Nouriel Roubini e la recessione americana
Nouriel Roubini, l’economista della New York University noto come Dr. Doom (Dottor Rovina) per aver anticipato le disastrose conseguenze della crisi dei mutui subprime che i più avevano sottovalutato, continua a far molto parlare di sé. Tant’è che anche i lettori di questo blog chiedono di sapere cosa io pensi di lui e delle sue tuttora sconfortanti previsioni.
Una discussione, avviata da Paolo, si è accesa ad esempio nei commenti al mio ultimo post, Pessimismo e contrarian investing. E’ tempo, forse, che dica la mia.
A Roubini io sono grato, perché la ricchezza e persuasività delle sue analisi, pubblicate nel blog Global EconoMonitor, contribuirono a convincermi – già nella prima parte del 2007 – che stava montando una grave crisi finanziaria le cui conseguenze sui mercati e sull’economia reale sarebbero state profonde e globali.
Il professore della Stern School of Business allora era noto e rispettato nel mondo accademico, ma sconosciuto o quasi al grande pubblico. L’avverarsi, mese dopo mese, delle sue amare previsioni – a lungo sminuite o respinte dall’establishment economico – ha fatto di lui, negli ultimi tempi, una figura vezzeggiata dai media ed evocata da tutti: una sorta di profeta di questa crisi.
I profeti, almeno in economia, non esistono
Qui, penso, sta il problema. I profeti, almeno in economia, non esistono. Ma l’abito cucitogli addosso è così lusinghiero, così gratificante che temo sarà difficile per Roubini disfarsene al momento opportuno. Prima o poi una ripresa ci sarà. E non sarà un Dr. Doom ad annunciarla. Saprà Roubini rinunciare a nutrire le aspettative del circo mediatico a cui è oggi legato il suo successo per coltivare quell’indipendenza di giudizio che ha reso tanto penetranti le sue originali intuizioni? Non è impossibile. Ma per una figura pubblica fortemente caratterizzata, com’è diventata la sua, non sarà semplice. La grande popolarità non lo aiuta e lo rende, ai miei occhi, una voce un po’ meno affidabile che in passato.
Questo mio parere, nella sua genericità, potrà sembrare un pregiudizio. Cercherò allora di supportarlo con qualche riscontro più concreto.
Dead cat bounce, recessione e attacco agli ottimisti
Prendiamo ad esempio in esame l’ultimo post pubblicato da Roubini sul suo blog, Reflections on the latest dead cat bounce or bear market sucker’s rally. E’ un attacco, condotto senza alcuna esitazione con taglienti colpi di scimitarra, all’idea che il rialzo dei mercati azionari – che ha preso le mosse all’inizio della scorsa settimana – possa costituire la fine del bear market e un segnale che il peggio, anche sotto il profilo economico, si avvia ormai a passare.
L’opinione di Roubini è che la recessione possa durare anche tre anni, ossia per tutto il 2009 e il 2010; che la crisi del sistema bancario sia lungi dall’essere risolta; che la caduta dei mercati azionari sia destinata a proseguire fino a far toccare all’indice S&P 500 livelli di 600 o anche 500 punti – tra il 10% e il 25% sotto i minimi raggiunti all’inizio di marzo. Il rimbalzo in corso, dunque, sarebbe solo l’ennesimo dead cat bounce, come si dice nel gergo di Wall Street, ossia un “sobbalzo del gatto morto”: un effimero e ingannevole bear market rally destinato a lasciare corso a nuovi crolli.
Si tratta di valutazioni espresse forse in modo sin troppo risoluto e poco incline al dubbio, ma di per sé rispettabili. La mia impressione è che questa crisi sia entrata in una zona grigia, che ha più esiti possibili parimenti incerti. Si tratta, lo so, di una formulazione quanto mai vaga. Ma riflette il mio stato d’animo. Che l’attuale rimbalzo dei mercati azionari possa sfumare in un inconsistente bear market rally non mi stupirebbe affatto. Né troverei scioccante una discesa dell’S&P 500 verso i 600 o i 500 punti. D’altra parte, non mi sorprenderei neppure se il recente minimo di 666 punti segnasse il punto d’inversione o ne fosse molto prossimo.
Roubini, tra chi lo conosce bene, è noto per essere uno studioso con una straordinaria capacità di assimilare e interconnettere rapidamente una grande massa di informazioni. Il suo blog e in genere i suoi interventi pubblici testimoniano di questo suo talento: sono molto ben documentati, a vasto raggio, fondati su un’ampia collezione di evidenze fattuali. Però, nell’articolato e quasi monumentale edificio della sua pessimistica interpretazione di questa crisi a me pare di cominciare a intravedere qualche crepa. Una che mi ha lasciato un po’ perplesso, nel suo ultimo post, riguarda la sua lettura della congiuntura economica. Vediamo di che si tratta.
Dati e interpretazioni: la crisi sta peggiorando o no?
