Recessione, azioni e l’ingannevole buon senso
Questi sono tempi grami per molti investitori, costretti a convivere con minusvalenze, incertezze e paure. Se c’è un aspetto chiaro della situazione, che sembra poter servire da fondamento a qualche scelta di buon senso, si tratta purtroppo del fatto che la congiuntura economica sta peggiorando. Su questo proprio non c’è dubbio.
Basta guardare al dato sull’occupazione americana di novembre, diffuso venerdì. La perdita di 533 mila posti di lavoro in un solo mese è il risultato peggiore dal dicembre 1974. Nessuno si aspettava una simile débacle.
Né le cattive notizie si fermano lì. Un indicatore affidabile di quel che ci si può attendere nell’immediato futuro, come il leading index dell’Ecri, dice che la recessione negli Usa è destinata ad approfondirsi. Altrettanto ha ammesso, senza inutili infingimenti, anche Barack Obama: “(The crisis) is likely to get worse before it gets better” (E’ probabile che la crisi, prima di migliorare, vada peggiorando).
Se l’attività economica si contrae, è normale che gli utili aziendali facciano altrettanto. E senza il carburante dei profitti, dove andranno mai le Borse? Pare ovvio che il tracollo non possa che continuare.
Recessione e bull market azionari
Giusto? E invece è sbagliato. Di chi li affronta mosso da questo “buon senso” i mercati azionari fanno polpette. Naturalmente, nessuno sa che strada prenderanno le Borse nei prossimi giorni, settimane e mesi. Un modo per prevederlo non esiste. E’ possibile però guardare alla storia per capire se ci sono – a grandi linee – delle tendenze più probabili di altre in tempi di recessione.
Ho già pubblicato, nel post Punto di svolta del 18 ottobre scorso, la seguente tabella tratta dal blog Ticker Sense:
Ci dice che negli ultimi 40 anni, in sei diverse occasioni, il fondo di un bear market è stato in media toccato quando la concomitante recessione aveva compiuto appena il 57% del suo corso. Come a dire che nel corso di una recessione che durasse dal primo di gennaio al 31 di dicembre, le Borse scenderebbero fino al 27 di luglio e poi invertirebbero il trend, impostandosi al rialzo per il resto dell’anno.
Chi si intestardisse ad argomentare, da fine luglio in poi, che non è affatto il tempo di investire in azioni perché l’economia e gli utili non fanno che peggiorare, verrebbe brutalmente smentito.
Badate bene. Si tratta di un dato a cui sarebbe sbagliato attenersi con rigore. Il campione è limitato. La dispersione è notevole, perché va dal 37% al 79%. Sta di fatto che emerge con evidenza un messaggio: i bear market finiscono molto prima che cessino le cattive notizie. Anzi, la ripresa delle Borse, che a fine recessione, come mostra la tabella, tendono già a volteggiare un 30% sopra i minimi, ha luogo proprio quando sulla congiuntura si addensano le nubi più cupe. E’ infatti quella conclusiva la fase peggiore di una recessione, in cui si concentrano i fallimenti aziendali, la disoccupazione è più elevata e l’umore è più depresso. Come si suol dire, “l’ora più buia è quella prima dell’alba.”
Un’ulteriore conferma ci viene da uno studio pubblicato di recente da William Hester sul sito HussmanFunds.com, sintetizzabile nelle immagini seguenti:
I grafici evidenziano come si sono comportate negli Usa due variabili importanti – il tasso di disoccupazione nel primo caso e gli utili operativi dell’indice S&P 500 nel secondo caso – nei 500 giorni iniziali (due anni) di un bull market azionario seguito a una recessione economica. Gli episodi presi in esame sono nove e coprono il mezzo secolo dal 1953 al 2003. Per facilità di comparazione, i dati sono stati ritarati in modo da far partire tutte le nove serie dall’attuale livello degli utili operativi e dall’attuale tasso di disoccupazione.
Cosa si nota?
