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La Federal Reserve aggredisce la crisi

La Federal Reserve ha annunciato mercoledì scorso l’avvio di un programma di acquisto di 750 miliardi di dollari di titoli garantiti da prestiti ipotecari (mortgage-backed securities o MBS), 100 miliardi di altri titoli detenuti dalle agenzie federali e 300 miliardi di titoli del Tesoro. Nel complesso, si tratta di 1.150 miliardi di dollari che, dalla prossima settimana, verranno iniettati nel sistema americano allo scopo di abbassare tutta la struttura dei tassi, stimolare il credito – soprattutto nel settore immobiliare – e ridare fiato all’economia.

Si tratta di quantitative easing in proporzioni massicce: un’espansione non convenzionale dell’offerta di moneta resa necessaria dal fatto che i Fed funds, i tassi a breve che la Federal Reserve manovra nell’ordinaria conduzione della sua politica monetaria, sono già a zero e non possono essere abbassati ulteriormente.

Le conseguenze di una mossa che i mercati non avevano previsto sono state scioccanti: i rendimenti sui titoli del Tesoro americani sono scesi, nella parte lunga della curva, di mezzo punto percentuale, dal 3% al 2,5% circa – un movimento di un’ampiezza mai registrata prima in così breve volgere di tempo. Le Borse sono salite, almeno inizialmente, e altrettanto ha fatto l’oro. Il dollaro è sceso bruscamente.

La necessità di una politica monetaria non convenzionale

Perché è importante quanto è accaduto mercoledì? Partirò da un post che scrissi un paio di mesi fa, Soluzioni alla crisi. Lì presentavo le conclusioni di uno studio di Goldman Sachs, secondo cui il livello appropriato dei tassi a breve americani, considerato lo stato della congiuntura, sarebbe stato di un -6%! (Si vedano le spiegazioni e il grafico che pubblicavo allora).

I tassi d’interesse, però, non possono spingersi a livelli negativi. Quello studio dimostrava dunque che l’offerta di credito si era fatta estremamente restrittiva, in conseguenza della paralisi del sistema bancario e della profonda crisi di fiducia che dall’autunno in poi ha travolto le famiglie e le imprese, congelando i consumi delle prime e gli investimenti delle seconde. In simili condizioni, l’economia poteva e può solo continuare a contrarsi, trascinando nel baratro le attività sane come quelle decotte, affossando i vizi delle speculazioni passate come le virtù di chi ha correttamente operato.

Nello stesso articolo citavo un commento di Paul Krugman allo studio di Goldman Sachs. Siccome le condizioni monetarie restano troppo restrittive, nonostante i Fed funds siano stati portati a zero, c’è assoluto bisogno – argomentava Krugman – “di un poderoso stimolo fiscale, di politica monetaria non convenzionale (ndr, sostegni da parte della banca centrale che vadano oltre le manovre sui tassi a breve), e di qualsiasi altra cosa riusciamo a immaginare per combattere l’attuale tracollo. In senso letterale, le regole abituali non valgono più.”

Dallo scorso autunno, per la verità, la Federal Reserve – esaurito l’impiego della leva convenzionale dei tassi – è stata estremamente attiva nell’iniettare liquidità nelle grandi banche o nei colossi finanziari come AIG, impedendo così degli esiti fallimentari che avrebbero travolto il sistema finanziario globale.

Il limite di queste iniezioni di liquidità è che sono servite a tenere in piedi delle banche che restano per ora estremamente riluttanti a svolgere l’attività di credito. Il sistema finanziario non è crollato, ed è un gran bel risultato. Ma neppure è tornato a operare normalmente. L’economia reale, di conseguenza, soffre.

Cos’è accaduto lo si può meglio capire dal seguente grafico, tratto dal blog News to U(se) e prodotto dalla National Bank of Canada. Mostra, a sinistra, l’enorme creazione di base monetaria da parte della Federal Reserve (ben superiore al quantitative easing messo in atto dalla Bank of Japan nel 2001-2002, indicato dalla linea rossa) e, a destra, lo straordinario accumulo di riserve in eccesso (excess reserves), detenute dalle banche presso la Fed.

In sostanza, le banche hanno preferito parcheggiare la liquidità ottenuta dalla Fed nei loro conti presso la stessa Fed, sui quali ottengono un interesse appena dello 0,25%. In larga misura, si sono rifiutate di utilizzare le nuove risorse per estendere credito a famiglie e aziende, ritenendolo – evidentemente – troppo rischioso. Hanno tesaurizzato fondi, comportandosi allo stesso modo di tutto il resto del settore privato. La corsa generalizzata all’accumulo di liquidità, nel frattempo, da mesi sta facendo crollare l’attività economica e rischia di spingere tutti – banche, aziende e famiglie – oltre il baratro.

Bolla finanziaria negativa

La situazione che si è creata, in altre parole, è quella di una “bolla finanziaria negativa”. Se prima si generava troppo credito, per lo più attraverso veicoli innovativi e sottratti al controllo delle banche centrali – il cosiddetto “sistema bancario ombra” (shadow banking system) costituito dalle grande istituzioni finanziarie per operare nei mercati della finanza strutturata e dei derivati del credito – ora di credito ce n’è troppo poco, nonostante gli sforzi della Fed.

