Ma cos’è questa crisi?
Si parla troppo e troppo a sproposito del ’29. Appena qualcuno accenna alla parola “crisi”, subito il pensiero corre lì. Molti investitori vivono oggi in questa paralizzante condizione, una sorta di riflesso pavloviano, un cortocircuito che infiamma la mente ma le impedisce di riflettere. Possibile che non ci siano altri modi per cercare di capire cos’è questa crisi, germinata in America dal collasso dei mutui subprime? Ne suggerirò uno, la lettura di un classico di storia dell’economia: Manias, Panics and Crashes di Charles Kindleberger.
Pubblicato la prima volta nel 1978, il libro (mai tradotto in italiano, com’è purtroppo il caso di molti testi fondamentali per la formazione di un investitore) è giunto nel 2005 a una quinta edizione, rivista in modo da includere la crisi messicana del 1994-95 e quella asiatica del 1997-98 al rosario di crash finanziari presi in esame dall’autore.
Kindleberger di gravi episodi di bolle speculative (Manias) seguite da crisi di panico (Panics) e crash di mercato (Crashes) ne elenca ben 39, dal 1622 alla fine del Novecento. In media, uno almeno ogni decennio. E si potrebbe risalire più indietro, fino alla famosa bancarotta dei Bardi e Peruzzi nella Firenze della metà del XIV secolo.
Sin dal primo emergere di un’organizzazione capitalistica dell’economia, le crisi finanziarie sono dunque state una costante. Scrive Kindleberger: “Si può dimostrare che, nel corso della storia, gli eccessi speculativi, definiti concisamente come ‘manie’, e il senso di ripulsa generato da tali eccessi sotto forma di crolli e attacchi di panico, sono stati, se non inevitabili, per lo meno comuni.”
Di comune hanno anche avuto la facile inclinazione all’uso dei superlativi da parte degli osservatori e interpreti contemporanei che le hanno raccontate. “La storia – scrive Kindleberger, in tono vagamente divertito – è piena di affermazioni iperboliche a riguardo delle varie crisi.” Insomma, non ce n’è stata una, o quasi,che non sia stata descritta come la più tremenda, paurosa e devastante a memoria d’uomo.
Il loro dispiegarsi ha seguito una trama alquanto ripetitiva, scandita in cinque fasi: a) uno shock iniziale positivo, che genera aspettative di più elevati profitti; b) un boom creditizio che incoraggia operatori, investitori, intermediari ad assumere una maggiore leva finanziaria (leveraging); c) un picco di euforia e speculazione, caratterizzato dall’accumulazione di rapidi guadagni; d) un punto di rottura, dovuto a fattori diversi come un aumento dei tassi d’interesse o un crack inatteso; e) il panico, la repentina riduzione della leva finanziaria (deleveraging), la corsa verso la liquidità.
La descrizione suona familiare? Dovrebbe esserlo, perché si applica a pennello, così come alle molte crisi del passato, anche a quella attuale dei mutui subprime.
Fin qui, non c’è nulla di nuovo. Già prima di Kindleberger, altri famosi economisti come Irving Fisher nel 1933 e Hyman Minsky nel 1977 avevano identificato questo ciclo di rapida espansione (boom) seguito da un drammatico collasso (bust) come tipico delle crisi finanziarie.
Dove il lavoro di Kindleberger si fa, per noi, più interessante, è in un paio di conclusioni a cui arrivano la sua dettagliata ricostruzione storica e l’analitico confronto degli episodi del passato. In primo luogo, ciò che ha fatto la differenza nel determinare la lunghezza e la gravità delle depressioni economiche che sono inevitabilmente seguite ai boom e bust finanziari è il ruolo giocato dalle banche centrali.
Della intrinseca fragilità degli istituti di credito – impegnati ad assolvere un ruolo vitale nello sviluppo economico convertendo passività a breve termine in asset a lungo termine – ci si era accorti già diversi secoli fa. Le banche centrali nacquero proprio nel tentativo di ovviare all’evidente instabilità del mercato creditizio.