Nel primo grafico si vede che per 6-12 mesi dopo l’avvio di un bull market è normale che la disoccupazione continui a salire, anche di molto. Nel 1974, ad esempio, il mercato azionario toccò il fondo a ottobre. A novembre la disoccupazione stava al 6,5% (proprio come nel 2008) ma si inerpicò rapidamente fino al 9% nei sei mesi successivi. Nello stesso lasso di tempo, l’S&P 500 faceva segnare un progresso del 30% circa.
Nel secondo grafico, se si esclude l’eccezione del 2003 (linea marrone in alto), un caso particolare in cui il bull market prese avvio molto dopo la fine della recessione del 2001 (e l’enorme sopravvalutazione di quel mercato è una ragione che spiega tale anomalia), si vede come gli utili continuarono in genere a flettere per almeno un anno dopo che la Borsa aveva ripreso a salire.
Applicando quel grafico alla situazione attuale, se ne deduce che sarebbe del tutto normale e coerente col passato che, ipotizzando un calo degli utili per tutto il 2009 – nel caso dell’S&P 500 dagli attuali 70 dollari per azione fin verso i 60 dollari – il mercato azionario invertisse ora il trend e prendesse a salire.
Sessanta dollari per azione è più o meno il “consensus forecast” (stima di consenso) sugli utili del 2009 che emerge dagli analisti top-down americani, come accennavo nel post Panico e miopia degli investitori. Lì criticavo l’opinione di molti, ben riassunta in un post del giornalista della CBNC, Bob Pisani, secondo cui con un calo degli utili di quell’entità l’S&P 500 sarebbe destinato a scendere nei prossimi mesi verso i 600 punti (dagli 875 di oggi).
Lo studio di Hester ci permette di cogliere ancor meglio il senso di quelle mie obiezioni. Il passato ci insegna che a una flessione verso i 60 dollari per azione nel 2009, posto che sia quella la fine del ciclo recessivo dei profitti americani, sarebbe normale che corrispondesse, già da oggi, una ripresa – non un’ulteriore flessione – dei corsi di Borsa.
I mercati che scontano e il buon senso che inganna
Qual è dunque l’utilità di queste cifre e di queste analisi? Servono a mettere in guardia e a dimostrare che il “buon senso” può ingannare. I mercati finanziari scontano il futuro. Sono sempre proiettati in avanti. A volte, come in queste settimane, vanno a tentoni e barcollano alla maniera di un pugile suonato, su cui sia scesa l’oscurità. Ma la luce che cercano non è quella delle “certezze” di oggi ma delle prospettive di domani.
E’ per questo che può accadere, com’è accaduto venerdì, che a dei dati deprimenti segua un rally e non il crollo. L’amara scoperta che siamo nel pieno di una recessione lunga e profonda è ormai stata pienamente accettata e incorporata nei prezzi. Non c’è chi non lo sappia e non si sia regolato di conseguenza.
Intendo con questo dire che l’inversione del trend è un destino segnato? Non è così. Non sappiamo quando finirà la congiuntura negativa, quali altre sorprese ci possa riservare. Nel dopoguerra le recessioni americane sono durate in media meno di un anno e mai più di 16 mesi. L’attuale è in corso dal dicembre scorso, dunque da 12 mesi, e non c’è chi non si aspetti altri due o tre trimestri di penosa contrazione. Già si “sa”, dunque, che sarà la recessione più lunga del dopoguerra.
Quel che non si sa è quanto elevati siano i rischi che degeneri in depressione e deflazione: una drammatica contrazione dell’attività economica destinata a protrarsi per anni e che alimenterebbe aspettative di prezzi in calo – tanto dei beni reali che degli asset finanziari. Perché ciò accada occorre che si ripeta la lunga catena di inerzie politiche e di errori che caratterizzarono, ad esempio, la crisi del ’29 e il “decennio perduto” del Giappone negli anni ’90.
Non lo si può escludere a priori. Ma, come ho già più volte scritto, a me non pare affatto l’esito più probabile dell’attuale dissesto.