Roubini, nell’articolo, si impegna a demolire quattro pilastri impliciti nelle tesi avanzate dal “coro degli ottimisti”. Il primo è la nozione che, sul versante economico, l’accelerazione finora continua della crisi stia finalmente diminuendo d’intensità. Nessuno, ovviamente, si azzarda a dire che la recessione è agli sgoccioli. I dati restano tutti molto negativi. Ma gli “ottimisti” – che in genere ipotizzano la fine della recessione, per lo meno negli Usa, verso l’ultimo trimestre di quest’anno – hanno colto indizi benauguranti nella stabilizzazione dei prezzi delle materie prime e in alcune recenti statistiche economiche, come i sondaggi Ism o le vendite al dettaglio americane, che si sono rivelate meno depresse del previsto.
Per Roubini, però, si tratta di “falsi” segnali, contraddetti da altre, più scoraggianti evidenze provenienti dal settore manifatturiero o dal mercato del lavoro. L’idea che, almeno negli Usa, il rapido deterioramento economico degli ultimi mesi avrebbe iniziato a frenare il passo sarebbe insomma da respingere come una “credenza” non supportata da “dati reali”.
E’ corretta questa lettura di Roubini? Le cose stanno davvero così?
Il responso del Weekly Leading Index dell’ECRI
Per avere qualche riscontro obiettivo sono andato a vedere cosa dice l’Economic Cycle Research Institute (ECRI), uno dei più apprezzati centri di ricerca americani. L’ECRI pubblica una serie di indicatori economici compositi, che incorporano cioè diversi input provenienti dall’economia reale, dai mercati finanziari o dai sondaggi del sentiment al fine di meglio valutare l’andamento della congiuntura. Tra di essi vi è l’US Weekly Leading Index (WLI), che nel corso degli anni si è dimostrato di rara affidabilità nell’anticipare l’evoluzione del ciclo economico americano. Le sue risultanze non sono molto diverse da quelle dell’altrettanto utile Index of Leading Economic Indicators (LEI) pubblicato dal Conference Board, di cui ho spesso parlato nel blog. Una differenza importante, però, è che mentre il LEI viene pubblicato solo mensilmente, il WLI dell’ECRI è aggiornato ogni settimana.
L’ultimo dato del WLI, diffuso venerdì, è stato di 104,8, il punto più basso da 14 anni e in calo rispetto al 105,1 della settimana precedente. L’indice ci dice dunque che la congiuntura nei prossimi mesi resterà negativa. C’è però anche un’altra risultanza interessante. La variazione annua del WLI ha fatto segnare il tasso meno negativo da sei settimane. Per quanto Roubini sostenga che l’attività economica resta in caduta libera e attribuisca un ingiustificato ottimismo a chi vedrebbe inesistenti decelerazioni nel ritmo a cui si va contraendo, il Leading Index ci dice che a essere più fondata, almeno in una prospettiva di breve termine, è l’interpretazione degli “ottimisti” e non quella di Roubini. Il grafico, che riprendo dal sito pubblico dell’ECRI, sarà forse più chiaro delle parole – anche se si riferisce a due settimane fa e non include il dato più recente. Eccolo, comunque:
Il Leading Index è rappresentato dalla linea verde, mentre in blu c’è il Coincident Index, un indicatore coincidente con l’evoluzione della congiuntura. Il tasso di crescita negativo del secondo è ancora in via di peggioramento ma quello del Leading Index, tra i due il più rilevante, sembra avere toccato il punto di massima inflessione tra dicembre e gennaio. Non c’è di che entusiasmarsi, ovviamente. Tuttavia, le risolute critiche di Roubini all’”ottimismo” altrui appaiono esse per prime viziate, almeno sul fronte dell’analisi della congiuntura americana, da un eccessivo e intransigente pessimismo.
L’interpretazione del Leading Index affidata alla Reuters da Lakshman Achuthan, managing director dell’ ECRI, è la seguente: “Mentre il WLI è sceso a un nuovo minimo ciclico, a indicare che una ripresa del ciclo economico non è ancora in vista, il rimbalzo nel tasso di crescita ai livelli meno negativi da sei settimane suggerisce che il tasso di contrazione (dell’economia) si ridurrà nei prossimi mesi.”
Il recupero nel tasso di crescita (negativo) del WLI, come il grafico lascia intuire, non è per ora né granché incisivo né tanto meno risolutivo. Non consente, di per sè, di prendere partito tra gli “ottimisti” che pensano che la recessione finirà nel 2009 o un Roubini che la vede continuare per buona parte del 2010. Gli uni e gli altri, temo, formulano congetture che vanno ben oltre quanto è al momento possibile stimare con un minimo grado di credibilità.
Quel che ho però voluto evidenziare è che, forse per una troppo sentita esigenza di coerenza interna, al professore della New York University qualche significativo dato di realtà capita ora di sottacerlo, se non proprio negarlo, nelle sue sempre ricche analisi. Non so se sia un prezzo che comincia a pagare per confermarsi all’altezza della nomea di Dr. Doom. Ma il rischio c’è.
