Gli italiani e l’informazione finanziaria online
Mi sono alzato stamani chiedendomi quale sia l’interesse degli italiani per l’informazione finanziaria online (è bizzarro, lo so, ma spero di non essere giudicato male). Non sapendo se esistano studi comparati affidabili e non volendo dedicare troppo tempo a questo mio assillo, ho imbastito un’estemporanea ricerca domenicale, giusto per ammazzare l’attesa per il ritorno di moglie, figli e suocera da una settimana di vacanza a Parigi.
Ho fatto dei confronti. La finanza è un fenomeno globale e la sua prima lingua è l’inglese. Sono così andato a vedere come si suddividano per nazionalità i lettori dei più prestigiosi siti di informazione finanziaria in lingua inglese: Bloomberg, Reuters, Wall Street Journal, Financial Times, Barron’s, The Economist. Si tratta di due info provider in tempo reale, due quotidiani e due settimanali, tre americani e tre inglesi, che offrono versioni online molto ben curate e facilmente accessibili.
I risultati si trovano su Alexa e li riporto qui di seguito:
Bloomberg.com:
Usa 40,9%, Canada 5,5%, UK 4,7%, Hong Kong 3,2%, Singapore 3,1%, Indonesia 2,8%, India 2,7%, Australia 2,4%, Malesia 2,3%, Giappone 2,1%, Spagna 1,5%, Israele 1,4%, Cina 1,4%, Filippine 1,2%, Tailandia 1,1%, Taiwan 1,1%, Germania 1,1%, Russia 1,0%, Francia 0,9%, Arabia Saudita 0,8%, Portogallo 0,8%, Turchia 0,7%, Nuova Zelanda 0,7%, Vietnam 0,7%, UAE 0,6%, altri paesi 15,1%. (Italia non classificata nei top 25)
Reuters.com:
Usa 51,0%, UK 5,9%, Canada 4,8%, Giappone 2,0%, Germania 1,9%, India 1,8%, Australia 1,7%, Cina 1,6%, Spagna 1,5%, Egitto 1,2%, Singapore 1,1%, Israele 1,0%, Indonesia 0,9%, Arabia Saudita 0,9%, Brasile 0,8%, Francia 0,8%, Malesia 0,8%, Venezuela 0,8%, Messico 0,7%, UAE 0,7%, Hong Kong 0,6%, Perù 0,6%, Italia 0,6%, Olanda 0,6%, Turchia 0,6%, altri paesi 15,2%. (Italia 23°, ma questa classifica è probabilmente la meno rappresentativa, dato che Reuters ha diversi siti nazionali molto seguiti).
Wsj.com:
Usa 69,2%, Cina 6,0%, Canada 3,9%, UK 2,6%, India 1,3%, Australia 1,3%, Germania 1,0%, Spagna 0,8%, Israele 0,7%, Indonesia 0,7%, Giappone 0,6%, Messico 0,6%, Francia 0,6%, Hong Kong 0,5%, Singapore 0,5%, Nuova Zelanda 0,5%, Italia 0,5%, Filippine 0,4%, Malesia 0,4%, Romania 0,4%, Olanda 0,4%, Taiwan 0,4%, Argentina 0,4%, Tailandia 0,3%, Sud Africa 0,3%, altri paesi 5,9%. (Italia 17°)
FT.com:
Usa 38,6%, UK 23,9%, Canada 2,7%, Spagna 2,5%, India 2,1%, Cina 1,8%, Germania 1,8%, Francia 1,8%, Hong Kong 1,3%, Australia 1,3%, Olanda 1,1%, Giappone 1,0%, Italia 1,0%, Irlanda 0,9%, Singapore 0,9%, UAE 0,8%, Grecia 0,8%, Israele 0,8%, Turchia 0,8%, Russia 0,6%, Messico 0,6%, Svizzera 0,5%, Polonia 0,5%, Brasile 0,5%, Taiwan 0,5%, altri paesi 11,0%. (Italia 13°)
Barrons.com:
Usa 70,0%, Canada 4,4%, Israele 2,7%, Messico 2,1%, UK 2,1%, Venezuela 1,7%, Portorico 1,4%, Hong Kong 1,3%, Svizzera 1,1%, India 1,1%, Germania 1,0%, Cina 0,8%, Spagna 0,8%, Turchia 0,8%, Giappone 0,7%, Russia 0,7%, Italia 0,7%, Taiwan 0,6%, Indonesia 0,6%, Australia 0,6%, UAE 0,4%, Malesia 0,4%, Singapore 0,4%, Polonia 0,3%, Irlanda 0,3%, altri paesi 3,0%. (Italia 17°)
Economist.com:
Usa 33,5%, Francia 9,1%, UK 8,8%, Canada 5,5%, Cina 3,3%, India 2,4%, Germania 2,0%, Spagna 1,9%, Australia 1,6%, Giappone 1,3%, Nuova Zelanda 1,2%, Singapore 1,1%, Sud Africa 1,1%, Hong Kong 1,1%, Romania 1,0%, Brasile 1,0%, Italia 1,0%, Malesia 0,9%, Olanda 0,9%, Israele 0,9%, Argentina 0,8%, Tailandia 0,8%, Turchia 0,8%, Messico 0,7%, Portogallo 0,7%, altri paesi 16,5%. (Italia 17°)
