext, che abbraccia i mercati francese, olandese, belga e portoghese, ha una sezione riservata all’education divisa in tre parti: una che illustra il funzionamento del mercato e le sue regole; una che illustra le caratteristiche di tutti gli strumenti quotati (e che comincia, naturalmente, con una pagina intitolata “What is a stock?”, cos’è un’azione); una, infine, riservata al centro di documentazione, ben organizzato tematicamente, con uno scaffale di documenti PDF mirati alla formazione degli investitori.
Ma c’è molto di più. Due link inviano all’ottimo sito della Fédération Francaise des Clubs d’Investissement e al sito collegato L’Ecole de la Bourse, una vera e propria scuola online (completamente gratuita), con sussidi, biblioteche, dizionari, etc. etc.
A Madrid la Bolsa ha una delle quattro sezioni principali del sito dedicata alla “Formaciòn”, con sei sottosezioni. Le prime due presentano corsi e master residenziali e a pagamento, ma le altre quattro mettono a disposizione preziose risorse online gratuite: un corso introduttivo, di taglio pratico e completo, che va dall’identificazione del profilo dell’investitore, alla scelta degli strumenti e dell’intermediario, l’analisi dei costi, l’esecuzione degli ordini, il monitoraggio del portafoglio, fino a concludersi con un sintetico “decalogo dell’investitore”; materiale per partecipare ai “Clubes de Inversiòn” (club d’investimento) o per costituirne di nuovi; otto guide online (“Guias del inversor”) che analizzano più in dettaglio tutti gli aspetti dell’attività d’investimento; e infine un glossario.
Investor education in Italia
E da noi? Cosa offre Borsa Italiana per la formazione dei piccoli investitori? In evidenza, per chi si affaccia al sito, c’è un glossario. Ma l’investitore paziente, meticoloso, e dotato di buon fiuto, potrà trovare in fondo alla sezione “documenti” una sottosezione intitolata, un po’ sibillinamente, “rubriche.”
Di che si tratta? Degli archivi di “Borsa informa”, comunicazioni quasi quotidiane contenenti calendari economici e sintesi delle nuove raccomandazioni emesse da analisti di banche e broker; e di “Sotto la lente”, una rubrica settimanale che presenta, in modo piuttosto accademico, temi specifici di cultura finanziaria.
Ci siamo, dunque. Anche se un po’ a fatica, siamo arrivati all’investor education. Peccato, però, che oltre a una certa asciutta astrattezza, i vari numeri della “rubrica” si presentino completamente scollegati tra loro.
Un assiduo studente di questa sorta di “corso” di Borsa Italiana avrebbe così appreso, proprio all’inizio, il 3 ottobre 2005, cosa sono gli ETF; il 24 ottobre 2005 si sarebbe fatto un’idea dei covered warrant e il 28 novembre dello stesso anno sarebbe stato introdotto alle opzioni. E le azioni? Beh, cosa sia un’azione “Sotto la lente” finora non l’ha voluto rivelare. Però il 10 febbraio 2006 il nostro tenace studente avrebbe capito cosa sono le obbligazioni e il 21 luglio dello stesso anno avrebbe compreso anche i fondi comuni. Per avvicinarsi all’asset allocation avrebbe però dovuto fare ricorso a tutta la sua pazienza, e aspettare l’8 giugno di quest’anno.
Naturalmente a Borsa Italiana lavorano degli ottimi professionisti, che la formazione la sanno fare. Ma per intuirlo bisogna trasferirsi su un altro sito: Academy – Borsa Italiana. Qui la metodologia, come viene subito messo in chiaro, è rigorosa, e si fa ampio uso di quello “scaffolding” (ossia organizzazione della materia) che manca a “Sotto la lente.” E si applicano approcci innovativi, basati sulla centralità del discente e il “peer tutoring”.
Fantastico, verrebbe da pensare. E forse lo è, anche se la gran parte dei piccoli investitori non lo accerterà mai. Su Academy, infatti, si paga, e salato.
I corsi online “in autoapprendimento” costano mediamente attorno ai 200-300 euro per due-tre ore di utilizzo delle “piattaforme e-learning”, mentre i corsi “in aula”, della durata variabile tra i due e i cinque giorni, costano attorno ai 2.000-3.000 euro. Per chi abbia esigenze particolari, ci sono poi i corsi “in house”, customizzati. Ma qui la spesa presumibilmente lievita, e non viene precisata.
Investitori retail e Borsa
Un aspetto curioso della mia visita al sito di Borsa Italiana è che, a un certo punto, svoltando a sinistra anziché a destra nella sezione “documenti”, sono finito nella sottosezione “pubblicazioni” anziché in quella “rubriche”. E qui ho trovato BItNotes, una raccolta di analisi sulle “problematiche del mercato borsistico” curata dall’ufficio studi di Borsa Italiana.
Ho così scoperto che nel 2001 e poi di nuovo nel 2004 Borsa Italiana ha realizzato una ricerca su Investitori retail e Borsa nel nostro paese. Ho finito per leggere quella più recente, del 2004, ed è stato tempo ben impiegato. Anzi, se la cadenza triennale viene rispettata, spero di poter presto trovare sul sito anche un terzo rapporto, fresco di stampa. Ecco, comunque, quello che ho appreso:
a) “L’attività degli investitori retail in azioni è un fenomeno di dimensioni consistenti in Italia, sia per rilevanza sulla capitalizzazione del mercato azionario sia per numero di risparmiatori. Dal 1999 le famiglie italiane detengono stabilmente più del 25% della capitalizzazione complessiva del mercato azionario (circa la metà del flottante), rappresentando una quota importante di domanda e una fonte rilevante di risorse per le società che decidono di finanziarsi attraverso di esso.”
