Buffett, Gross e gli schemi di Ponzi delle banche
Gli analisti tecnici di Credit Suisse hanno messo in luce, in uno studio di questi giorni, tutta una serie di analogie nel comportamento dei mercati tra l’attuale crisi del credito e la crisi delle Savings & Loans (casse di risparmio) americane del 1990. Il movimento degli indici azionari, l’entità del crollo del settore finanziario (con perdite superiori al 50%, allora come oggi, per un titolo guida come Citigroup), persino l’andamento del prezzo del petrolio o le punte elevate di pessimismo nel sentiment degli investitori presentano, fin qui, molte somiglianze.
Se i parallelismi continueranno – conclude Credit Suisse – un fondo ai ribassi delle Borse dovrebbe essere toccato a febbraio, con un panic bottom in prossimità di quota 1300 per l’S&P 500.
L’inversione di rotta dovrebbe a quel punto essere segnalata dalla stabilizzazione prima, da un gran rally poi del settore finanziario.
Nei sei mesi successivi al raggiungimento dei minimi, nell’ottobre 1990, i titoli finanziari, pesantemente ipervenduti, segnarono un avanzamento del 50% risultando di gran lunga il settore migliore del mercato. Progressi quasi insignificanti furono invece fatti registrare dai leader della precedente fase di ribassi: telefonici, servizi di pubblica utilità, energetici.
Che dire? Questo genere di confronti piace molto agli analisti tecnici, forse anche perché produce grafici di grande impatto visivo. Ma il raziocinio e un po’ di esperienza me ne fanno diffidare.
I mercati finanziari e la crisi del credito di oggi sono troppo diversi da quelli del 1990 perché ogni apparente analogia nel comportamento di alcuni indicatori non si dimostri, a lungo andare, come in larga misura casuale.
C’è però un dato dell’analisi di Credit Suisse che mi pare più interessante e fondato. Senza una stabilizzazione e una ripresa del settore finanziario americano (l’epicentro della crisi di allora come di quella di oggi) è improbabile che i mercati azionari abbiano la forza di imboccare un trend rialzista.
In America come altrove, le banche sono troppo importanti per il buon funzionamento dell’economia e hanno un peso troppo rilevante negli indici di Borsa per pensare che senza il loro contributo la crisi possa essere lasciata alle spalle.
Grafici da brivido
Uno sguardo alla performance del settore bancario offre per ora scarso conforto.
Ecco quanto sta succedendo negli Usa, in un grafico realizzato grazie a StockCharts:
E quanto sta accadendo in Europa, in un grafico accessibile sul sito Stoxx.com (il settore bancario, confrontato all’indice Stoxx TMI, è indicato dalla linea più chiara):
Un’impressione se possibile ancora peggiore la dà il seguente grafico di lungo periodo, relativo ai titoli bancari americani, che Marty Chenard ha pubblicato sul sito Safe Haven qualche giorno fa:
Come si vede, il tracollo degli ultimi mesi ha prodotto la netta rottura di una trendline rialzista risalente addirittura al 1994.
La velocità e la profondità del movimento più che far presagire imminenti inversioni del trend, agitano inquietanti interrogativi sui rischi di un devastante crash. E richiamano alla mente un vecchio detto di Wall Street: le azioni, quando salgono, usano le scale, ma quando scendono, prendono l’ascensore (“a stock takes the stairs up, but the elevator down”).
I grafici di prezzo, naturalmente, ci raccontano solo dei movimenti di superficie. Non ci aiutano a capire se ci sia o non ci sia “valore” nei mercati. Per questo, bisogna guardare più in profondità, o ascoltare chi ha la capacità di farlo.
Buffett e le banche
Nel periodo di Natale mi era sfuggita. Ma fortunatamente, nei giorni scorsi, sono riuscito a ripescare dal mio Google Reader un’intervista della CNBC a Warren Buffett (nella foto in alto), del 26 dicembre.
Si tratta, come sempre, di un Buffett arguto, rilassato e divertente, che discute in primo luogo la sua acquisizione del gruppo Marmon (con la quale, dice, si è finalmente “guadagnato lo stipendio” per il 2007, visto che fino a Natale non aveva fatto altro che “bighellonare”!).
A un certo punto, l’intervista passa al tema del giorno, e cioè le banche.
Con diversi grandi gruppi intenti a fare pulizia nei conti, ad annunciare enormi svalutazioni di asset e a cercare di ricapitalizzarsi, a Buffett viene chiesto se non sia stato anche lui contattato, visto che è noto come nei bilanci di Berkshire Hathaway, la sua holding, ci siano 40 miliardi di dollari in cash, che attendono occasioni propizie per essere investiti.