Si trattò di un’invenzione di straordinario successo. Già attorno al 1825, scrive Kindleberger, in Inghilterra ci si era di fatto accordati su una divisione del lavoro così congegnata: “I banchieri privati di Londra e delle province finanziavano i boom, la Banca d’Inghilterra finanziava le crisi.”
Naturalmente, restava il problema di come evitare che l’intervento pubblico – di bust in bust – incoraggiasse comportamenti irresponsabili. Per il filosofo Herbert Spencer, una volta imboccata la soluzione pietosa del soccorso ai meno avveduti e meritevoli, non c’era rimedio: “Il risultato ultimo dell’atto di proteggere gli uomini dagli effetti della loro follia non può che essere quello di popolare il mondo di folli” (The ultimate result of shielding man from the effects of folly is to people the world with fools).
Per fortuna a prevalere fu l’opinione – meno radicale – del pensatore, saggista e giornalista inglese Walter Bagehot (vedi immagine qui sotto), che nel libro Lombard Street del 1873 diede rispettabilità teorica, oltre che pratica, al ruolo della banca centrale come prestatrice di ultima istanza (lender of last resort).
Era evidente infatti che al rischio di consentire agli istituti di credito di indulgere nell’azzardo morale (moral hazard) si contrapponeva l’altro rischio del completo collasso dell’attività economica: nella corsa ad accaparrare liquidità, che caratterizza le crisi di panico, ogni partecipante al mercato – nel tentativo di salvare se stesso – finisce per contribuire alla rovina di tutti.
La soluzione di compromesso ideata da Bagehot fu di sostenere che le banche centrali, in una crisi, dovevano rendere disponibile tutta la liquidità che serviva, ma a un tasso penalizzante. Quanto alla tempistica degli interventi, ci si poteva solo affidare alla discrezionalità, ma in modo – come riassume Kindleberger – “da indugiare a sufficienza, dopo un crash, così da consentire alle imprese insolventi di fallire, ma non tanto a lungo da permettere alla crisi di estendersi anche alle imprese sane, bisognose di liquidità.” Il central banking, come si può desumere, è un’arte – non solo una scienza.
Il fallimento delle banche centrali
Ora, la questione è: se teoria e pratica del ruolo delle banche centrali erano già andate chiarendosi ai tempi di Bagehot, e se – come sostiene Kindleberger – è l’azione delle banche centrali a decidere in primo luogo della durata e gravità di una crisi finanziaria, perché accadde un disastro come la Depressione degli anni ’30?
La risposta, sempre di Kindleberger, è che durante la crisi del ’29 e la Grande Depressione che ne seguì, non ci fu nessuno che si fece carico, a livello internazionale, del compito di prestatore di ultima istanza. Se la depressione fu così “ampia, profonda e prolungata” fu perché la Gran Bretagna, “esaurita dalla guerra e vacillante dopo l’abortita ripresa degli anni ’20, fu incapace di assumere quel ruolo” (che le era storicamente toccato in quanto prima potenza economica da oltre un secolo), mentre gli Stati Uniti (paese guida emergente, con una banca centrale costituitasi da appena un quindicennio) furono “indisponibili” a ereditarlo.
Il fallimento del central banking fu totale. Non solo non ci fu un prestatore di ultima istanza a livello internazionale, ma, scosse dalle crisi valutarie che nel 1931 colpirono prima la Germania e poi la Gran Bretagna, molte banche centrali corsero a convertire le loro riserve valutarie in oro, così contribuendo a far ulteriormente contrarre la liquidità e a rendere ancora più terribili le pressioni deflative.
Il ’29 non fu l’unico caso di fiasco delle banche centrali, anche se ne è certo il più famoso. Lo stesso accadde nel 1873, e anche in quel caso la crisi economica che ne seguì fu così profonda e protratta da essere chiamata “Grande Depressione.”
La storia, d’altra parte, presenta episodi di segno opposto, come la crisi finanziaria del 1844, quando la Banca d’Inghilterra sospese la legislazione bancaria vigente al fine di rendere disponibile tutta la liquidità necessaria agli istituti che ne facevano richiesta e che erano in grado di offrire buone garanzie collaterali.