Scommettere d’altra parte che bastino le cupe prospettive per il 2009 – già paventate da investitori, esperti, autorità e comuni cittadini – ad affondare ulteriormente le Borse potrebbe essere un azzardo. La storia ci insegna che di questo semplicistico assunto – spacciato per “buon senso” – i mercati azionari hanno il vezzo di farsi beffe.
Gentile Bertoncello, leggo con grande interesse il suo sito che ho scoperto da poco. Le chiedo un parere su queste parole scritte di recente dal ben noto N. Roubini: “Il peggio deve ancora venire. Dato che gli analisti si illudono ancora che la contrazione economica possa essere leggera e di breve durata, nei prossimi mesi, le notizie macroeconomiche e le relazioni sui profitti e sugli utili peggiori delle attese in tutto il mondo, aggraveranno la spinta al ribasso delle quotazioni degli investimenti più rischiosi. Il 2009 sarà quindi un anno doloroso di recessione globale e di ulteriori sofferenze, perdite e fallimenti”.
Aggiungo che a mio parere nessuno dovrebbe ritenersi profeta del futuro, nemmeno se si chiama Roubini, e che uno che dopo un meno 50 percento dei mercati afferma che il peggio deve ancora venire, secondo me o parla per interessi propri, oppure è un terrorista al pari di quelli di Al Qaida e come tale andrebbe bandito dalla comunità civile o quantomeno non gli si dovrebbe dare spazio sui media. Se le sue parole fossero vere, tanto varrebbe dichiarere morte le Borse e chiudere baracca e burattini.
Gentile Dottor Bertoncello,
faccio le seguenti riflessioni dopo la lettura del Suo interessante post.
1) Le ho già espresso le mie perplessità sui dati statistici relativi ai bear market del dopoguerra e devo constatare che nel citarli, questa volta, ha fatto delle opportune precisazioni sulla loro attendibilità statistica; le segnalavo che bisogna andare più indietro nella storia per dare più completezza all’analisi (che comunque rimane parziale vista la scarsa significatività statistica). Lei evidenzia la considerazione più importante sulla quale concordo pienamente: i bull markets partono ben prima di ricominciare a vedere buoni dati macroeconomici. Aggiungo che vorrei vedere se non altro un po di stabilizzazione nell’earning momentum e nella componente aspettative di diversi indicatori anticipatori (cosa che non vedo ancora)
2) Alla fine del post noto una contraddizione con quanto da Lei espresso fin da quel famoso post intitolato punto di svolta quando dice:”Intendo con questo dire che l’inversione del trend è ormai un destino segnato? Non è così. Non sappiamo quando finirà la congiuntura negativa, quali altre sorprese ci possa riservare.”
3) I Suoi timori sulla deflazione sono corretti; dal mio punto di vista siamo già in una situazione di deflazione e in un contesto di trappola della liquidità come asseriscono sia Rubini che Rosemberg di Merrill Lynch.
Nell’ultimo post che ho scritto nel mio blog commento proprio una delle recenti frasi dette dall’economista Rubini in merito allo scenario macro che ci si prospetta.
4) Scenario deflazionistico non vuol dire necessariamente borse giù nel breve termine; anzi, in un contesto di elevata volatilità come quello attuale non escludo momenti di recupero anche ampi in termini di prezzo ma configurabili sempre e comunque come bear market rallies.
Cordiali saluti
FinancialMarketsLAB
Alessandro e FinancialMarketsLAB,
vi ringrazio dei commenti. Faccio solo qualche rapida osservazione.