L’offerta di moneta proveniente da una banca centrale viene chiamata dagli economisti moneta ad alto potenziale. E la ragione è che, normalmente, attraverso il credito generato dal sistema bancario, tale moneta ha la capacità di moltiplicarsi, sostenendo l’attività economica. Questo moltiplicatore della moneta, come ci dimostra il grafico sopra, sta funzionando ben poco. E’ un po’ come se gli Usa, cuore del sistema capitalistico mondiale, si fossero ridotti a operare alla stregua di un’economia senza banche.

Canali di contagio finanziari, economici e psicologici hanno poi finito per creare situazioni analoghe un po’ dovunque. L’Italia, ad esempio, è stata ben poco interessata dai fenomeni di finanza creativa ed esagerata accumulazione di debito (nel settore privato) all’origine della crisi. Il suo sistema bancario è rimasto relativamente indenne dalla piaga degli asset tossici. Eppure, è di ieri la notizia – riportata in un articolo del Sole 24 Ore – che nei tre mesi conclusisi a gennaio la crescita del credito al settore privato è scesa in Italia al 2,3% su base annua rispetto all’8,5% del settembre scorso: una frenata drammatica.

Ma il quantitative easing funziona?

In un contesto così deteriorato e gravido di rischi, la Fed, oltre a sostenere le istituzioni finanziarie americane acquisendo da loro asset illiquidi in cambio di cash, aveva peraltro nei mesi scorsi già dato avvio a operazioni di quantitative easing mirate in particolare al mercato della casa, annunciando ad esempio a novembre un piano di acquisti di MBS (mortgage-backed securities) del valore di 500 miliardi di dollari. Già allora quell’azione si era dimostrata efficace nel ridurre i tassi sui mutui, facendo scendere quelli trentennali appena sotto il 5%, il livello più basso da quasi 40 anni.

Un altro studio di Goldman Sachs, di pochi giorni fa, ha però dimostrato che l’effetto finale sull’attività economica di queste iniziative della Fed è stato sinora deludente. Per ottenere il risultato equivalente di una riduzione dei Fed funds di un punto percentuale la Fed avrebbe bisogno di implementare misure di quantitative easing pari a 1.000-1.600 miliardi di dollari.

Siccome, secondo le stime di Goldman Sachs che ho citato all’inizio, una politica monetaria adeguata all’attuale situazione dovrebbe contemplare tassi negativi del 6%, il quantitative easing che si renderebbe necessario sarebbe tra i 6 e 9,6 trilioni di dollari – una cifra enorme (pari a circa il 45%-70% del PIL americano).

Come ha commentato Paul Krugman nel suo blog The Conscience of a Liberal, “the Fed has a problem”: il fatto che il quantitative easing, a quanto pare, non abbia sinora funzionato granché pone alla Fed un bel problema. Tutte le elaborazioni fatte a tavolino dalla banca centrale americana, in anni recenti, su come risolvere una crisi di debito e deflazione si sono infatti sempre incentrate sull’efficacia del quantitative easing, come argomentava Ben Bernanke in un suo famoso discorso del 2002. Ma che succede se questa sorta di arma atomica nell’arsenale di una banca centrale non funziona?

Shock and awe

La risposta della Fed al serpeggiante scetticismo sull’efficacia delle sue iniziative è stata quella che abbiamo visto mercoledì. “Shock and awe”, hanno detto molti commentatori americani: applicando una strategia di origine militare, simile a quella dispiegata nelle blitzkrieg di un tempo, e poi a Hiroshima e Nagasaki o durante l’invasione dell’Iraq nel 2003, la banca centrale americana ha agito di sorpresa e con potere sovrabbondante per produrre “shock e sgomento” nei mercati.

Alzando la posta del suo intervento sul mercato immobiliare e mirando direttamente al mercato dei Titoli di stato, che influenza a cascata tutta la struttura dei tassi d’interesse – in America e nel mondo – la Fed ha inteso far capire quant’è determinata la sua strategia e ricordare quant’è rilevante il suo potere.

Ha cercato, anche, con la sorpresa, di massimizzare l’effetto del suo annuncio per indurre un senso di sottomissione negli investitori: chi scommette contro la Fed, rischia molto. In pochi istanti, i rendimenti sui Treasuries decennali sono crollati di mezzo punto percentuale: un guadagno enorme per chi era posizionato dalla parte della banca centrale, una carneficina per chi aveva fatto la scommessa contraria.

La battaglia in corso è, in larga misura, un conflitto di aspettative. La Fed ha dichiarato guerra, con un attacco a sorpresa condotto con forza massiccia, contro chi si attende che la crisi non possa che peggiorare. Rovesciare le aspettative, d’altra parte, è anche il modo per assicurare che il quantitative easing si dimostri più efficace di quanto è avvenuto sinora.

Se la psicologia è il primo e più importante fronte dell’offensiva lanciata dalla Fed, la strategia resta peraltro tarata in modo da avere la massima efficacia sull’economia reale. I tassi sui mutui trentennali sono scesi di un balzo al 4,8% e molti ora pensano che potrebbero calare anche al 4,5%, un livello ancor più basso del minimo registrato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, come si leggeva ieri in un articolo di Bloomberg.