E’ chiaro che nessuno può sapere come si evolverà la crisi. La teoria del caos fornisce un interessante insegnamento al riguardo: è cioè possibile costruire dei sistemi in apparenza non particolarmente complessi (ad esempio, due o tre palle da biliardo) i quali, pur essendo perfettamente deterministici, sono di fatto imprevedibili data l’estrema dipendenda dalle “condizioni di partenza”. Cioè piccolissime differenze iniziali possono creare enormi differenze in un futuro neanche molto lontano. Dato che i sistemi umani che coinvolgono miliardi di persone sono ancora più complessi di tre palle da biliardo, di cosa stiamo parlando? Il futuro è totalmente imprevedibile (ovviamente stando all’interno di un orizzonte di alternative ragionevoli; per tornare all’esempio del biliardo, dando alle palle degli impulsi normali non si ottiene certo il risultato di farle schizzare fuori dal recinto e proiettarle a una distanza di 100 metri.)
Condivido le aspettative di Roubini. Le quali sono suffragate da dati empirici e di buon senso di tutto rispetto. Il problema per l’S&P 500 è capire quando e a che livello sarà toccato il minimo degli utili societari. Tale minimo è difficile possa esser toccato prima della fine di quest’anno o, come credo, la prima metà del prossimo anno. E quale sarà il livello finale: 20, 15 o 10 dollari?. Un S&P500 a 760 con utili attesi a 15 dollari (prendiamo la media) non è molto credibile, sbaglio? Credo più logico che possa scendere prima a 600 e poi da lì si vedrà. Il livello di 500 o lì vicino non rappresenta poi un’ipotesi così incoerente rispetto alla gravità della tempesta in atto. La crisi in corso potenzialmente è più devastante di quella del ’29. Senza gli interventi pubblici senza precedenti finora assunti, ora probabilmente avremmo già visto un meno 90% negli indici globali. Per superare definitivamente questo shock probabilmente servirà una generazione intera. Perchè quella in corso sta radicalmente cambiando il proprio stile di vita, sotto la spinta di un debito sistemico senza precedenti.
Speriamo che questa crisi passi rapidamente
Scusi Fabris,
ma secondo Smithers il valore dell’S&P500 in base a “Q” dovrebbe essere, se non vado errato, 1.200.
Come fa a scostarsi così tanto dal valore di 760, che corrisponderebbe, se non ho capito male, a un P/E di 15?
Un P/E di 15 non è in linea con la media storica dei mercati?
Se così fosse, un’S&P500 pari a 760 sarebbe il valore corretto e questo significa che attualmente i mercati prezzano correttamente i titoli (si parla ovviamente di di medie.) Se può gentilmente spiegare questo punto, grazie.
La crisi non passerà tanto facilmente, finchè degli aproffittatori/truffatori/incompetenti incassano 150-160 milioni di euro o finche nel mio comune ci sono 500 persone che vivono sopra le loro possibilita/abilità.
Buongiorno a tutti
Il ragionamento esposto si snoda su due argomenti:
1) che possono esservi, non ancora appalesate e rispecchiate nei valori di mercato, consistenti posizioni debitorie poco solide presso alcuni grandi operatori del credito
2) che alla crisi nel sistema del credito possa o meno conseguire una ulteriore crisi nel sistema produttivo più allargato (produzione di beni e servizi)
Sul primo punto, mi pare, nessuno può effettivamente affermare che non vi siano ancora alcuni scheletri nascosti. Non è escluso che vi sia in giro qualche grande banca (o anche magari qualche soggetto produttivo, la cui situazione patrimoniale sia però altamente finanziarizzata, tipo GM) che nelle prossime settimane si riveli insolvente. Quindi, concordo, qualche altro “shock” non può essere escluso.
D’altra parte, però, nonostante il terribile ciclo che abbiamo passato, mi pare che i “fondamentali” dell’economia si siano provati abbastanza solidi: la disponibilità e i prezzi delle materie prime viaggiano su livelli tranquilli, la produttività continua a crescere in termini globali, il mercato del lavoro su scala planetaria non mostra crisi di accessibilità o di offerta (viva la globalizzazione), i mercati finanziari funzionano discretamente, e meglio si avviano a funzionare grazie al giro di vite che si sta dando in termini di regole e vigilanza. Infine, la situazione politica generale non presenta per fortuna gravi elementi di instabilità.
Insomma, non si vedono fattori “strutturali” che possano far temere un trasferimento della crisi al comparto produttivo, se non limitatamente alle pur gravi conseguenze di una drastica stretta creditizia (su cui comunque qualche provvedimento si è preso ed altri si prenderanno).
Perciò, sono propenso a un cauto ottimismo. Magari non scommetterei proprio su chissà che poderoso “rally” nei prossimi mesi, ma se effettivamente lo scenario di crisi dovesse confermarsi limitato al comparto finanziario-creditizio, è legittimo ritenere che il grosso della correzione nei corsi azionari sia stato già operato, e che i valori attuali siano inferiori all’effettiva prospettiva reddituale espressa dal sistema globale.