Il ’29, dunque, non è il paradigma di tutte le crisi – come oggi si viene continuamente sollecitati a credere. E’, piuttosto, il paradigma di quelle che finirono nel peggiore dei modi possibili per il mancato assolvimento da parte delle banche centrali del più esclusivo e delicato dei compiti loro assegnati.
La storia infatti dimostra – scrive Kindleberger – che “quando non c’è un prestatore di ultima istanza, come nel 1873, 1890 e 1931, la depressione che segue una crisi finanziaria è lunga e protratta, a differenza di altri episodi in cui il prestatore invece c’è, e la crisi passa come un temporale estivo.”
A quale di questi due generi appartenga la crisi in cui siamo oggi immersi mi pare facile sostenerlo: il copione che le banche centrali stanno seguendo – a partire dalla Federal Reserve – non è certo quello del ’29. E’ l’esatto contrario.
Nuove frontiere per gli investimenti
Dicevo che, a mio avviso, c’è anche una seconda conclusione interessante in Manias, Panics and Crashes. Si trova condensata nella seguente citazione: “Le conseguenze di una depressione dipendono non solo da come la crisi viene gestita ma da una miriade di altre variabili, in particolare da quei fattori che condizionano gli investimenti di lungo periodo: crescita della popolazione, esistenza di una nuova frontiera, impulsi derivanti da una guerra, esportazioni, la presenza o l’assenza di innovazioni che non sono già del tutto sfruttate, e cose simili.”
Se si pensa agli anni ’30, si coglie appieno il senso delle osservazioni di Kindleberger. Quel periodo fu segnato dall’adozione di misure protezionistiche e dal crollo del commercio internazionale, dalla chiusura degli stati all’interno delle proprie anguste frontiere e dalla deriva verso la guerra. Fu solo l’escalation dei preparativi bellici che, a partire dalla fine di quel decennio, agì da stimolo agli investimenti e mobilitò anche la ricerca e l’innovazione – producendo come suo massimo e tragico frutto la bomba atomica. La Grande Depressione fu superata, ma al costo orrendo di una carneficina e una barbarie senza precedenti.
E oggi? Ci sono nuove frontiere e innovazioni non pienamente sfruttate che possono motivare l’economia globale a lasciarsi alle spalle gli effetti depressivi del ciclo di boom e bust che abbiamo appena sperimentato? Penso di sì.
In estrema sintesi, mi limito a citare tre processi, a diversi stadi evolutivi, in grado di tornare rapidamente a catalizzare l’innato spirito di iniziativa e la disponibilità ad assumere rischi, che caratterizza la nostra specie: l’emersione dalla povertà e la modernizzazione, in particolare del continente asiatico; Internet, lo sviluppo delle comunicazioni e la progressiva digitalizzazione del sapere, con ricadute formidabili sul ritmo del progresso scientifico e tecnologico; la transizione verso lo sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili e una civiltà ecosostenibile.
Non sono certo in grado di sapere come finirà la crisi in cui ci troviamo. Né posso sostenere che l’interpretazione delle crisi passate offerta da Kindleberger sia l’unica possibile, anche se a me pare convincente. In definitiva, ho solo cercato di mostrare che se assumiamo come criteri discriminanti tra una crisi che diventa una Grande Depressione e una crisi che viene superata “come un temporale estivo” i due fattori enunciati in Manias, Panics and Crashes, non c’è dubbio. Sia per quel che riguarda la gestione da parte delle banche centrali del loro ruolo di prestatrici di ultima istanza, sia per quel che concerne la presenza di stimoli agli investimenti di lungo periodo, oggi non siamo ridotti “come nel ‘29”. Ne siamo, piuttosto, agli antipodi.
Bel punto di vista indipendente supportato da considerazioni oggettive in un momento in cui tutti urlano alla catastrofe.
Lettura molto interessante; quello del suo articolo è un appuntamento sempre atteso.
