l'Investitore Accorto

Per capire i mercati finanziari e imparare a investire dai grandi maestri

Analisi strategica del ciclo I

Lo stato d’animo dell’investitore accorto alle prese con l’analisi del ciclo dovrebbe essere innanzitutto di diffidenza. I su e giù dell’economia e delle Borse sono infatti sin troppo discussi e analizzati in tutte le salse, con in genere un unico, negativo risultato: quello di indurre l’investitore a entrare e uscire continuamente dal mercato, facendo lievitare costi e tasse a scapito dei rendimenti.

Piuttosto del nevrotico e confuso agitarsi, sulla spinta delle ondate emotive che spesso colorano le analisi du jour – o quanto meno l’interpretazione che si finisce per darne – è molto meglio un atteggiamento distaccato e passivo, attento alla corretta definizione dell’asset allocation e al periodico bilanciamento del portafoglio.

Come ho però cercato di evidenziare in un post di qualche giorno fa, Cicli di mercato e rendimenti, l’investimento passivo soffre pure di una seria limitazione in tempi di Borse molto sopravvalutate: assicura i rendimenti del mercato, che però rischiano di essere negativi anche per periodi ventennali, e accettabili solo nel lunghissimo termine (50 anni o più).

Crisi di fiducia e recessioni

Come se ne esce? Forse con quella che potrei chiamare l’analisi strategica del ciclo. Mi spiego.

A studiare un po’ di storia dei mercati azionari, si vede che i grandi ribassi (dei piccoli, e cioè delle fisiologiche correzioni di un bull market, è meglio non curarsi) hanno, grosso modo, due tipi di fattori scatenanti: crisi di fiducia che diventano in breve veri attacchi di panico, come nel 1987 o nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, e le recessioni economiche, come – per stare agli ultimi 40 anni – quelle del 1970, 1974, 1980, 1982, 1990 e 2001.

Nel primo caso, i crolli di mercato sono improvvisi e convulsi, ma anche effimeri. Nel giro di qualche mese, gli indici ritornano ai livelli di partenza, dopo un terrificante “testacoda” che crea, distrugge, trasferisce enormi ricchezze, lasciando però in aggregato tutto come prima.

Nel secondo caso, l’evoluzione è più tortuosa e gli effetti di più lunga durata: gli indici perdono il 30%, 40%, 50% (o addirittura il 75%, quando partono da condizioni di “bolla” come il Nasdaq nel 2000) nell’arco di 1 o 2 anni e impiegano poi diverso tempo – decenni nel caso delle “bolle” – per tornare ai livelli iniziali.

Prevedere gli improvvisi attacchi di panico del mercato è impossibile (è il caso delle Torri Gemelle) o, per lo meno, estremamente problematico (nell’imminenza del Black Monday del 1987 ci fu chi liquidò le posizioni o andò “corto”, e divenne per questo celebre – ma non sapremo mai quanta parte giocò il caso nella straordinaria tempestività di quelle scelte).

Valutare i rischi di contrazione dell’attività economica, a livello globale o in un sistema-guida come quello americano, è invece possibile. E l’analisi strategica del ciclo solo a questo dovrebbe mirare: consentire all’investitore di non farsi cogliere impreparato dalla recessione, un evento che tende ciclicamente a ripetersi ogni 5-10 anni e la cui singolare rilevanza è data dal fatto di sommare in sé i caratteri della relativa prevedibilità e della brutale traumaticità.

Il mercato come barometro dell’economia?

Si potrebbe obiettare che non c’è barometro migliore del mercato stesso. Quale più tempestivo strumento di valutazione del ciclo dell’analisi tecnica degli indici? Saranno le Borse stesse (o l’analisi intermarket) ad avvertirci che una recessione è alle porte e che è arrivato il tempo di tirare i remi in barca…

Purtroppo le cose non stanno esattamente così. E’ nota la battuta del premio Nobel Paul Samuelson, il quale osservò ormai diversi anni fa come il mercato azionario avesse “previsto nove delle ultime cinque recessioni.”

E’ un’osservazione arguta, che però potrebbe essere forse aggiornata, nel senso inverso (“cinque delle ultime nove…”). Da un po’ di tempo, gli investitori sembrano collettivamente farsi prendere dall’euforia proprio quando una recessione è imminente, e soccombere alla sua ineluttabilità solo quando è tardi, e l’evidenza non può più essere negata.

Forse – ma qui azzardo un’interpretazione più discutibile di altre – nelle nostre economie così dominate dalla finanza, gli interessi tesi a far sì che continui il moto ascendente dei mercati dei capitali si sono fatti tanto pervasivi da mobilitarsi in massa e con evidente quanto momentaneo successo quando la minaccia di un’inversione del trend si profila all’orizzonte.

Sta di fatto che è di solito vano aspettarsi che siano le banche centrali, i governi, l’FMI, l’Ocse o il consenso degli analisti di mercato a lanciare allarmi sull’imminenza di una recessione. Si parlerà di rischi limitati, di “pause” o “rallentamenti” della crescita, di “squilibri” superabili.

Ma a prevedere correttamente una recessione saranno di solito pochi, bravi analisti fuori dal coro. Ed è forse per questo che il mercato azionario, espressione del consenso dei molti, si sta sempre più dimostrando, come nota l’economista Gene Epstein, un “indicatore anticipatore eccellente per quel che riguarda l’avvio di una ripresa economica, ma alquanto insensibile quando si tratta del profilarsi di una recessione.”

Vedremo in una seconda parte come questa analisi può essere applicata all’attuale fase del ciclo.

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2 pensieri su “Analisi strategica del ciclo I

  1. Pingback: Recessioni, bear market e castelli in aria

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