Si potrebbero fare diverse osservazioni. Ma quel che qui mi interessa è notare come l’Italia stia sempre nella parte bassa della classifica dei top 25 (o fuori classifica nel caso di Bloomberg), indietro rispetto a tutti i principali paesi europei (sempre molto alle spalle anche della Spagna), con una percentuale di lettori che oscilla tra 0,5% e 1,0%.
Mi sembra evidente che un risultato così deludente (almeno per me, che faccio il giornalista finanziario) non può riflettere la quantità di ricchezza e risparmio presenti da noi, o l’interesse degli italiani per un buon impiego dei loro capitali (che è ragionevole pensare non sia inferiore a quello dei cittadini e lettori di altri paesi).
Seguaci di Taleb?
La causa più intellettualmente stimolante di un tale disinteresse per l’elite dei media finanziari internazionali potrebbe essere forse attribuita, in via del tutto teorica, a una peculiare caratteristica degli italiani: il fatto di essere dei “talebani ante litteram”. E qui mi scuso per il parlare oscuro e mi spiego.
Mi riferisco a Nassim Nicholas Taleb, e in particolare al suo The Black Swan, un libro penetrante e sofisticato uscito da poche settimane in lingua inglese.
Nel prologo, Taleb, introducendo le tesi della sua opera, sostiene tra l’altro che non è ciò che conosciamo a essere importante, ma piuttosto ciò che non conosciamo. E questo apparente paradosso l’autore lo giustifica facendo notare come, nella storia umana, non siano stati gli accadimenti prevedibili e previsti a fare la differenza, ma quelli rari, estremi, imprevedibili: i cosiddetti Black Swans, o cigni neri (è, questa, una citazione da Karl Popper).
Conclude Taleb: “Ordinary events, the ones we study and discuss and try to predict from reading the newspapers, have become increasingly inconsequential” (Gli eventi ordinari, quelli che studiamo e discutiamo e cerchiamo di prevedere leggendo i giornali, sono diventati sempre più irrilevanti).
L’argomentazione è più che suggestiva, tanto che sarei tentato di definirmi un “giornalista talebano”, se non mi rendessi conto di aver così coniato un ossimoro di difficile praticabilità. Ma lasciando perdere me stesso, è realistico pensare che gli italiani, in rapporto ai media, siano tutti, e senza saperlo, seguaci di Taleb? Forse no.
Restano allora, almeno mi pare, quattro possibili spiegazioni:
a) gli italiani usano Internet meno degli altri;
b) gli italiani hanno difficoltà con l’inglese più degli altri;
c) gli italiani preferiscono, più degli altri, utilizzare solo fonti d’informazione nazionali, forse per effetto di una visione più localistica dei mercati finanziari (ispirata, magari, dal famoso detto di Clemente Mastella sulla prevalente importanza dei “mercati rionali”);
d) gli italiani sono abituati a non fidarsi (per motivi meno filosofici di quelli di Taleb) dell’informazione economico-finanziaria veicolata dai media e, quando possibile, ne fanno volentieri a meno.
Tra queste quattro cause (o, forse, concause perchè tra loro connesse) non saprei dove puntare il dito. Ma l’analisi scientifica non è lo scopo che mi sono proposto col mio post. Posso anche fermarmi qui. Tanto, in ogni caso, non è un bello scegliere.
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