Oltre che sottoscrivere i commenti che mi hanno preceduto, posso solo aggiungere che, come dice il Sig. Bertoncello, non si sa come finirà questa crisi ma anche la situazione odierna sembrerebbe avere già in sè tutte quelle condizioni (descritte molto bene nel penultimo capoverso del post) che hanno permesso all’uomo di uscire da crisi simili.
Sperando però stavolta che il frutto dei “nuovi” investimenti non produca più come risultato un “sole artificiale” come l’atomica ma nuove fonti energetiche rinnovabili da un sole…naturale.
Articolo molto chiaro e con spunti assolutamente condivisibili,purtroppo,però,riguardo ad “una civiltà ecosostenibile” ritengo che,nonostante l’importanza e l’urgenza di arrivarci,all’orizzonte si scorga poco o nulla,soprattutto da parte delle istituzioni che,anche di fronte a questa crisi strutturale e non ciclica,continuano a credere nel modello di crescita infinita.Aspettiamo Obama…mah
Federico,
come immagino saprai è notizia recente la nomina nello staff presidenziale americano del ex premio Nobel per la fisica Steven Chu a ministro per l’energia. Chu ha effettuato molti studi sulle energie alternative ma è considerato un eco progessista prudente; mi sembra una mossa molto interessante dato che tende a rassicurare le lobby del petrolio e gli eco ambientalisti sulla strada che Obama vuole percorrere senza per questo buttare a mare tutto quanto, alla fin fine, ha permesso fino ad ora al mondo di andare avanti (il petrolio)… e, detta tutta, ci mancherebbe anche altro !
Felicissimo di leggerla.Felicissimo del fatto che condivida la sua cultura con tutti,tutto ciò le fa un grandissimo onore.
si , la crisi passerà come sono passate tute le altre , è vero.
però sulla modalità con cui lo hanno fatto ci sono variabili infinite.
e… noi siamo appunto qui per capire se sarà soft o hard.
è questo che ci interessa.
intanto siamo arrivati a livelli già molto preoccupanti che non si possono piu paragonare alle crisi decennali degli ultimi periodi.
e non è ancora finita …mi pare.
ma a noi in particolare interessa sopratutto l’impatto che questa crisi avrà sul cittadino normale.
ora , se aveva un po di azioni, ha perso mediamente il 50%
se aveva una casa , si propetta una diminuzone del valore del 30-40%
se aveva un lavoro, avrà disoccupazione in aumento
e di conseguenza (come dimostrano gli ultimi eventi :CORUS)diminuzione dei salari.
difficoltà di credito.
pericolo di qualche default bank con conegenze per CC e obbl.
ho in mente tante altre cose , ma già questo basta, e…non è ancora finita.
e poi a noi interessa sopratutto sapere come ne usciamo : DEFLAZIONE e quindi grandissime difficoltà per chi ha debiti e mutui .
IPERINFLAZIONE con difficoltà sopratutto per la fascia piu debole
In risposta al post di Maat (e mentre oggi intanto la Borsa assesta un altro bel -5 tanto per gradire… che tanto ormai ci siamo ben abituati…) voglio postare un articolo che ho appena letto e che ci fa capire come non ci sia solo Roubini nella schiera dei “terroristi”…
(Fonte Wall Street Italia) I mercati azionari globali potrebbero essere soggetti ad un ulteriore, terrificante crollo, secondo lo strategist di CLSA, Russell Napier, che e’ giunto a tale conclusione analizzando la teoria della Q di Tobin. Questa (che prende il nome dal premio Nobel per l’economia James Tobin) mette a confronto il valore di mercato delle aziende con il costo delle rispettive parti costituenti, riuscendo cosi’ a misurare la differenza tra il capitale desiderato e quello effettivamente posseduto.