Qualche acquisto, insomma, io lo farei… 😉
L’ultimo dato in mio possesso parla di utili annualizzati a circa 25 dollari su S&P 500. Fai tu 760 diviso 25. Ma per il prossimo futuro si parla di utili annualizzati a 15 o 10 dollari. Pensate che per truccare i dati pure Bloomberg si è messo a calcolare gli utili societari in modo del tutto arbitrario, non conteggiando gli utili negativi (le perdite delle banche soprattutto). Per avere un’idea più chiara e trasparente del quadro vi consiglio di andare sul sito di Standard&Poor’s.
Aggiungo una riflessione (che ci porta fuori tema, ma è riferità all’attualità del caso AIG), in risposta a d2008 (post n.5)
La presa di posizione di Obama in merito ai bonus dei manager AIG configura un caso davvvero molto interessante, da seguire con attenzione.
1) è ovvio che l’opinione pubblica inorridisce all’idea che siano premiati i manager di un’azienda salvata dal fallimento con un poderoso intervento pubblico: se il governo USA non fosse subentrato AIG sarebbe oggi in tribunale, e certo i manager non avrebbero né i bonus né un posto di lavoro.
2)d’altra parte, l’intervento governativo teso a salvare la continuità aziendale è stato disposto PROPRIO per non entrare nel vortice dell’insolvenza nei confronti di tutti i creditori e gli stakeholders. Non solo i manager, ma anche i dipendenti, i fornitori, i partner, i creditori finanziari, gli obbligazionisti e gli azionisti, beneficiano del fatto che AIG non sia fallita. E attenzione: pensando ad esempio al diritto societario di casa nostra, in caso di fallimento, le posizioni di obbligo nei confronti dei prestatori d’opera (quindi, anche dei manager) non sono certo fra quelle meno tutelate, anzi.
3) Quindi, se è comprensibile l’irritazione “ideologica” nei confronti di un management irresponsabile, bisogna domandarsi in base a quali criteri certi obblighi assunti nei confronti di creditori siano più “etici” e da difendere rispetto ad altri. AIG è arriivata sull’orlo del crac non solo certo per i bonus riconusciuti ai manager, ma anche -chissà- per tanti oneri esagerati assunti nei confronti di creditori e fornitori diversi. Adesso che l’azienda è stata salvata, questi obblighi vanno onorati? O no? E quali si e quali no?
4) Quando un’impresa arriva al fallimento “di fatto”, il concorso di responsabilità sul disastro coinvolge tanti soggetti. Ad essersi avvantaggiati di una gestione superficiale possono essere in tanti, e non è affatto detto che i privilegi riconosciuti ai manager siano quelli che maggiormente hanno fatto preciptare la situazione. Se il fallimento si realizza, vi sono precise procedure e gerarchie nella tutela degli interessi precostituiti. Se invece, come nel caso AIG, si decide un’iniezione di capitale per assicurare la continuità, allra il nuovo azionista assume su di sé TUTTI gli obblighi pregressi, ed è molto difficile entrare nel merito di valutazioni politiche su quali siano più o meno “legittimi” e meritevoli di essere tutelati.
Tanto per rendervi ancora più chiara la magnitudo della crisi: tra il ’29 e il ’32 gli utili societari scesero meno di quanto hanno fatto dal ’06 ad oggi, con un ritracciamento superiore al 70%. Roubini viene a torto definito dr Doom. Pensate che nel 2007 aveva previsto l’arrivo di una forte recessione, della durata di 3 trimestri circa. Poi, nel corso della tempesta, anche lui, il pessimista dei pessimisti, ha dovuto correggere il tiro al ribasso per arrivare ora a parlare di recessione triennale. Io metterei la firma sul fatto che non debba ulteriormente correggere al ribasso il tiro.
Fabris, tu scrivi “La crisi in corso potenzialmente è più devastante di quella del ‘29.” Sei proprio sicuro di questa tua asserzione? Hai visto qualche filmato d’epoca o letto qualche libro che racconta la vita (vera e non filtrata) di quegli anni? Lo sai che c’era gente che apriva la finestra del 10° piano e si buttava giù? E che c’erano migliaia di persone che chiedevano l’elemosina ai lati della strada? E non parlo degli immigrati che abbiamo oggi ma degli americani che non riuscivano a campare. A me oggi non sembra ancora di assistere a simili fatti. Forse il paragone non regge. Per me si esagera, troppo diversa la situazione generale, troppo cambiati i tempi. 80 anni non sono passati invano.