a)ho molto rispetto per Roubini, che ho spesso citato nel mio blog. Però non mi pare che il consenso ora si aspetti una recessione “leggera e di breve durata”, nè che sia questo lo scenario già scontato dai mercati. Le attese degli analisti sono di altri due o tre trimestri almeno di contrazione – che porterebbero a circa 20 mesi la durata della recessione. I mercati azionari hanno scontato scenari ancora più apocalittici – con crolli del 50% in America, 60% qui da noi, e 70% in alcuni mercati emergenti. Il peggio, dunque, deve ancora venire? Non lo so, ma per quel che riguarda i mercati finanziari sono incline a dubitarne. La reazione delle politiche fiscali si deve ancora vedere ma ci sarà. Molte delle misure già messe in campo dalle banche centrali hanno bisogno di tempo per dispiegare i loro effetti. Purtroppo la transizione politica americana ha finito per coincidere col momento peggiore della crisi finanziaria, differendo nel tempo (a fine gennaio) misure che sarebbe stato necessario adottare con immediatezza.
b) FinancialmarketsLAB, lei continua a invitarmi a estendere i raffronti fino all’Ottocento. Ma io non sono d’accordo con lei. Penso che l’andamento del ciclo economico sia mutato rispetto a quello di un’epoca in cui Keynes non era ancora nato e le banche centrali – spesso – non esistevano.
c) c’è contraddizione con quanto ho scritto nel post Punto di svolta? Non mi pare proprio. Io non ho mai inteso indicare, con quell’espressione, il punto di inversione del trend di mercato, che è un qualcosa che notoriamente nessuno sa anticipare con precisione (magari c’è chi ci azzecca una volta o due e poi sbaglia – il che conferma che un metodo sicuro nessuno lo conosce). Certamente vedo, e ho indicato in Punto di svolta, come in altri post, dei segnali che sono coerenti con un momento di inversione del trend. Ma sono segnali che non hanno un altissimo grado di affidabilità e di precisione. Di conseguenza, in merito io non ho certezze. Il senso del “Punto di svolta” – che lei mi pare ha male inteso – è di indicare un’inversione nella mia strategia d’investimento sulla base di preminenti ragioni valutative. Dai minimi di ottobre sono diventato compratore di azioni – in maniera graduale e circospetta, senza dunque inseguire i rimbalzi – sulla base, prima di tutto, della seguente fondamentale considerazione: i mercati azionari, in una prospettiva di lungo periodo, sono diventati attraenti perchè i prezzi sono bassi rispetto al valore intrinseco di molte aziende quotate. Il punto di svolta è questo. Dopo oltre dieci anni di valutazioni eccessive, sui mercati azionari si trovano di nuovo straordinarie occasioni a prezzi da saldo. Questo approccio si chiama value investing, ed è molto diverso dal market timing o dall’asset allocation tattica che lei sembra avere in mente. Nel timing dei miei acquisti, e in diverse considerazioni che faccio nei miei post, c’è anche una componente di asset allocation tattica – subordinata però rispetto alle preminenti motivazioni di valore. Per dirla in altro modo, mentre ho grande fiducia nelle motivazioni di valore alla base della mia inversione di strategia (il cui orizzonte operativo è di parecchi anni), ne ho una molto più limitata nelle motivazioni legate all’analisi del ciclo economico, del sentiment e di altri fattori tecnici – che appartengono invece, tipicamente, a un approccio di market timing e di asset allocation tattica. Le une e le altre possono convivere? Certamente sì. Ma non hanno pari importanza.
c) anche sui timori di deflazione, lei mi interpreta male. Io ne parlo come di un rischio – sicuramente il rischio macroeconomico più importante che al momento ci si para davanti. Ma non mi spingo affatto a dire che ci siamo già dentro fino al collo. La deflazione dipende dal radicarsi di aspettative di prezzi in calo. Una premessa perchè questo accada, penso, sarebbe il fallimento delle manovre espansive che governi e banche centrali stanno dispiegando. Ma ci vorranno ancora dei mesi per vederle compiutamente all’opera e giudicarne gli effetti. Per ora siamo soltanto in una grave situazione di shock da crisi finanziaria: le difficoltà del sistema creditizio, e il senso di crisi e anche di panico che da lì si è diffuso, hanno spinto le famiglie a tagliare i consumi e le aziende a congelare gli investimenti. Tutti sono corsi a cercare un porto sicuro nella liquidità. Il risultato è la grave contrazione dell’attività economica che ci raccontano i dati di queste settimane. Penso però che si tratta di dati che sarebbe sbagliato proiettare nel futuro. Abbiamo avuto uno shock e l’intenzione di banche centrali e governi – soprattutto in America – è, correttamente, di reagire con un contro-shock. Per capire come questa crisi evolverà, ripeto, bisogna vedere quale sarà l’efficacia di questo contro-shock, che in larga misura è ancora in via di definizione.