Il rapporto mostra che l’indice S&P500 tratta ancora a livelli troppo elevati in relazione al costo di sostituzione degli asset: sebbene il calo del 40% dai recenti massimi abbia spinto il listino al di sotto del livello di riferimento, la storia insegna che e’ necessaria un’ulteriore contrazione che tenga conto della deflazione. Attenzione!!! Questo potrebbe significare un proseguimento del ribasso per l’S&P500 pari a -55% dagli attuali livelli, fino in area 400 entro il 2014.
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Napier afferma: “la Q e’ scesa sui livelli medi, tuttavia non sempre trova supporto in tale area. Solitamente continua a scendere al di sotto nelle lunghe fasi di mercato orso”.
In riferimento all’azionario statunitense essa e’ scesa a 0.7 punti dal picco di 2.9 toccato nel 1999; un valore di 0.3 ha sempre segnalato la fine del trend ribassista. Cio’ e’ accaduto nelle fasi di mercato orso del 1921, ’32, ’49 e ’82. Napier non ha dubbi: la storia si ripetera’.
La domanda, non banale, è: furono più terroristi i kamikaze dell’11 settembre o personaggi come costui?
Mi rivolgo a Lei nella sua veste di giornalista. Sul bollettino Consob dicembre sono state ufficializzate le sanzioni pecuniarie irrogate a Doris e vari manager di Mediolanum per 309.600 euro in tutto, per non aver implementato procedure a garanzia dei propri clienti-risparmiatori: i mass media hanno ignorato questa cosa, solo lanci d’agenzia. Due giorni fa Doris era ospite di Exit (La7, D’Amico) e l’hanno lasciato fare propaganda alle sue iniziative etiche a favore dei sottoscrittori a vario titolo di Lehman Bs senza nulla obiettare, e il buon Oscar Giannino spudoratamente affermava che sul lungo periodo l’investimento azionario “premia” sempre l’investitore accorto, senza però minimamente accennare all’erosione inflattiva. Ho dovuto spegnere. Domanda: meglio informarsi in rete o seguire programmi tv d’avanguardia come Exit o Report? e in rete, meglio Mazzalai, Spallino (banche centrali = cancro centrale) o Bertoncello sulle analogie col ’29?
Grazie per l’enorme servizio che fornisce con i suoi contributi.
Ma perchè non invitano lei o altre persone con la sua preparazione nei salotti TV ad analizzare questa o altre crisi invece dei soliti politicanti col contorno di nani e ballerine?
Pardon, purtroppo il perchè lo sappiamo benissimo, ed è uno dei motivi dell’inarrestabile declino della nostra italica “civiltà pietrificata” che si regge sulle clientele e su maneggi di bassa lega..
Voglio lanciare a tutti una provocazione, ma mica poi tanto in fondo, con una affermazione secca. Lo so che molti non saranno d’accordo, ma lo dico lo stesso in un momento di grande sconforto.
Temo che le Borse, qualla italiana in particolare siano ormai morte o moribonde. Non rivedremo più i nostri soldi perduti dai massimi dell’anno scorso, Forse hanno ragione i vari gufi di turno: meglio uscire e salvare qual poco che è rimasto.
11 – Alessandro, se ti vien voglia beninteso, lancia un occhio ogni tanto nel blog intermaket&more a curiosare o, meglio ancora, a commentare. Scoprirai che non esistono gufi o catastrofisti a priori, ma solo gente che su basi oggettive prospetta (da anni) scenari borsistici coerenti con l’analisi grafica, intermarket e con gli eventi rilevanti economico-finanziari attuali. Il tutto senza conflitti di interesse e accademia. Forse i top del 2007 non si rivedranno tanto presto ma questo non vuol dire che non è possibile recuperare le perdite prima del triplo massimo secolare che verrà.
Ciao.
Gremlin, mi sento in disaccordo con te
“ma questo non vuol dire che non è possibile recuperare le perdite prima del triplo massimo secolare che verrà”
ma veramente sei certo che ci sarà un triplo massimo leggendo dei grafici ? Cioè veramente credi che l’analisi di linee su un grafico possa scrutare il futuro ? Quante smentite di supporti e resistenze devono ancora passare per decretare l’AT solo “un buon mezzo di analisi intraday in assenza di spinte fondamentali” ? Rispetto la tua idea ma le vicende di quest’anno hanno dimostrato l’infondatezza di qualsiasi analisi tecnica; temo di conoscere, purtroppo, la tua risposta: “delle analisi sbagliate”. E non la condivido, ma rispetto, sia chiaro, le tue idee a riguardo.