Oltre a stimolare l’acquisto di case, gli effetti che ciò può avere sui bilanci delle famiglie americane sono rilevanti, in virtù della grande flessibilità del mercato immobiliare Usa e della facilità con cui è possibile rifinanziare i mutui quando i tassi scendono. Il blog Calculated Risk riportava giovedì una stima dell’economista di Morgan Stanley, David Greenlaw, secondo il quale una discesa dei tassi sui mutui al 4,5% comporterebbe risparmi per i mutuatari nell’ordine dei 200 miliardi di dollari. E’ come parlare di una manovra di sostegno pari all’1,5% del PIL.

Evitare gli errori del passato

Con rafforzata intensità, la Fed continua dunque a dar corso alla strategia che Ben Bernanke spiegava in termini particolarmente chiari in una recente intervista con il network CBS. Dopo aver illustrato le diverse iniziative “non convenzionali” a cui la Fed ha dato corso negli ultimi mesi, l’intervistatore chiedeva: “Avete stampato denaro?”

La risposta di Bernanke è la seguente: “Sì, è come se lo avessimo fatto” (la moneta, in effetti, viene creata elettronicamente, ndr). E abbiamo bisogno di farlo perché la nostra economia è molto debole e l’inflazione è molto bassa. Quando l’economia comincia a riprendersi, quello sarà il momento in cui dovremo fare marcia indietro con i nostri programmi, alzare i tassi d’interesse, ridurre l’offerta di moneta e assicurare che la ripresa del ciclo non comporti inflazione.”

Per ora, però, la minaccia non è l’inflazione ma la deflazione e l’avvitarsi della crisi su se stessa in una “bolla negativa” di attese pessimistiche che si rinforzano a vicenda e che potrebbero precipitarci di nuovo in una Grande Depressione come quella degli anni ’30.

Nella stessa intervista, Bernanke è molto esplicito nell’individuare i due errori capitali commessi dalla Fed negli anni ’30, che permisero allora il radicarsi della deflazione e il degenerare della crisi in una catastrofica depressione.

“Fecero, fondamentalmente, due errori. Uno fu quello di lasciar contrarre l’offerta di moneta in modo molto acuto. I prezzi scesero, ci fu deflazione. La politica monetaria, in effetti, diventò molto restrittiva. E il secondo errore fu di lasciar fallire le banche. Non fecero alcun serio sforzo per impedire il fallimento di migliaia di banche. E quei fallimenti ebbero effetti terribili sul credito e sulla capacità dell’economia di risanarsi.”

Quegli errori la Fed di Bernanke non li ripeterà. Le mosse fatte dall’autunno in poi, compresa l’ultima di mercoledì scorso, ne sono una chiara e coerente indicazione.

Rischi e ragionevole condotta

Sono dunque possibili altri errori? E quali? L’immediata reazione dei mercati all’annuncio di mercoledì, e sondaggi condotti in questi giorni tra gli investitori, mostrano che la reazione prevalente è stato un atto di fiducia nella banca centrale americana. Ma c’è anche un non indifferente corpo d’opinione che teme – ora ancor più di prima – esiti più o meno catastrofici caratterizzati dal collasso del dollaro e da iperinflazione.

Quanto sono fondate queste paure? Un rischio è che la Fed sia lasciata troppo sola in questa sua azione di baluardo contro la crisi.  Se la politica sarà timida nell’opera di sostegno fiscale, e se le altre banche centrali saranno timide nella loro politica monetaria – due manifestazioni di inadeguatezza di cui hanno finora dato prova, penso, le autorità nella zona euro – gli interventi di quantitative easing della Federal Reserve potrebbero dover assumere dimensioni stravaganti. In quest’ultimo caso, i mercati potrebbero anche arrivare a temere il peggio. E il peggio potrebbe, forse, avverarsi.

Il periodo tra la fine del 1931 e il 1932 ci offre un esempio di cosa ciò possa significare. Sul finire del 1931 tanto l’amministrazione Hoover che la Federal Reserve cominciarono a intraprendere politiche reflattive di espansione del deficit pubblico e di maggiore offerta di liquidità a quel che restava del sistema creditizio. Si trattava, finalmente, del giusto corso d’azione. Ma i risultati, almeno per alcuni trimestri, furono perversi.

Al contempo, oltre Atlantico, la Gran Bretagna e otto altri paesi abbandonarono la parità aurea e deprezzarono le loro valute. Gli investitori, impauriti, cominciarono a temere che anche gli Usa – prima o poi – avrebbero svalutato il dollaro. Si avvicinavano, tra l’altro, le elezioni presidenziali del novembre 1932 (che avrebbero portato Roosevelt alla Casa Bianca), e l’incertezza politica creava ulteriori motivi per mettere in dubbio la determinazione americana a restare fedele al gold standard.

Il risultato fu una massiccia corsa a liquidare i depositi in dollari per convertirli in oro. Il mercato azionario di Wall Street, che nel biennio precedente aveva già perso più del 70% del suo valore, crollò di un altro 54% tra il marzo e il luglio del 1932, quando finalmente toccò il fondo.

I mercati finanziari sono così complessi, e le aspettative vi giocano un ruolo così importante, che politiche di per sé corrette, se considerate in isolamento, possono sortire – almeno per un certo periodo di tempo – risultati paradossali.

La politica di “shock and awe” della Federal Reserve potrebbe dunque arrivare a scioccare sin troppo gli investitori, sortendo effetti contrari a quelli desiderati?