Il “bottom” verrà raggiunto quando nessuno sarà più interessato alla borsa, con bassi volumi in un mercato “noioso”. La maggior parte di voi avrà capitolato e venduto tutto, gridando “fatemi uscire di qui”. Un altro segno sraà quello che siti come Finanzaworld.it di Francesco Carlà o il suo blog chiuderanno perchè non ci saranno più iscritti.
Scusate questo commento dopo pochi minuti dal precedente, ma non ho resistito perchè leggendo ,subito dopo aver commentato qui, l’ultimo post di Brad Steenberger nel suo blog (che giustamente anche Bertoncello ha tra i suoi preferiti), ho letto questa sua frase: “I suspect we’ll see an end to the secular bear market when investors lose the peace of mind associated with buy-and-hold”. Sottoscrivo!
In tutta modestia, caro Pier, io per non saper nè leggere nè scrivere credo che il fondo sarà toccato quando lo deciderà Sua maestà il Mercato e non prima nè dopo… E dico questo per sottolineare che nessuno, e ripeto nessuno, potrà mai azzeccare previsioni in campo finanziario, tanto meno in questi frangenti di enorme volatilità borsistica. Poi ci saranno comunque i soliti noti, i quali se ne usciranno con i soliti “ve l’avevo detto io ecc ecc ecc”, ma questi commenti lasciamoli pure a chi non ha di meglio da dire.
Caro Bertoncello, comincio a preoccuparmi: l’assonanza che avverto con il Suo pensiero – che ha l'”accortezza” di accompagnare sempre con una documentazione più che adeguata – è veramente notevole.
Proprio oggi ho filosofeggiato nel mio blog sulla falsa attendibilità dei Guru nostrani:
http://risparmiareinformati.investireoggi.it/caro-guru-ti-scrivo-180.html
Come al solito, chapeau.
beh,… non sarebbe sbagliato … e molto piu prudente, magari perdere un 30% del rialzo ,
ma investire quando si è ragionevolmente capito che il trend è cambiato.
Ciao,
ho letto con molto interesse questo post. Immaginavo fino ad ora di appartenere a una “razza in via di estinzione” ma leggere
“Naturalmente, nessuno sa che strada prenderanno le Borse nei prossimi giorni, settimane e mesi. Un modo per prevederlo non esiste.”
“E dico questo per sottolineare che nessuno, e ripeto nessuno, potrà mai azzeccare previsioni in campo finanziario, tanto meno in questi frangenti di enorme volatilità borsistica. Poi ci saranno comunque i soliti noti, i quali se ne usciranno con i soliti “ve l’avevo detto io ecc ecc ecc”, ma questi commenti lasciamoli pure a chi non ha di meglio da dire.”
“Proprio oggi ho filosofeggiato nel mio blog sulla falsa attendibilità dei Guru nostrani:” (e anche non nostrani)
dicevo, leggere questi commenti, ritengo dia valore e serietà al blog. La mia opinione a riguardo, che ho già avuto occasione di scrivere altre volte, si rispecchia in quanto ho riportato sopra.
Come scrive il dott. Bertoncello, la fine di un ciclo recessivo coincide con l’affollarsi di brutte notizie; questo non deriva da un’analisi degli andamenti del passato ma semplicemente da una constatazione pratica: alcune imprese reggono, in momenti difficili, tagliando il personale (purtroppo), alcune vanno + in difficoltà di altre e verso la fine del periodo buio la maggior parte di queste getta la spugna, logorata da mesi di problemi. A questo punto tre sono gli scenari:
1. Tutto finisce
2. Tutto si deprime ma sopravvive in qualche modo
3. Le imprese che hanno resistito trovano molti meno competitors e occupano nuove fette di mercato, ricominciano ad assumere e piano piano il ciclo riparte
L’AD della società dove lavoro ritiene che alla fine di questo periodo saremo + forti e redditizi di prima; noi stiamo, anche se al rallentatore, assumendo personale ora che si trovano, come per le azioni, risorse “a sconto”.