Alessandro,
per quale motivo tale “strategist di CLSA, Russell Napier” che ora organizza corsi e non gestisce, ad esempio, Berkshire (dopo invero una buona carriera di strategist alla pari di molti altri però) dovrebbe essere attendibile ? Tanto attendibile da essere ‘postato’ come uno che sa come andranno le cose ? Perchè + di Bertoncello ad esempio ?
BASTA GURU
Sono francamente stufo di sentire previsioni e “io l’avevo detto” e “quello l’aveva previsto”. Basta ! Non mi stancherò mai di ripetere, se quello l’aveva previsto doveva metterci tutti i suoi soldi sopra, a leva, e vivere ora alle Maldive, mica continuare a lavorare. Se non l’ha fatto è perchè ci ha provato, semplicemente provato. E se invece i dirigenti della casa di investimento o della banca dove lavora pensassero veramente che “lui sa”, cribbio, lui farebbe il dirigente, le sue case di investmento NON avrebbero perso miliardi in derivati, insomma, dove stavano tutti ‘sti guru quando le + famose banche del mondo si sono esposte per miliardi di dollari su asset spazzatura ?
BASTA GURU
Maat,
“e… noi siamo appunto qui per capire se sarà soft o hard. è questo che ci interessa.”
Se parli da cittadino, sono d’accordo, se parli da investitore no. Da investitore il discorso io penso debba essere
“e… noi siamo appunto qui per capire se LA BORSA HA GIA’ SCONTATO UNA RECESSIONE soft o hard. è questo che ci interessa.”
Mi sono un po’ spazientito sui guru, mi dispiace, ma non cancello, sono proprio stufo… si è capito ? 🙂
@ MarcoDC
sottoscrivo in pieno!
Ancora complimenti al dott. Bertoncello.
Ed anche il blog si va calibrando sulla saggezza e l’intelligenza dell’ “Investitore Accorto”.
Io credo che i minimi siano già stati toccati, ma per una vera inversione e un rialzo credibile la strada è ancora impervia e le ricadute saranno molto probabili.
Grazie ancora per i suoi approfonditi articoli.
Mi accodo anch’io per i complimenti d’obbligo al Dott. Bertoncello, per la sua ‘sapiente’ e ‘calibrata’ dose di informazioni che ci propone in questo suo Blog.
Nysedow
12-Gremlin: grazie per l’incoraggiamento e la speranza nel triplo massimo secolare che verrà, come tu dici. Speriamo che venga davvero!
13-Marco DC: sono assolutamente d’accordo con te quando affermi “Basta Guru”. E non sai quale rabbia ho a leggere di gente che (ripeto) dopo un -50 come l’attuale, hanno ancora la faccia di affermare che “il peggio deve ancora venire”. Io ho commesso l’errore di rimanere investito totalmente in un fondo azionario italiano (non ascoltando il mio istinto che un annetto fa mi suggeriva maggior prudenza…) e mi sono visto dimezzare il capitale, i risparmi di una vita. Non faccio parte del parco buoi che vende ai minimi e compra ai massimi, ma certo è durissima rimanere dentro con questi chiari di luna. Ora che fare? Lo stress è fortissimo, speriamo di reggere. La mia “previsione”, se cos’ la vogliamo chiamare, e senza voler fare il guru, è che da una botta simile ci vorranno almeno 4-5 anni per riprendersi, E sempre ammesso che non abbiano purtroppo ragioni i Rubini o i Napier di turno.
Salve dott. Bertoncello,
vorrei innnanziutto farle i complimenti (sinceri) per il suo blog, soprattutto per l’accuratezza delle informazioni (apprezzo molto le svariate citazioni ed i riferimenti ai “geni” della finanza ed alle istituzioni finanziarie) e per la sua competenza (ma questa e’ una
mia opinione).