Penso si debba tenere conto delle molte differenze tra il 1932 e oggi. Allora c’era il gold standard e una corsa all’oro era un’evidente possibilità. Inoltre, gli Usa non erano ancora il centro insostituibile del sistema finanziario globale e il dollaro non era l’indiscussa moneta di riserva mondiale. Una fuga di capitali, dopo i forti afflussi della fine degli anni ’20, era nel 1932 un’eventualità del tutto plausibile.

Ma oggi, scommettere contro la Fed, contro il dollaro e contro gli Stati Uniti a cosa potrebbe portare? Dove dovrebbero rifugiarsi i capitali in fuga dagli Usa? In Europa? In Giappone? In Gran Bretagna o in Svizzera? Nella non democratica e finanziariamente sottosviluppata Cina?

Un ritorno all’oro è impensabile. E la fuga dal dollaro sarebbe un gioco al massacro.

La scommessa della banca centrale americana, penso, si gioca anche sul convincimento che non ci sono alternative ragionevoli. La Fed continuerà a guidare le danze e sarà nel comune interesse di tutti gli altri giocatori – governi, banche centrali e investitori – accompagnarne le mosse.

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16 pensieri su “La Federal Reserve aggredisce la crisi

  1. Gianni in ha detto:

    Come un giocatore di poker all’ultimo rilancio, quello della rinascita o del definitivo abbandono della scena. Ormai sul piatto si buttano i trilioni, i vecchi bilioni (o miliardi) non servono più. Chi per otto anni si è preso dell’antiamericano ora dovrebbe essere contento. Ma non lo sono, mi piaceva far parte del gruppo di nazioni che comanda(va)no il mondo. E’ una mossa disperata, certo capita che dopo aver perso tutto, l’ultimo bluff sia quello vincente. Capita anche di azzeccare i 6 numeri del superenalotto. Le possibilità sono assai superiori, Obama si presenta bene, diamogli fiducia. Staranno dicendo questo i dirigenti cinesi? O vanno a vedere il bluff? Il 2 aprile ne sapremo qualcosa di più.

  2. sueggiù in ha detto:

    Non ho titolo per sapere se lo sfoggio di muscoli mostrato dalla Fed sarà la strategia migliore, sicuramente è stata una mossa molto “americana”.

    Non so cosa ne pensino i lettori del blog ma un’ economia sana dovrebbe prescindere dalle decisioni assunte dalla banca centrale di un singolo paese.
    Trovo criticabile un sistema economico dove i governi e le banche centrali, dovrebbero assecondare le mosse della banca centrale di un solo paese.
    Il fatto poi che la Fed agirebbe basandosi sulla mancanza di alternative, non lo trovo certo rassicurante.
    Anzi, l’oro sui massimi da venti anni, dimostra che qualcuno comincia a non credere più nel dollaro.
    Speriamo che tutto questo non porterà ad una mutazione genetica dell’economia.

    Forse è una bestialità ma, in un’ottica di cicli economici pluriennali, anche la deflazione non porterebbe con sè solo aspetti negativi (e questo è un aspetto che pochi fanno notare).
    I prezzi scendono e (a parità di salari) il potere di acquisto aumenterebbe.
    Forse è proprio questo il punto, sembra che non si riesca più ad accettare i periodi di recessione come fasi naturali di un ciclo economico.

  3. Daniele in ha detto:

    1. Egregio Dott. Bertoncello
    le sue analisi, sempre molto ben documentate, meritano sempre attenzione. Personalmente ritengo che abbia fatto un esame dettagliato ed assolutamente rispondente alla reale situazione. Ciò che mi soprende sono tuttavia le conclusioni.
    There are not alternatives…
    Non capisco se si tratti di un wishful thinking, di un asserto fideistico o di un ragionamento (inespresso) che, pur partendo da elementi noti, giunga alla soluzione più… tranquillizzante.
    Naturalmente non si può escludere che alla fine le cose vadano davvero così… che gli europei acconsentano alla politica monetaria USA (accodandosi al quantitative easing), che la Cina continui a comprare treasury nonostante gli Americani non acquistano più merci cinesi, che la Russia gradisca il tutto nonostante si lecchi ancora le ferite per il crollo borsistico innescato dal ritiro dei capitali statunitensi dello scorso autunno, che l’Europa, grata per il salvataggio di AIG (dunque delle Banche europee assicurate), si allinei e segua… E’ chiaro che di mezzo c’è il dollaro e la sua funzione di moneta di riferimento mondiale, tale per cui un Paese di può permettere di stampare a iosa senza che per tale motivo la moneta si svaluti automaticamente. Per una spiegazione di tale fenomeno si veda:

    http://www.moneyweek.com/investments/why-the-dollar-will-get-even-stronger-from-here-14673.aspx