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Alessandro, se nel 2008 l’amministrazione Bush avesse replicato quanto fatto da quella Hoover nel ’30, ovvero lasciar fallire tutto il marcio in un sol colpo, credimi che oggi lo scenario sarebbe non quello della gente che si butta dai grattacieli, ma quello dell’assalto ai supermercati e di guerriglia civile vissuti dall’Argentina pochi anni fa. Quando dico “potenzialmente” intendo che le forze sottostanti la crisi attuale sono forti almeno tanto quanto quelle che hanno prodotto la Grande Depressione, salvo che oggi i governi, ovvero i contribuenti, sono disposti a fare di tutto per arginarne gli effetti più drammatici.
Buongiorno signor Bertoncello!
Sono Andrea Mazzalai di Icebergfinanza e sono stato sollecitato da un mio lettore in riferimento alla sua analisi sulle dichiarazioni di Nouriel Roubini che anch’io come Lei seguo dalla fine del 2006 e oltre che esprime da sempre una visione pari alla mia ha a disposizione come giustamente Lei sottolinea un’autentica corazzata macroeconomica e un radar che ben pochi in Italia si potrebbero permettere.
Non sono molto d’accordo sull’ironia del pessimista che resta intrappolato dalla sua stessa caricatura, magari un pò di più su quella caricatura che identifica gli economisti come quelle persone che solitamente hanno intravisto ben 9 delle ultime 3 recessioni avvenute e magari anche lo stesso Roubini non ha indovinato subito il momento giusto ma come Lei sottolinea non esistono druidi ne nell’economia ne tantomeno nella finanza anche se vi è interesse ad esaltare tale sensazione.
Al di là delle sue considerazioni sugli indicatori dell’ ECRI o del LEI, le considerazioni degli ottimisti che guardano alle vendite al dettaglio piuttosto che agli indici ISM tenderei a sottolineare come questa è una crisi inedita che non ha nulla a che vedere con il passato.
Una crisi che ha ancora in serbo alcune mine vaganti oltre alla disoccupazione che questa volta non è solo quella ufficiale dei dati che in fondo con un’aumento della popolazione non sono ancora paragonabili alle peggiori recessioni del passato ma che in realtà oggi nascondono tutte quelle forme di disoccupazione parziale o precaria che l’ America da anni tende a non evidenziare.
Il LEI per esempio sono due mesi che sale mentre il CEI e il LAG rispettivamente Coincident e Lagging Index continuano a declinare e sono più indicativi mentre l’ECRI giustamente rimarca il fatto che la discesa si sta attenuando sul WLI ciò non significa che sia un indicatore di uscita dalla peggiore crisi economica e finanziaria della storia.
In passato molti hanno evidenziato dei miglioramenti poi rivelatosi vani ma al di la di quello che faranno i mercati sopravvalutati rispetto ai fondamentali utili futuri, oggi senza una stabilizzazione del mercato immobiliare che deve ancora scendere di un 10/15 % e di un sistema finanziario che sta ripercorrendo in tutto e per tutto le orme del decennio perduto continuando a nascondere la realtà, possiamo solo ambire ad un sorta di double dip recession ma nulla di più.
Questa è una crisi strutturale oltre che sistemica e i fondamentali erano costruiti sul fango del debito anche se sono d’accordo con Lei che oggi nella nebbia di questa crisi la migliore strategia è quella di non avventurarsi in nessuna particolare sensazione.
Un caro saluto Andrea
Vorrei ribattere con una certa decisione a quanto affermato in modo a dir poco sconsiderato da Magowitz. Ma i bonus o stock option o come li chiamiamo noi in Italia ”Premi di Valore di Produzione Aggiunta”- dicesi VAP o premi incentivanti di produzione, non dovrebbero essere concessi in caso di risultati di gestione e bilancio dell’ azienda che si amministra piu’ che positivi, oppure alla parola bonus gli si vuol attribuire il significato di stipendio aggiuntivo a prescindere dai risultati?????? Ma siamo pazzi o che? Purtroppo devo dire che se si continua a ragionare per luoghi comuni ed in base a diritti acquisiti a prescindere da tutto, ci meritiamo queste truffe globali….. P.S. : i managers di AIG avevano gia’ stipendi base plurimilionari……Bonus perche’ per chi per cos a…. per una gestione fallimentare??? Attenzione a non lamentarvi troppo…. Ciao.
Il minimo annuale degli utili as reported stando al sito Standard and Poors dovrebbe essere alla fine del terzo trimestre 2009.Mi sembra che veniva fuori P/E di 181 che vorrebbe dire utili in dollari su base annuale dell’indice S&P 500 intorno a 4.
C’è stato un falso segnale del WLI anche tra dicembre 2008 e gennaio 2009 in cui l’indice è salito da 105,8 a 109 mentre adesso è sceso a 104,8.Quindi bisogna stare attenti ai falsi segnali di ripresa.
Congrats per l’articolo, come al solito puntuale e chiaro. Mi sa che roubini chiamo’ con successo anche la internet bubble, non il bull market successivo.
x Fabris: mi posteresti il link da cui prendi 10-15-20 dollari EPS per S&P500?
secondo me sbagli qualcosa nel calcolo 760 e’ un valore indicizzato, non dollari, l’equivalente stima di EPS che vedo io su Bloomberg e’ 65 (che significa che il minimo recente e’ a 10x.