Insomma, io non so come andranno a finire le cose; lo sapessi mica scriverei ora, qui… vivrei da tempo, ricco, in Polinesia ma spero e credo che la terza ipotesi sia la + realistica.
Mi sbaglierò ?
Il mio portafoglio ha un’allocazione strategica ampia e una piccola percetuale tattica, di breve periodo, con la quale, dico io, mi “diverto”.
Dott. Bertoncello, a guardare i dati sotto esposti, possiamo definire l’attuale crisi simile ad altre crisi passate ?
Avevo postato qs commento su un altro suo articolo dei giorni scorsi, per me il vero ddramma dell’attuale situazione è la mancanza di liquidità stratosferica che abbiamo in questo periodo, e nonostante le vere e presunte iniezioni, ancora non si vede una minima luce all’orizzonte … il problema che ora per me ci si deve porre è il seguente: si può andare aanti con qs mondo, quando iene a mancare così tanta liquidità ? Gradirei una sua opinione a tal proposito.
Grazie
Ma guardate qui …
http://www.thomsonreuters.com/content/PDF/financial/league_tables/de/2008/3Q08_debt_capital_mkts.pdf.. una panormanica del debito mondiale nei vari aspetti, e guardate come nel 2008 ci sia stato un sempre più rapido contrarsi dell’emissione di strumenti che garantivano liquidità al sistema sotto le più svariate forme …beh spiegatemi come senza questa liquidità possiamo ancora immaginarci il mondo così come è quello odierno …
Ripeto attenzione, non prendiamo in considerazione i milioni di disoccupati i fallimenti etc etc … concentriamoci solo su qs aspetto la mancanza di liquidità … sono numeri impressionanti dove nessuna autorità centrale può pensare minimamente di uscirne fuori in maniera indenne
piero,
ma xkè nn si vede niente nel link?
Dott. Bertoncello complimenti per i contributi che mette a disposizione sul blog. Non posso che lodarne la competenza, la lucidità e il coraggio delle opinioni.
Da consulente indipendente ho valutato i molteplici approcci all’investimento e concordo con la sua predilezione per il value investing. Sono d’accordo con il quadro che ha delineato negli ultimi post, ma ho un dubbio e gradirei avere la sua opinione in merito: le istituzioni preposte al controllo dei mercati finanziari e alla guida delle leve monetarie e fiscali (banche centrali, governi, autorità di controllo dei mercati) stanno facendo le manovre più opportune e hanno il pieno controllo della situazione? D’altronde la BCE a luglio scorso ha alzato i tassi, salvo poi essere costretta a una precipitosa retromarcia; negli USA non si è riuscito ad impedire la speculazione folle delle banche d’investimento e le stesse misure prese a sostegno del sistema non sembrano scaturire da un piano complessivo in grado di stabilizzare i mercati (vedi fallimento Lehman). Mi domando se le istituzioni meritano la fiducia del mercato e se non stiano perdendo l’occasione per stabilire dei meccanismi in grado, se non proprio di evitare, almeno di non favorire la formazione della prossima bolla.
@ Michele.
Leggendo la sua mail mi è venuto un moto di sconforto.
La BCE che a luglio alza i tassi, i prezzi impazziti delle materie prime, il proliferare incontrollato di CDS e CDO, gli Stati Uniti che fanno fallire la Lehman nonostante (o proprio?) per la guida di Paulson (ex Goldman Sachs), gli Hedge che devono chiudere in un mese, si dice, 6.000 miliardi di carry trade, la balbuzie delle autorità e dei Parlamenti, mi sembrano tutte prove evidenti di come nessuno, neppure chi dovrebbe vedere le cose dall’interno, immaginasse bene come funzionava la finanza.