    Non si dica tuttavia che non ci sono alternative. Le alternative, a volerle vedere, ci sono eccome. Ricordiamoci che a Davos (si tratta di poche settimane orsono) Cina e Russia hanno detto chiaramente che la responsabilità di questa crisi è da ricondurre alla dissennata finanza strutturata made in USA e GB (come si sa Londra è la testa, NY il braccio). Il Putin e Wen Jiabao hanno chiaramente fatto capire che l’età del dollaro è finita. Si tratta soltanto di capire le modalità della liquidazione finale…. cruenta o negoziata e morbida?
    Mi rendo conto che la proposta potrebbe suonare oltraggiosa per chi reputa che gli USA siano comunque e sempre il faro economico del mondo. Ipotizzare che la valuta di riferimento sia costituita da un peg di più valute è una delle tesi praticabili. Essa è autorevolmente propugnata dal think tank socio-economico LEAP2020 che nell’ultimo bollettino parla apertamente di questa possibilità:

    http://www.leap2020.eu/GEAB-N-33-is-available!-Growing-Transatlantic-tensions-on-the-eve-of-the-G20-summit-An-illustration-of-Wall-Street-s-and_a2940.html

    Il Bollettino n33 è anche interessante per l’accento che pone sulla disinformazione pilotata a beneficio del dollaro….
    Vi sono anche ulteriori molteplici dati che rilevano per comporre il futuro scenario. Pensiamo al fatto che le monarchie arabe starebbero programmando il lancio imminente della loro valuta, sganciandosi dal dollar peg per adottare il Kaleeji.
    Queste considerazioni vanno ambientate nella situazione, che di giorno in giorno si fa più critica, nonostante i massicci interventi di sostegno. D’altronde l’effetto leva della finanza strutturata non perdona. E’ piuttosto impressionante seguire la dinamica degli ABX:

    http://www.markit.com/information/products/category/indices/abx.html

    La situazione dell’economia reale purtroppo non può seguire la dinamica ormai innescata, un mix di licenziamenti, calo dei valori immobiliari, insolvenze.
    Il prezzo dell’oro la dice lunga sul senso di pericolo che affligge l’economia. In questo senso non è assolutamente da escludere che il mondo si rivolga ai metalli preziosi (anche all’argento, che fino ad ora non ha evidenziato una dinamica così marcatamente rialzista) proprio allo scopo di trovare un rifugio rispetto a tutti gli altri asset che non garantiscono il mantenimento di valore. Non dico di seguire le estremistiche opinioni del prof. Antal Fekete che addirittura preconizza l’oro a 5000/7000 USD/oncia:

    http://en.wordpress.com/tag/antal-fekete/

    ma ci sono anche visioni più blande, ancorchè orientate a favore di un trend decisamente rialzista:

    http://www.markit.com/information/products/category/indices/abx.html

    Davvero difficile capire come sarà il mondo dell’economia tra sei mesi e tra un anno. Se l’azzardo della FED e il ruggito degli USA siano coronati da successo, determinando l’allineamento di tutto il mondo dietro gli ordini di scuderia. La sensazione (del tutto mia e personale) è che il mondo ha voglia di contare di più. I Cinesi, i Russi, gli Arabi, anche gli Europei forse non si adatteranno ai diktat (anche se va dato atto ad Obama di aver molto smorzato i toni, anche con l’Iran).
    Ciò che non sembra si possa dire è, in ogni caso, che non ci siano alternative….
    Un saluto a tutti ed un ringraziamento al dott. Bertoncello
    Daniele

  4. Fabris in ha detto:

    Complimenti dott. Bertocello per l’articolo, il cui pregio primario è quello di di-vulgare concetti spesso molto accademici e quindi ermetici ai più. Che dirle se non che la crisi in atto è un banco di prova continuo per terapie mai prima esplorate a fondo. Quel che è certo è che se nel sistema la massa monetaria cresce a infinito positivo ma la velocità di circolazione della stessa permane asintotica a zero, vedo molto difficile un recupero della domanda aggregata e quindi del sistema tutto.

  5. Rosanna in ha detto:

    vi do notizie un pò più fresche, per chi è interessato:

    Lunedì prossimo verrà varato in USA un nuovo piano di riacquisto di toxic assets per 700-1000 billions.

    La Fed ha intenzione di aumentare di 15 volte la base monetaria.

    http://www.marketskeptics.com/2009/03/fed-is-planning-15-fold-increase-in-us.html

    Al G20 di aprile la Russia proprrà l’adozione di una NEW CURRENCY come riserva valutaria, qualcosa di simile all’ECU.

    http://www.reuters.com/article/newsOne/idUSTRE52H2CY20090318

    Ciò consentirà di svalutare il dollaro e salvaguardare le riserve della Cina (22%), Giappone (19%) e Russia (se non ricordo male slo 12%).

  6. Daniele in ha detto:

    Grazie a Rosanna
    davvero molto illuminanti i due articoli linkati.
    La prossima settimana anche il team LEAP2020 diffonderà un annuncio pubblico in favore dell’adozione di un nuovo paniere di monete di riferimento che vada a sostituire il sollaro, evitando la fuga disordinata e il conseguente dissesto che ne seguirebbe.
    In questo senso l’esito del G20 potrebbe davvero rappresentare la svolta che si attende…
    Obama in un certo senso sta mostrando una posizione di ragionevolezza. Certamente la rinuncia al dollaro come valuta di riferimento per i commerci mondiali sarebbe un boccone davvero amaro da ingoiare.

