Perché una recessione negli Usa è probabile
Per i mercati azionari le festività natalizie sono state portatrici più che altro di cattive notizie. Chi aspettava il rally di fine anno ha dovuto invece fare i conti con indici che sono tornati a testare i minimi di agosto e di novembre, sulla spinta di paure crescenti che una recessione negli Usa sia ormai inevitabile.
Il precario quadro tecnico è ben visibile nel seguente grafico settimanale dell’S&P 500:
E il motivo dominante è sinteticamente illustrato da un altro grafico che riporta le quotazioni del contratto USrecession.08, scambiato sul mercato predittivo di Intrade (di cui ho già scritto nel post Mercati predittivi e recessione negli Usa):
Il contratto esprime le probabilità assegnate dagli scommettitori al verificarsi di una recessione negli Usa nel 2008. Come risulta chiaro, tali probabilità si sono impennate da livelli poco inferiori al 50%, prevalenti tra novembre e dicembre, fino all’attuale 64%. Quali sono stati i motivi di una così rapida e drastica revisione delle aspettative?
Quelli facilmente quantificabili sono per lo meno tre, che vado a riportare in ordine cronologico.
Il 21 dicembre è stato pubblicato l’Index of Leading Economic Indicators (LEI) di novembre, in Italia noto come superindice economico. E’ il più affidabile degli indicatori anticipatori del ciclo economico americano.
Come scrivevo nel post Un bear market azionario è forse alle porte?, il LEI, con l’unica eccezione di un falso segnale nel 1966, ha correttamente segnalato, con un trimestre d’anticipo, tutte le recessioni Usa degli ultimi 50 anni.
Qual è dunque stato il suo più recente responso? Ecco il grafico, che traggo dalle analisi di Northern Trust (le fasce grigie indicano i periodi di recessione):
Dopo un flebile rimbalzo nel corso del terzo trimestre, l’indice è tornato a sprofondare con più decisione in terreno negativo.
Come nota Asha Bangalore di Northern Trust, cumulando il -0,5% di novembre con il -0,4% di ottobre si ottiene la più marcata flessione su base annua dal terzo trimestre del 2001, quando l’economia Usa era in recessione. Il messaggio, per Bangalore, è che “i rischi di condizioni economiche di notevole debolezza stanno rapidamente aumentando.”
Il secondo motivo delle aumentate paure di recessione sta nel sondaggio ISM tra i responsabili degli acquisti del settore manifatturiero, diffuso il 2 gennaio e relativo al mese di dicembre. Ecco il grafico dell’ISM manifatturiero, sempre tratto da Northern Trust:
Con la caduta a 47,7 l’indicatore, che è pure tra i più affidabili nell’anticipare l’evoluzione del ciclo Usa, si è portato su livelli che in passato hanno spesso segnalato l’instaurarsi di condizioni recessive.
Cautamente, Bangalore osserva come conferme dovranno essere attese nei prossimi mesi. Ma la possibilità che il dato di dicembre sia un falso segnale appare ridotta.
Tra i componenti dell’indice, due dei più importanti, e cioè produzione e ordinativi, hanno evidenziato estrema debolezza, scendendo ai livelli più bassi dall’autunno del 2001, quando l’economia Usa era in recessione, come risulta chiaro da quest’altro grafico:
L’ultimo motivo di allarme, in ordine temporale, è venuto lo scorso venerdì con la pubblicazione delle statistiche sull’occupazione relative a dicembre. Il tasso di disoccupazione si è improvvisamente impennato dal 4,7% al 5,0%, una rapida inversione di rotta che è tipicamente associata all’avvio di una recessione, come evidenzia il grafico seguente:
E con la creazione di appena 18 mila nuovi occupati a dicembre, il tasso annuo di crescita della forza lavoro è sceso allo 0,9% dal picco ciclico del 2,1% del marzo 2006, come illustra quest’altro grafico:
L’aspetto più preoccupante, nota Bangalore, è che l’89% della già esigua crescita della forza lavoro registrata nel 2007 è dovuto a un metodo di destagionalizzazione dei dati che solleva molte perplessità tra gli economisti. E’ insomma probabile che le statistiche ufficiali sovrastimino, in questa fase del ciclo, la salute del mercato del lavoro Usa.
Recessione del mercato della casa, recessione del settore manifatturiero e flessione del mercato del lavoro, se confermate, potranno solo mettere in ginocchio i consumi, tanto più in un contesto in cui la crescente debolezza economica va a colpire i bilanci di famiglie Usa già sin troppo indebitate.
Se, come appare dunque sempre più probabile, una contrazione dell’economia americana sarà nei prossimi mesi difficile da evitare, quale potrà essere l’impatto sull’Europa?
Un’indicazione ci viene dal grafico seguente, tratto dall’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale. Illustra il tasso reale annuo di crescita del Pil negli Usa, zona euro e Giappone:
Trascurando i dati nella banda grigia, che rappresentano previsioni per il prossimo anno (notoriamente non molto affidabili), è facile notare la stretta correlazione tra le economie americana ed europea negli ultimi due cicli, con la funzione di traino, nelle fasi ascendenti come in quelle discendenti, che gli Usa hanno storicamente esercitato. La conclusione, insomma, è che se gli Usa sono in procinto di cadere in recessione, la crescita europea potrebbe in pochi mesi squagliarsi come neve al sole.