Mi domando quanto è stato imperizia, quanto stupidità, quanto malafede.
Ma questi, con la responsabilità che hanno, cosa ne sanno più di noi?
Nulla, sembrerebbe…
Penso che adesso inondare il mondo di denaro, senza stabilire un quadro normativo internazionale preciso, sia causa dei disastri prossimi venturi.
E’ come dar denaro in un paese inquinato dalla malavita.
Spero che la classe dirigente entrante negli Stati Uniti sia all’altezza di dettare norme efficienti. Ma non posso non dubitarne.
D’altra parte, si è visto come anche da noi i danni siano arrivati rapidamente (vedi i prezzi in borsa, ma anche la vicenda Banca popolare Intra che si è trovata, senza saperlo, con i portafogli pieni di subprime), con una crisi che credo non ci meritavamo.
E inoltre il dubbio atroce: il dr Alessandro Profumo che investe nella sua banca 6 milioni di cui se ne ritrova adesso forse 1, sa come va la sua banca o è come Paulson?
Fai clic per accedere a 3Q08_debt_capital_mkts.pdf
Maat prova di nuovo è un file pdf
grazie piero adesso tutto OK
9 – Piero – hai individuato uno dei problemi più grandi, la mancanza di liquidità. Molto grosso ma non irrisolvibile.
Notizia di oggi: la Fed ha chiesto al Congresso, per la prima volta nella storia, di emettere proprie obbligazioni per non prosciugare tutta la liquidità di cui ha bisogno.
Un segnale che ci sono sempre contromisure possibili
scusa amicorisparmio,
ma tu hai i dati della deflazione giapponese (anni90) ????
i giapponesi non hanno provato anche loro in tutti i modi a iniettare liquidità????
16 – maat, non voglio farmi passare per ciò che non sono e cioè un esperto tuttologo. Mi sembra però che paragonare la bolla immobiliare giapponese, che non coinvolse tutto il mondo, a quella dei subprime, che invece lo sta facendo, sia improprio. I giapponesi scelsero vie diverse, privilegiando il sostegno alle imprese (yen debole, consumi delle famiglie idem, export forte). E poi Bank of Japan e Fed sullo stesso piano ? Mah..
Voglio sperare che il sillogismo implicito che tu fai tra processi deflazionistici differenti sia errato nei presupposti, ma confesso di non avere argomenti inoppugnabili a supporto. Sorry
sai amico la mia è solo perplessità.
perchè al momento nessuno sembra in grado di capire lo sviluppo… nemmenola FED e la BCE.
la cosa che sembra palese è che ci possono essere 2 alternative :
deflazione ,
iperiflazione,
che sono in sostanza una l’antitesi dell’altra.
è come dire : FARA’ FREDDO,….MA ATTENTI A NON BRUCIARSI
questa è una frase che ho copiato da:
http://duecents.blogspot.com/
Stampare denaro cancellerebbe il debito, ma assieme ad esso farebbe sparire anche le nostre economie ed in maniera più efficace di quanto non potrebbe fare una catena deflattiva di fallimenti.
eddài, un po’ di ottimismo, e che diamine ! Non è tutto già scritto..
Comunque non voglio più abusare di questo spazio e del nostro ospite, cui lascio volentieri la replica
@ Valter
hai elencato un bel campionario di problemi: mi sembra evidente che i problemi siano concentrati nell’ambito finanziario, e ci metterei una bella riforma societaria per evitare che in un settore così delicato gli squali (come veniva chiamato l’a.d. di Lehman) possano, a suon di speculazioni, mettere a rischio l’economia intera.
Mi conforta il fatto che il mondo delle aziende, settore auto a parte, sembrano più forti della crisi.
Anch’io nutro molta speranza nel nuovo presidente degli USA e confido nel fatto che sappia circondarsi di collaboratori capaci e onesti in grado di far ripartire l’economia su basi più solide ed eque.