Buffett conferma che sì, è stato avvicinato (“la gente conosce il nostro numero di telefono”) e gli sono state fatte delle proposte di investimento. Ma “we haven’t seen anything we want to move on […] so far we have not seen a deal that causes me to start salivating” (“Non abbiamo visto nulla su cui vogliamo muoverci…non ho ancora visto un affare che mi faccia venire l’acquolina in bocca”).
Nel settore bancario, insomma, per Buffett ci sono ancora più rischi che opportunità. Sommariamente, l’Oracolo di Omaha qualche motivo lo accenna: i problemi sono tali che “non possono essere risolti in un breve lasso di tempo”, certi utili messi a bilancio erano “illusori” e ora pulizia dovrà essere fatta, e questo significa che per un po’ di anni è probabile che alcune della grandi banche “non saranno in grado di riportare i loro profitti al top.”
Ingegneria finanziaria e nuovi prodotti derivati hanno spinto molti gruppi creditizi nei guai. E rimettere ordine non sarà facile.
Citando il Ceo di Wells Fargo, Buffett osserva: “I don’t know why the banks had to find new ways to lose money when the old ones were working so well” (“Non capisco perchè le banche abbiano dovuto andare in cerca di nuovi modi per perdere soldi quando quelli vecchi funzionavano così bene”).
Gross e le banche
Buffett non lo dice, ma è probabile che avesse in mente alcuni dei ragionamenti che un altro grande asset manager, Bill Gross di PIMCO, ha invece esplicitato nella sua ultima lettera mensile agli investitori.
L’enorme crescita di sempre più esotici prodotti derivati nel mercato del credito, finiti per lo più in pancia a quei nuovi, oscuri e poco regolati attori che vanno sotto il nome di conduits, SIVs e hedge funds (il cosiddetto “sistema bancario ombra”), ha finito in questi anni per assumere i tratti di una colossale fioritura di schemi di Ponzi, dove il gioco poteva durare finchè i mercati (e il credito) si espandevano.
Non ci sono, osserva Gross, solo i problemi risalenti al mercato della casa: i mutui subprime e le cartolarizzazioni, che per un po’ hanno consentito di ignorare o di oscurare i rischi impliciti in pratiche di credito immobiliare troppo disinvolte, ma che alla fine arriveranno a infliggere almeno 250 miliardi di dollari di perdite ai bilanci delle banche.
Un’altra bomba in attesa di scoppiare è quella dei Credit Default Swaps (CDS), derivati nati negli anni ’90 con finalità di assicurazione contro i rischi di insolvenza sui debiti societari.
Il mercato, che non è organizzato, e dove i rischi sono concentrati tra le due controparti di ogni contratto, è cresciuto a dismisura in questi ultimi anni di vacche grasse e liquidità a go go, raggiungendo, a fine 2007, un valore di 43 mila miliardi di dollari, pari – nota Gross – a oltre la metà degli asset del sistema bancario globale.
I CDS in genere non sono supportati da garanzie, né dall’accantonamento di riserve da parte del “protection seller”, e cioè la controparte (in genere una banca) che assicura contro il rischio di default.
Sono insomma andati configurandosi come un’industria assicurativa follemente speculativa, senza adeguati controlli e senza capitali messi a riserva nel caso di perdite.
Stima Gross che se i default su prestiti societari saliranno nel 2008 verso la media storica dell’1,25%, che è poi più o meno quanto prevedono Moody’s e S&P’s, le perdite a carico dei “protection seller” potrebbero ammontare ad altri 250 miliardi di dollari – facendo così raddoppiare l’entità del salasso ascrivibile alla crisi dei mutui subprime.
La conclusione di Gross è che il sistema bancario è miseramente sottocapitalizzato per far fronte al collasso di tutti questi “schemi di Ponzi.” Alcuni istituti salteranno, altri saranno ridimensionati. La forzata contrazione nell’attività di credito (credit crunch) renderà inevitabile una recessione.
Il “sistema bancario ombra” scomparirà e chi sopravvivrà – grazie anche agli energici interventi di politica monetaria e fiscale che le autorità metteranno in campo (Gross si aspetta i Fed Funds al 3% entro giugno) – si ritroverà in un sistema finanziario diverso, con nuovi rischi ma, sicuramente, meno effetto leva.
Dunque, riassumendo, per Buffett il fondo della crisi è ancora lontano e ci vorranno anni per completare il lavoro di pulizia. Per Gross è scoppiata una bolla epocale fatta di speculazioni e schemi piramidali che costringerà a ridisegnare il sistema finanziario americano e globale.
Per ogni investitore accorto non può che essere tempo di paziente attesa e grande cautela. Alla fine, per chi avrà saputo aspettare, le opportunità si ripresenteranno.