  7. Sig.re Bertoncello,
    Complimenti per le analisi, che pero’ non condivido.
    La verita è che la FED è impotente, verrà il giorno che un bambino si alzerà e indicandola dirà:” ma la FED è nuda!”.
    La FED ha nei ultimi decenni applicato lo schema PONZI ed adesso siamo alla resa dei conti.
    Il quantitative Easing sul treasury potrebbe far fare anche un altro giro alla giostra (ne dubito), ma questo è l’ultimo.
    E’ vero la battaglia della FED è psicologica e si gioca sulla fiducia, fiducia necessaria per il buon funzionamento di tutti gli schema Ponzi.
    Ma i cittadini americani la fiducia l’hanno persa: fiducia che ci vogliono anni per costruirla e solo un attimo per spazzarla via.
    Lo so mi darà del pessimista/catastrofista.
    La verità è che sono realista, amaramente realista ma, come in trattoria, prima si beve e si mangia, ma dopo l’oste porta il conto e bisogna pagarlo.
    Quindi sono in attesa, di quel bambino che si alzi e dica il sistema bancario americano è in bancarotta, non lo si è voluto ammettere e ora l’insolvenza è passato alla FED ed in ultima istanza gli USA ed al dollaro.
    Ma sono anche fiducioso, che dopo lo tsunami che nessuno ci puo’ evitare, dalle macerie ricostruiremo un sistema migliore e sostenibile.

  8. Gianni in ha detto:

    Vedo che il blog si sta orientando per il default Usa. Nonostante il dott. Bertoncello pensi che non siamo alla fine dell’impero. A molti i numeri sembrano dire quello. La superpotenza ha già lasciato il medio oriente (guerra all’Iran vorrebbe dire crollo immediato, meglio fare buon viso a cattivo gioco). Bush è stato l’ultimo imperatore, quanto incapace e inetto il mondo lo sta capendo solo ora. Penso che il Fed-bluff non passi, non è il momento della finanza creativa, i soldi messi sul piatto sono finti, moneta elettronica. Ci vuole altro. Sono sempre più convinto che le analisi che vedono il default Usa (o il crollo del dollaro, non fa molta differenza) siano quelle più giuste.

  9. Gentile Jhon (7),

    non si tratta di far fare un altro giro alla giostra. Non c’è nessuna giostra, nel senso da lei inteso. Come ho scritto nell’articolo, siamo in una “bolla finanziaria negativa” – figlia della speculazione che l’ha preceduta.

    La Federal Reserve sotto la guida di Alan Greenspan ha molto sbagliato, perchè non si è opposta alle bolle che montavano.

    Ciò che lei ora invoca – a fini palingenetici – è che si faccia un nuovo, simmetrico e catastrofico errore.

    Dopo non essersi opposta alle bolle speculative la Fed di Bernanke, secondo lei, dovrebbe ora rinunciare ad opporsi alla bolla finanziaria negativa.

    A che pro? Fare scontare al mondo intero i suoi passati errori e commetterne, così facendo, uno di nuovo?

    Lei dice di essere realista. Ma mi permetta, le opinioni che esprime realiste non sono. Sono tipiche di un atteggiamento catastrofista, attratto dall’idea che solo dalle macerie può nascere un mondo migliore.

    Il punto è che gli eccessi passati si stanno pagando e continueranno a essere scontati per un bel po’. Ma perchè mai si dovrebbe cercare di rendere il costo di quegli errori il più pesante e iniquo possibile?

    Quando l’oste viene da lei e le presenta un conto da 100 euro, lei si mette a pregarlo di decuplicare l’importo a fini di espiazione? “Caro oste, è giusto che io paghi non 100 ma 1000 euro, perchè ho molto mangiato e bevuto e sono pure ingrassato! Per favore, mi punisca per gli eccessi miei e dei miei commensali!”

    Lei fa così? Presumo di no. E perchè va allora raccomandando agli altri questo tipo di dissennato comportamento?

    Come ho scritto nel mio articolo, la bolla negativa che è andata montando in questi mesi rischia di travolgere tutto – speculatori e prudenti risparmiatori, banche di fatto insolventi e aziende sane.

    Consentire un simile sfascio, o anche solo ritenerlo giusto o comunque inevitabile, è da irresponsabili.

    La Fed di Bernanke non sta cercando di impedire l’inevitabile deleveraging di attori economici (grandi banche in primis) che hanno malamente speculato.

    Sta solo cercando di rendere più graduale il processo globale di riduzione della leva finanziaria e meno dure le sue conseguenze per l’economia reale – a tutela di interessi diffusi e prevalenti di attori economici sani, tra i quali ci sono io, ci sono tanti lettori del blog e c’è, presumo, anche lei.

    Cordiali saluti,

    Giuseppe B.

  10. Fabris in ha detto:

    Dott. Bertoncello che pensa delle argomentazioni riportate nell’articolo http://www.marketskeptics.com/2009/03/fed-is-planning-15-fold-increase-in-us.html

    pensa siano solo opinioni frutto di una mente completamente rapita da spinte catastrofiste?

  11. San Siro in ha detto:

    Parlare di default degli Usa senza fare numeri mi sembra qualcosa che sarebbe meglio evitare.
    Tempo fa comprai un libro di Benettazzo, nel quale si diceva che gli Usa avevano un debito del 300% del Pil. In realtà, il debito federale era solo del 70%. Si arrivava al 300% mettendo insieme tutti i debiti possibili e immaginabili (non nel libro, che riportava la cifra senza dire deve l’aveva presa né a cosa si riferiva.)
    Insomma, un’analisi del debito degli Usa è importante, ma è un discorso complesso che richiede competenze ad altissimo livello.
    A me piacerebbe trovare delle analisi al riguardo, purché siano serie.

