Omaggio a Popper I
Si è svolto i giorni scorsi a Milano un convegno dal titolo “Economia e Società Aperta”, organizzato dall’Università Bocconi e dal Corriere della Sera. E’ un evento che mi rallegra e che spero porti frutti, rivelandosi un momento di discontinuità per il nostro paese. Di discontinuità abbiamo infatti bisogno. E in poche parole cercherò di spiegarmi. “Società aperta” fa riferimento all’opera più famosa di Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, pubblicata nel 1945. Penso ci siano almeno due buoni motivi per considerare Popper uno dei grandi maestri del pensiero europeo.
1) E’ stato forse il più importante filosofo della scienza del ventesimo secolo. Ci ha insegnato a capire – e a praticare – un metodo sviluppatosi in Europa e diventato la più evoluta forma di pensiero umano finalizzato alla “ricerca della verità”.
2) Scrivendo nel 1945, Popper rifletteva su tre decenni di crisi quasi esiziale per i popoli e la civiltà europea, travolti dall’irrazionalismo nichilista e criminale di nazismo e fascismo e dalle false promesse, congiunte a una “realtà crudele”, del marxismo-leninismo in versione staliniana.
Il “razionalismo critico”, che il libro andava elaborando, intendeva ristabilire, a fondamento della convivenza umana, quei valori di pace, tolleranza e pluralismo, che avevano fatto grande l’Europa.
Alle origini de La società aperta
Nell’introduzione a Il mito della cornice, Popper scrisse parole illuminanti sul senso de La società aperta e i suoi nemici.
“[…] difendere la razionalità e la critica razionale. E’ un modo di pensare e fors’anche di vivere: la disponibilità ad ascoltare le obiezioni, a cercare i propri errori e a imparare da essi. Fondamentalmente si tratta dell’atteggiamento che ho cercato di rendere (forse per la prima volta nel 1932) con le due seguenti righe:
‘Io posso avere torto e tu puoi avere ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità.’
“Le parole qui citate sono state pubblicate per la prima volta nel 1945, nel mio La società aperta; allora le avevo messe in corsivo per sottolineare la loro importanza: esse rappresentavano un tentativo di sintetizzare una parte davvero cruciale dei miei articoli di fede morale. La concezione che essi compendiavano l’ho chiamata “razionalismo critico.” […]
“[…] (Quelle parole) volevo che compendiassero una confessione di fede, esprimendola in modo semplice, in una lingua quotidiana non filosofica; una fede nella pace, nell’umanità, nella tolleranza, nella modestia, nel tentativo di imparare dai propri errori; e nelle possibilità della discussione critica. Era un appello alla ragione; un appello che speravo parlasse da ogni pagina di quel lungo libro.”
“E’ forse interessante raccontare come l’idea di scrivere quelle parole mi sia venuta. La devo a un giovane membro del Partito nazionalsocialista della Carinzia, non un soldato e neppure un poliziotto, ma che pure indossava l’uniforme del partito e portava una pistola. Deve essere stato non molto prima del 1933, l’anno in cui Hitler è salito al potere in Germania. Quel giovane mi disse: ‘Cosa? Vuoi discutere? Io non discuto: sparo!’. Forse è lui che ha piantato il seme del mio La società aperta.”
L’Italia: una società ancora chiusa e tribale
Queste sono dunque le origini de La società aperta. E ci aiutano a capire perché un libro così importante, pubblicato nel 1945, non sia stato tradotto in italiano fino al 1974 (ben ventinove anni dopo!). Il fatto è che, come ci ricorda Norberto Bobbio nel suo bellissimo Profilo ideologico del ‘900, quel pensiero liberale, democratico, critico, tollerante e non dottrinario – che ha Popper tra le sue voci più ispirate – appartenne in Italia a delle “mosche bianche” come Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini (di cui memorabile, e attuale, resta la frase: “Chi è convinto di possedere il segreto infallibile per rendere felici gli uomini, è sempre pronto ad ammazzarli”).
Per il resto, tra dogmatismi religiosi (quello cattolico), storicismi ideologici (quello marxista), idealismi antilluministici (quello crociano) e attivismi irrazionalistici (quello fascista), la storia delle idee del nostro paese nell’ultimo secolo (e più) è tutta un trionfo di posizioni autoritarie e “tribali”, per usare il termine impiegato da Popper per caratterizzare la “società chiusa.”
Per questo parlavo all’inizio di discontinuità. L’idea e la pratica della società aperta, così come fu intesa da Popper, resta per l’Italia una sfida impegnativa perché ha i tratti dell’impegno fondativo, quasi di un nuovo inizio per un paese che ha dovuto rinunciare alla lezione dei vecchi padri, inadatta ai problemi di un mondo globalizzato, ma che si trova così, da almeno due decenni, ad attraversare una crisi d’identità senza padri e, spesso, senza idee.
P.S.: Il metodo scientifico, per Popper, si può sintetizzare in tre passi:
a) inciampiamo in problemi;
b) tentiamo di risolverli elaborando teorie;
c) sottoponiamo teorie (ed errori) alla discussione critica.
E’ un approccio che diventa stile di vita: ci rende consapevoli della nostra fallibilità, capaci di adattarci in modi evolutivi (per tentativi ed eliminazione di errori), attenti agli altri e rispettosi della loro differenza, fiduciosi nella possibilità di realizzare passi avanti nella nostra conoscenza.
E’ un approccio – critico, razionale, tollerante, ottimista – quanto mai fecondo in molti campi del vivere, anche negli investimenti. E forse non è un caso se tra le più straordinarie creature che hanno abitato in questi ultimi decenni i mercati finanziari c’è quel George Soros, speculatore di enorme successo, ma prima ancora grande discepolo di Popper (fu suo studente alla London School of Economics) e illuminato filantropo.
N.B.: Questo omaggio continua con una mia personale raccolta di pensieri di Popper, che potete trovare qui: Omaggio a Popper II, Omaggio a Popper III, Omaggio a Popper IV, Omaggio a Popper V.
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