Grazie
Marco, abbastanza facile: dal sito ufficiale di Standard&Poors. Il dato di Bloomberg (anch’io ho un monitor bloomberg sempre aperto) è a dir poco fallace: si basa sugli utili operativi, ed esclude pertanto tutte le svalutazioni che avvengono nei bilanci. L’ultimo utile effettivo riportato dalle aziende dell’S&P500, relativo al trimestre conclusosi il 31/12/2008, è stato addirittura pari a – 23 dollari.
Riflettete bene su questi dati.
Vorrei replicare a Peach, sulla questione dei bonus ai manager AIG. Mi spiace però che questo interessante tema si stia intrecciando con quello dell’articolo su Roubini: forse i post num. 5, 8, 14 e il presente potrebbero essere spostati in un’altra discussione, in modo da separare gli argomenti?
Per rispondere al post 14:
Non ho detto che approvo i bonus ai manager, anzi, mi pare di aver affermato il contrario: è evidente che i premi sono del tutto immeritati. Ho anche osservato, per di più, che se AIG fosse stata lasciata al suo destino “naturale”, sarebbe certamente fallita, e gli stessi manager oggi sarebbero disoccupati (o peggio!), e giustamente. Altro che bonus!
Osservo solo che, sul piano giuridico e sostanziale, la decisione di NON lasciar fallire un’impresa rilevandone il controllo azionario (quello che ha fatto il governo USA) implica per chi acquisisce l’assunzione di tutti gli obblighi pregressi: contratti di fornitura, obbligazioni, crediti di cattiva qualità, assets infruttiferi, compresi quelli che magari altri più avveduti gestori non avrebbero assunto. E anche, inevitabilmente, gli impegni contrattuali già assunti per compensi, ordinari e straordinari, ai manager. Questa è la situazione che gli avvocati hanno fatto ben presente al governo USA. Obama, non a caso, ha invitato il Tesoro a “perseguire ogni via LEGALE per evitare la corresponsione dei bonus”. In realtà, si è molto esposto, e sta rischiando molto, perché di basi legali per sottrarsi a questo obbligo pare che non ce ne siano.
In questa situazione, avendo deciso di preservare la continuità aziendale, il nuovo azionista non è nella condizione di considerarsi “legalmente svincolato” dal rispettare tutti gli impegni assunti, anche se il buon senso suggerisce chiaramente che alcuni di quegli impegni erano dissennati, magari intesi a distribuire un privilegio.
Il caso pone un eccellente quesito: può un’azionista che subentra in un’impresa sull’orlo del fallimento, godere di un qualche margine di discrezionalità nell’assumersi alcuni degli obblighi posti in essere dalla precedente gestione? La legge, questo, non lo consente: se un’impresa fallisce, allora sì che gli obblighi vengono messi in discussione. Ma è una procedura di fallimento che disciplina la gerarchia dei diritti da tutelare, e a governare questa procedura è un tribunale, certo non il nuovo azionista.
E’ evidente a chiunque che il caso AIG è diverso perché l’azionista che ha salvato l’azienda è lo Stato (non un imprenditore privato), e il salvataggio è stato deciso in base a considerazioni di urgenza politica (non certo di tipo imprenditoriale). Quindi, a tutti noi sembra più che giusto che il nuovo padrone (lo Stato), faccia delle valutazioni di tipo “politico” nel decidere come dare continuità all’azienda.
Vale la pena di fare un confronto fra il caso AIG e il caso Alitalia. Proprio per evitare di accollarsi il peso di una serie di obblighi insostenibili, il takeover della “nostra” compagnia aerea è stato architettato passando prima da un’operazione di scorporo degli “asset” sani e appetibili, che poi sono stati acquisiti da CAI. Tutti gli oneri se li è tenuti l’azionista originario (nel nostro caso, lo Stato e i fortunati che avevano comprato azioni).
Qualcosa del genere si sarebbe potuto fare anche per AIG: il governo USA avrebbe forse potuto, volendo, rilevare solo alcune attività ed obblighi, in base alle proprie valutazioni politiche. Gli impegni per i compensi d’oro dei manager si sarebbero potuti lasciare alla “bad company”, e con ogni probabilità essi non sarebbero stati onorati (o comunque, non sarebbero stati assicurati a spese dei contribuenti). Ma allora, perché non lasciare alla Bad Company anche la massa del bad-credit che grava su AIG? Oppure, gli obblighi verso fornitori troppo costosi? Chi è che decide se queste queste controparti contrattuali sono più o meno meritevoli di tutela dei manager?
Come si vede, la questione di quali obblighi siano da onorare è di tipo politico, e non certo giuridico o economico.
Sono molto curioso di vedere, nelle prossime ore, come se la caveranno gli avvocati delle parti. L’esito di questa contesa costituirà senza dubbio un importante precedente giurisprudenziale, i cui effetti potrebbero propagarsi anche fuori dagli USA.