  12. bue in ha detto:

    Gentile Bertoncello,
    ammiro la fiducia che ripone nella FED.
    Spero tanto che lei abbia ragione.
    Nella sua risposta mi pone una domanda “Ma perchè mai si dovrebbe cercare di rendere il costo di quegli errori il più pesante e iniquo possibile?”. Potrei chiederle la stessa cosa, perchè secondo me la FED è proprio questo che sta facendo.
    Vedremo come andrà a finire, quando l’oste si sarà stancato dell’ennesimo paghero’.
    Cordiali saluti,

  13. Luca in ha detto:

    Caro dott. Bertoncello, seguo sempre con interesse le sue opinioni,ma sinceramente il termine ” bolla negativa” non l’ho proprio capito ne digerito. Le bolle negative non esistono e tutto quello che è avvenuto negli ultimi mesi/anni non è altro che un ritorno ai fondamentali che ormai da decenni sono stati distorti da continui artifizi finanziari.
    Ora a che punto stiamo? semplicemente al punto in cui chi governa il globo con l’emissione di moneta ed ha lucrato recentemente in modo indegno a spese dell’economia reale sta semplicemente cambiando pelle camaleonticamente e con il benestare e la complicità dei governi.
    Miliardi e miliardi riversati per il recupero dei bilanci bancari e l’abolizione del mark to market potranno far salire le borse per un certo periodo a colpi di 10%, ma non migliorano di certo i fondamentali di un’economia globalizzata che ormai è alla frutta per decine di motivi non ultimo il liberismo sfrenato e selvaggio , nonchè la distruzione di un microtessuto economico-sociale non più recuperabile.
    Or bene c’è da immaginare che a breve i soldi arriveranno alle macro-imprese, ma ,quello che non si è capito è la farsa in atto per ristabilire un minimo di fiducia che servirà per il nuovo circuito-vizioso-autodistruggente del debito sfrenato sia privato che d’impresa che dovranno pagare per i prossimi decenni il pozzo senza fondo del debito pubblico.
    Cordiali saluti.

  14. Gentile Luca (13),

    le bolle finanziarie negative esistono, eccome. E mi sorprendo che non riesca a vedere quella che si è sviluppata negli ultimi mesi.

    Le bolle negative sono fatte di sfiducia che genera sfiducia, in un circuito vizioso che alimenta se stesso. La dinamica è la stessa delle bolle speculative, solo che il senso è inverso.

    Se le banche entrano in uno stato di paralisi e non fanno credito, neppure ai meritevoli di credito; se gli investitori smettono di investire in azioni, in bond societari o in qualsiasi altro strumento che non sia liquidità o il più sicuro dei titoli di stato, perchè non hanno fiducia; se tutti cercano solo la massima sicurezza e alle banche centrali e alle autorità si chiede – come implicitamente fa lei – di astenersi da ogni intervento in modo da permettere quello che lei definisce “un ritorno ai fondamentali”,

    ebbene, se tutto questo succede, il sistema economico implode. Non c’è alcun ritorno ai fondamentali, come non ci fu negli anni ’30. C’è una cruenta distruzione di attività economiche, sane e non sane; c’è una tragica eliminazione di posti di lavoro; c’è un dissesto socio-economico che alla fine può portare agli esiti più nefasti.

    Negli anni ’30 questo processo – che lei ciecamente definisce di “ritorno ai fondamentali” – contribuì a produrre la Seconda Guerra Mondiale.

    E’ questa la “purificazione” che lei chiede?

    Condannare il “liberismo sfrenato e selvaggio” mi trova d’accordo. Ma non si può vivere solo di slogan. Bisogna anche saper guardare più in là.

    La Fed di Bernanke non sta lottando per preservare i privilegi, come lei dice, di chi “ha lucrato in modo indegno a spese dell’economia reale.” Sta lottando per preservare in vita un’economia reale che altrimenti, nella sfiducia generalizzata, rischia di affondare.

    Cordiali saluti,

    Giuseppe B.

  15. Vinello in ha detto:

    Dott. Bertoncello (14)
    “Se le banche entrano in uno stato di paralisi e non fanno credito, neppure ai meritevoli di credito; se gli investitori smettono di investire in azioni, in bond societari o in qualsiasi altro strumento che non sia liquidità o il più sicuro dei titoli di stato, perchè non hanno fiducia; se tutti cercano solo la massima sicurezza”

    Concordo ma non appieno, a mio modo di vedere manca un “se”.
    Mi spiego con un esempio.
    Il bootstrap è “l’insieme dei processi che vengono eseguiti da un computer durante la fase di avvio” (da wikipedia).
    Si dovrebbe chiamare così perché (in maniera suggestiva) vorrebbe indicare una persona che si alza in piedi o si solleva semplicemente tirando a sè la linguetta delle scarpe.