“Nel confronto con i principali mercati azionari a livello internazionale, la situazione italiana presenta una delle più elevate incidenze delle famiglie sulla proprietà delle società quotate.” Nel periodo 2001-2003 hanno detenuto oppure negoziato azioni italiane quotate circa 3 milioni di famiglie (14,1% del totale). C’è poi un 3,8% che ha investito direttamente in azioni estere e un 9,9% che ha investito indirettamente in azioni attraverso fondi comuni o gestioni patrimoniali. “Complessivamente, il 19,7% delle famiglie, nel triennio, ha detenuto, acquistato o venduto strumenti azionari.”
b) Il 43% degli italiani è catalogabile come “indipendente”, non è cioè disposto a delegare le decisioni di investimento. Ma con quali conoscenze opera in proprio? “Risulta in generale una situazione piuttosto povera dal punto di vista del grado di diffusione delle conoscenze finanziarie.” […]
“Tra venti famiglie di prodotti finanziari proposti ne sono note in media 11. I risultati di un sintetico quiz di 8 quesiti vero/falso indicano che in media vengono date tre risposte esatte su otto con un 11,6% degli intervistati che sbaglia o non sa rispondere a tutte le domande proposte.” “Solo il 40,4% dichiara di conoscere la differenza tra strumenti quotati e non quotati.”
c) Per il 92,3% l’intermediario di riferimento è una banca (percentuale che sale al 95% se si considera il canale online della banca tradizionale). Il canale online è utilizzato dal 9,6% del campione, le assicurazioni dal 7,5% (ma solo dall’1,5% per le azioni) e le Poste dal 4,2% (solo 0,7% per le azioni).
E quali sono le ragioni per la scelta dell’intermediario? Al primo posto è l’abitudine (il 48,6% degli intervistati), cui segue il buon rapporto con una persona all’interno dell’azienda (45,1%). Caratteristiche e costi del servizio sono poco citati. “Nel confronto col rilevamento del 2001 si nota una situazione di profonda staticità sia nella tipologia dell’intermediario che nelle motivazioni alla base della sua scelta.”
d) I livelli di soddisfazione nei confronti degli intermediari prescelti “presentano delle criticità”. In particolare, la maggiore insoddisfazione è espressa riguardo alla remunerazione degli investimenti e alle commissioni e costi del servizio con punteggi medi di 2,91 nel primo caso e 2,85 nel secondo (in una scala da 1, per niente soddisfatto, a 5, molto soddisfatto). Comunque, la frequenza di abbandono degli intermediari utilizzati è estremamente ridotta.
e) Le fonti d’informazione più importanti sono quelle relazionali, con l’impiegato di banca al primo posto (oltre il 40% dei casi), seguito da promotori finanziari, familiari e amici (attorno al 30%). Seguono carta stampata, TV (televideo) e Internet. Rispetto al 2001, aumenta l’importanza delle fonti relazionali e cala l’importanza di tutte le altre.
Il grado di soddisfazione è medio (3,6), ma in flessione rispetto al 2001. Tra chi si dice insoddisfatto la prima causa citata (nel 43% dei casi) è la difficoltà di comprensione delle informazioni. Pochi (15%) mettono in discussione il grado di affidabilità delle informazioni.
“Le richieste degli investitori vanno nella direzione di un’informazione sintetica, comprensibile e chiara, anche alla luce del tempo che tali soggetti dedicano all’attività di investimento (poco più di un’ora in media la settimana).”
f) Ecco le conclusioni del rapporto: “La domanda retail di azioni italiane quotate è un importante e significativo patrimonio per il mercato azionario italiano […] Si presenta però un quadro complessivo con rilevanti fragilità” […]
“Vi è infatti un generalizzato bisogno di ricostruire la fiducia nei confronti dei meccanismi che regolano i mercati finanziari e di coloro che operano sui mercati finanziari stessi, oltre che di una forte e continua opera di education […] La relazione con il mercato azionario è per certi aspetti ancora elementare e necessita […] di alimentarsi sulla base di una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’investimento azionario in un’ottica di asset allocation ottimale” […]
“Il punto cruciale che sembra emergere è quello dell’informazione e dell’education. Al mercato l’investitore retail chiede un’informazione corretta, esaustiva e tempestiva e non soggetta alle logiche di conflitto di interesse; ai mezzi di comunicazione lo sforzo di semplificare e di rendere fruibili i temi finanziari.”
“Nel contempo torna in modo rilevante il tema della formazione finanziaria. Vi è, tra gli investitori retail, una diffusa incertezza su concetti basilari relativi ai temi finanziari […] Creare le condizioni per una maggiore consapevolezza delle scelte dovrebbe essere un obiettivo primario di tutti gli attori del mercato finanziario”. […]
La conclusione è ineccepibile. Ma se l’obiettivo è primario, gli “attori” perchè non lo perseguono? Viene il sospetto che per certi attori declamare l’importanza dell’investor education sia, appunto, una recita.
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