Si noti che giusto un paio d’ore fa, anche in Italia il Parlamento ha dovuto giudicare “inammissibile per competenza” l’emendamento che la Lega Nord aveva proposto, per porre un limite ai compensi degli amministratori di società beneficiarie di interventi pubblici.
Affinchè l’amministrazione Obama possa svinoclarsi dal pagamento dei bonus a favore dei manager AIG, sarebbe necessario introdurre un qualche nuovo principio generale di riferimento, che configuri come caso particolare il salvataggio di un’impresa effettuato da un ente politico, con denaro pubblico, in circostanze di emergenza.
Oppure, più semplicemente, si raggiungerà un accordo extragiudiziale. Vedremo.
Caro Andrea Mazzalai (13),
la ringrazio del suo intervento e le faccio i complimenti per il blog, IcebergFinanza, che mi è capitato di leggere e apprezzare.
Come lei sottolinea, questa crisi è di una complessità senza precedenti – acuita dalla perversa esplosione di strumenti a dir poco opachi come molti derivati creditizi – e continua a presentare troppe incognite per consentire di assegnare una qualche affidabilità alle previsioni di chicchessia.
Ciò non può voler dire, d’altra parte, che è inutile ragionarci su. Roubini lo fa e le sue analisi restano un riferimento prezioso.
Lo scopo del mio articolo non era quello di ironizzare su di lui. Ho però voluto esprimere delle perplessità, che nascono – in primo luogo – da un’osservazione fattuale: gli indicatori anticipatori americani, da qualche settimana, ci dicono che il collasso della congiuntura sta frenando.
Potrebbe benissimo trattarsi di un falso segnale, come osserva Andrea Bianchi (16). Ma l’evidenza, per ora, è quella che è e che ho cercato di descrivere nel mio articolo.
Un bravo analista, penso, dovrebbe partire dai fatti e, quando i fatti smettono di dargli ragione, essere disposto a cambiare opinione – come osservava Keynes. “When the facts change, I change my mind. What do you do, sir?”
Mi pare che Roubini, nel caso specifico a cui ho fatto riferimento, abbia preferito cambiare i fatti. E questo, un po’, mi insospettisce e mi induce a chiedermi se la fama raggiunta non gli sia d’ostacolo.
Un caro saluto,
Giuseppe B.
Con tutto il rispetto per le opinioni finora espresse vorrei fare una considerazione su Roubini che finora nessuno ha proposto ma che certamente in molti avranno pensato: un uomo così brutto non può che essere pessimista.
😀
Se le contromisure adottate saranno efficaci per questa recessione/depressione lo sapremo solo in un futuro non tanto prossimo.
La cosa che temo di più è che il “permanente” salvataggio in atto di TUTTE le aziende del credito, possa accompagnarci per un periodo di ripresa “illusoria” (come lo è stato quello dopo la bolla della new economy), ma poi alla fine qualcuno dovrà pure pagare il conto…
Il debito sistemico, che era (ed é tuttora) delle banche, non fa altro che passare nei conti pubblici dei vari stati.
E’ strano che in una crisi di questa vastità, proprio come in Giappone, non abbiano lasciato fallire nessuna azienda del credito (a parte la sola Lehman e per motivi che ancora non si comprendono bene).
– Alessandro (10) “La crisi in corso potenzialmente è più devastante di quella del ‘29.” Sei proprio sicuro di questa tua asserzione?”
Quello che sto per scrivere è un’opinione del tutto personale, senza analisi a sostegno.
A quel tempo vi era una differenza di ricchezza ancora maggiore rispetto alla attuale (se non ricordo male quello che c’è scritto nel libro di Paul Krugman “La coscienza di un liberal”), anche se col passare degli anni ci si è progressivamente riavvicinati a quei livelli.
In particolare un povero a quei tempi non poteva permettersi un certo tipo di beni. Prima di questa crisi una persona sotto la soglia di povertà sarebbe quella che non può permettersi contemporaneamente televisore e computer.
Fortunatamente non si è raggiunto livelli di disoccupazione e di contrazione del Pil di quegli anni.
Penso infine che sia meglio distinguere tra crisi e crisi, in base a ciò che le ha causate, a ciò che sono risorse e decisioni adatte a superarle.
Ovvero parlo di una relativa non comparabilità.
– MagoWiz sui compensi dei manager.
Se oltre ai compensi, in caso di risultati positivi, si chiedessero proporzionati trattenimenti sulla parte fissa, vi sarebbe una maggiore coscienza.
Comunque ricordiamo che vi son stati manager che “hanno causato questa crisi” e altri che ne son stati travolti.