Sinceramente ero stanco di leggere sui giornali e su varie riviste on-line opinioni che si basano sul…nulla. Il suo blog e’ uno dei pochi luoghi virtuali dove trovo cose sensate, costruite su altre cose sensate.
Sono consapevole di non avere una grande esperienza nel settore (sono un ingegnere), anche se negli ultimi anni giro un po’ il mondo perche’ mi occupo di marketing tecnico, ma vorrei ugualmente dire la mia.
Fino a qualche tempo fa mi dilettavo con la compravendita di azioni sfruttando l’analisi tecnica con risultati non esaltanti.
Il sentimento di frustrazione piu’ grande derivava dal fatto che compravo e vendevo senza capire il perche’, per cui ero costantemente
spaventato dalla direzione che avrebbe potuto prendere il mercato; se entravo in leva dovevo preoccuparmi dello stop loss automatico impostatomi dal broker, mentre se lo fissavo personalmente, mi lambiccavo il cervello per capire se il livello era corretto, ma in realta’
la risposta a queste domande e preoccupazioni non esiste, perche’ davvero nessuno sa cosa fara’ il mercato nel breve/medio periodo.
Ovviamente avevo sentito parlare di analisi fondamentale, ma la ritenevo qualcosa per “esperti” del settore. Davvero non credevo al fatto
che avrei potuto valutare un’azienda da solo, sfruttando le informazioni ricavabili dal bilancio, dai report trimestrali ed annuali, dagli investor relations, etc.
Qualche tempo fa mi trovavo in una libreria a Taipei ed ho comprato il famoso “Earn to Learn” di Lynch, che mi ha aperto un mondo in cui le cose cominciavano ad avere un senso.. e poi ho cominciato a farmi una piccola cultura sull’argomento.
E’ davvero bello cominciare a capire che quello che accade nel mondo dei mercati non dipende da come oggi hanno aperto le borse, e nemmeno da come hanno aperto ieri!
La ringrazio anche per i suggerimenti sui libri che un buon investitore dovrebbe avere in biblioteca, li ritengo molto preziosi.
A proposito della situazione attuale, credo che non sia cosi’ importante sapere se abbiamo raggiunto il fondo del barile oppure no:
a questi prezzi ci sono gia’ adesso un sacco di buone occasioni!
La mia filosofia (visto che non mi posso ancora permettere di costruire un portafoglio concentrato come quello di Warren Buffet) e’ molto
semplice:
1) Comprare azioni sottovalutate (rispetto al proprio settore di riferimento), con una buona redditivita’ e con una situazione
patrimoniale decente
2) Comprare diluendo gli acquisti nel tempo (“diversificazione temporale”)
3) Comprare azioni che operano in settori diversi e con capitalizzazione diversa (diversificazione “spaziale”)
4) Tenere un’azione finche’ l’azienda e’ in salute (finche’ valgono le condizioni del punto 1), altrimenti vendere
(ovviamente se abbiamo avuto la pazienza di aspettare, nel frattempo il prezzo sara’ salito e noi avremo un profitto)
5) Ultima e piu’ importante considerazione: ignorare consigli/previsioni/etc. dettate dal “nulla”. Se qualcuno non puo’
convincermi del perche’ bisogna comprare o vendere, non comprero’ ne’ vendero’ nulla. PEr dirla con Lynch:
“Se non potete dire a voi stessi ‘quando sono sotto del 25% sono un compratore’, e bandire per sempre il pensiero
fatale ‘quando sono sotto del 25% sono un venditore’, allora non riuscirete mai a fare profitti decenti con le azioni”
Se e’ arrivato a leggere fino a qui, grazie per la pazienza ed un saluto a tutti i lettori del blog
Nicola
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Nicola, personalmente ho apprezzato molto il tuo post sia nella forma che nei contenuti.
Ti ringrazio Marco, e ti auguro una buona giornata.
Nicola
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