    L’economia in uno stato di sfiducia può anche “tirarsi su da sola”, ma se aiutata e “rassicurata” è meglio.
    Suppongo sia vero che le banche non prestino soldi come farebbero in un’altra crisi, in una crisi che non abbia colpito il proprio settore.
    Con la Lehman Brothers sembra siano “venute giù” (nazionalizzate), come un segmento di domino, altre banche persino in Europa. Quindi penso ci si debba difendere dal rischio domino, con il risultato di non avere piena fiducia nelle altre banche.
    Inoltre queste devono prestare denaro in una situazione nella quale alcuni clienti, prima affidabili, scendono nella categoria del credito deteriorato. Solamente il fatto di allungare i tempi concessi a questi e non farli scendere direttamente nella categoria delle sofferenze è uno sforzo e un rischio (forse “dovuto” perché parte del proprio mestiere, ma comunque sia è un impegno in più).

    Bernanke nell’intervista che Lei stesso ci ha mostrato parlava di un prossimo aumento della disoccupazione.
    Non sono del settore, ma mi chiedo: su cosa si basano le banche per prestare i loro soldi? Tra le altre cose sulle “probabilità” che vengano restituiti? Dunque se si rifacessero a dati quali disoccupazione, discesa del Pil e fiducia, starebbero prendendo maggiori rischi nel prestare oggi.
    Ritengo che un investitore possa basarsi su ciò che è avvenuto in passato e dire “ora entro, il rischio è accettabile”. Una banca penso si debba rifare solo a quegli indicatori del tipo che che ho citato prima (a meno che ora non si rifacciano anche ai cds o simili).
    Eppure devono prestar denaro, altrimenti l’economia si blocca e sarebbe per loro un hara kiri.

    In alcuni momenti dell’economia, ritengo che vi siano dei processi che contribuiscano e “sinergicamente” producano un maggiore sviluppo. Ma ritengo, come sostiene anche lei, che vi possa essere un moltiplicatore anche nei momenti di sfiducia.
    Entrerebbe in funzione, tra altri fattori, il “Gioco del Pollo” della teoria dei giochi ( http://it.wikipedia.org/wiki/Gioco_del_pollo ), per la quale ognuno pur cercando la propria massimazione del benessere causerebbe la propria disfatta.

    Torniamo al bootstrap. In una situazione di autogenerazione di sfiducia, si potrebbe pur sperare di rialzarsi tirando le linguette delle proprie scarpe, ma sarebbe ben faticoso.

    Ora posso concludere con il “se” che non ho visto prima. Ovvero “Se lo Stato desse un forte contributo”. Emanare leggi o decreti è qualcosa che non si mette nel bilancio finanziario dello Stato. Quindi sarebbe come cercare di far riprendere l’economia senza metterci soldi.
    Ci si può chiedere però come sfrutterebbero queste leggi le persone con poca coscienza (spero di non vedere abitabili Colosseo, Mole Antonelliana, ponti veneziani, teatri e nuraghi).
    Ci si potrebbe anche chiedere come mai si sia atteso così tanto per sostenere l’economia, con una manciata di miliardi, mentre prima si adoperavano pressapoco i soldi stanziati dallo scampolo di governo precedente.

    Aggiungo il link ad un articolo de “Lavoce.info” che ho letto da poco, pur essendo di dicempre, che non mi ha sorpreso.
    http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000802.html

    Infine pongo una domanda: ho sentito dire che i Tremonti Bond sarebbero utilizzati a leva.
    Suppongo che migliorando la stabilità dei bilanci (il core tier ratio 1) permettano alle banche di chiedere più facilmente prestiti. La Bce presta alle banche in base agli indici di stabilità che esse hanno?

    Cordiali Saluti,
    Vinello

  16. Caro Luca(13), hai scritto cose che non si possono “smontare” facilmente. Dopo mesi di riflessione sono diventato “ottimista” e quindi, adesso più che mai, credo che un mondo stia finendo.
    Eccoti le risposte più convinceti di Giuseppe Bertoncello(14):
    “Non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo” – Tremondi-pensiero.
    “Non chiederemo scusa per il nostro stile di vita e non esiteremo a difenderlo” – Obama nel discorso d’insediamento.
    “Questa è la Cina per me, circa 35000 esecuzioni con pena capitale con espianti degli organi a cuore battente. … bambini o feti appena nati che vengono abbandonati sul ciglio delle strade nella piena indifferenza dei passanti sia essi anziani sia essi bambini. … Questo è il paese al quale stiamo regalando i nostri posti di lavoro, la nostra prosperità e il nostro benessere. …” – il “guru” (o gufo?) Benetazzo.
    “Io non voglio pagare le tasse per gli italiani” – un commentatore olandese, una anno fa, nel blog di Margot Wallström, vice-presidente commissione europea.
    “AGGIORNAMENTO: (Questo articolo ha trovato l’interesse di alcuni dirigenti bancari, i quali si sono adirati al di là di quanto scritto in questo post. Ho aggiornato l’articolo per affrontare alcune questioni e preoccupazioni, che io capisco e credo che non abbiano bisogno di essere discussi in dettaglio.)” – “auto-censura” del blogger-guru (o anche lui gufo?) tedesco Joern Berninger dopo l'”attacco” di dirigenti bancari (di Citigroup?) al suo post “L’inganno Citigroup”.

    Caro Luca(13), la storia è ancora lunga … ma adesso vediamo se e come riusciamo a superare aprile 2009. Se le cose vanno come penso che vadano allora la prossima intervista di Bernanke sarà un discorso alla nazione a reti unificate.

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