Serve trovare un nuovo motore di sviluppo. Magari non finto. Verso la fine degli anni ’80 sono proliferati i servizi superflui; poi la bolla internet; la bolla del credito (e la finanza creativa); la globalizzazione (50 milioni al mese di deficit delle partite correnti Usa : insostenibile). Ora si sta creando la bolla dei deficit statali. Anche di chi finora non ne aveva avuto. Non troppo, almeno, non il nostro favoloso 10% annuo dell’era Craxi, come se oggi facessimo una finanziaria da 150 miliardi, vi rendete conto?. Gli Usa quest’anno arrivano al 15%. I deficit possono servire, ma non se si tappano buchi pregressi. Servono se si da lavoro vero a tanta gente, per stare un po’ meglio tutti. Che so, più asili gratuiti, almeno chi lavora può farlo tranquillamente senza spendere un terzo dello stipendio per piazzare i figli mentre lavora. Poi ci sono i consumi cinesi. Ma cosa aspettano a spendere i soldi, invece di metterli in banca? Perchè non si comprano il frigo da 200 litri, la televisione al plasma, una macchina invece di continuare ad andare in bici? Cosa succederà fra due settimane a Londra? Non è che i cinesi stanno pensando di sganciarsi dal dollaro? Se gli Usa sono falliti, meglio non comprare più i loro titoli di stato. Ma poi a chi le vendiamo le cose che produciamo? Certo che sentire Wen Jiabao che chiede a Obama se i titoli di stato che gli rifila è roba buona fa un po’ ridere e un po’ preoccupare. Scena da commedia degli inganni. La Cina non proporrà di sostituire il dollaro come valuta di riserva con un paniere di monete. Forse farebbe meglio a farlo.
A grandi linee la penso come come Fabris e sono un convinto del bear market secolare futuro ben descritto dal Dott. Bertoncello.
Vorrei oltretutto segnalare il grave fatto che rende praticamente inutile qualsiasi analisi basata su dati e bilanci specialemnte se bancari.
Cambiando semplicemente le regole e abolendo il mark to market nonchè ricevendo miliardi di pubblici denari i signori in questione hanno presentato bilanci decenti di fine anno che non gli appartengono nella maniera più assoluta!!
Come si può pensare che un’economia si possa riprendere basandosi sul falso in bilancio?
L’iperindebitamento statale a favore dei soliti noti ha già strangolato l’economia reale e minato il futuro delle aziende sane!!!!
Roubini sì, Roubini no.
Una persona di genio che si chiude nel suo stesso successo. Può essere: è un essere umano anche lui.
Chi giura che tutto è destinato a finire perchè…
Certo, la discussione è affascinante, e non ha una risposta certa.
I meteorologi, fino agli anni ’40, usavano un metodo detto della “persistenza”. Cioè, di fronte ad una situzione, supponiamo, di bel tempo, sapevano che avevano maggior probabilità di fare una previsione giusta se prevedevano ancora bel tempo.
Le previsioni quindi anche allora avevano una discreta attendibilità, ma diventavano inutili proprio quando servivano: cioè quando il tempo cambiava.
In economia mi pare siamo allo stesso livello oggi.
Certo, ci sembra più improbabile che il mondo cambi profondamente, che non che si risollevi per effetto di tutti gli interventi che sono stati fatti, o per sua forza interna.
Che so: io trovo che gli americani abbiano una forza, fisica e morale, che può lenire in fretta una grossa ferita. Osservazione stupida? Ma mi pare che stiano reagendo a tutti i livelli con una energia davvero invidiabile.
Ma la cosa certa è che prima o poi anche questo modello di sviluppo cadrà, e che forse, o probabilmente non avremo strumenti capaci di guidarci in quella fase, come i meteorologi degli anni 40.
Per il momento quello che personalmente mi sembra di vedere è una normalizzazione della situazione macro, che si rifletterà mano a mano anche nei conti delle aziende. Le manovre dei mesi scorsi stanno cominciando a germogliare.
Intanto leggo da qualche parte che Unicredito (vale 0,2 volte i mezzi propri) si ostina a fare qualche utile, nonostante tutto… E non sembrerebbe avere titoli tossici, nonostante la… stampa contraria.
Dov’è l’assurdo? I conti della banca o tutte le illazioni della stampa?
Leggo che la Cina dipenderebbe dall’export per “solo” il 9% del PIL. Questo allora significa che hanno una crescita che per il 90% dipende dallo sviluppo interno.
Cavolo, cosa aspetta il nostro governo ad andare a Pechino con una valigetta piena di progetti industriali?
La caduta della borsa? Come per Unoìcredito, mi pare ci sia una buona dose di psicosi. Siccome sono almeno 30 anni che ci insegnano che i mercati sono razionali, si cerca una spiegazione razionale a tutto quello che vi avviene.
Ma le spiegazioni sono magari troppo semplici e stupide per essere reputate valide. Soprattutto, a volte, poco razionali. Valter
Per Valter. Avrei questi dati : Export cinese 2008 = 1.500 miliardi $, Pil = 3.200 mld$, il doppio a PPP (pari potere di acquisto, visto il valore dello yuan, circa metà del reale). L’unico 9% che trovo è la percentuale dell’export cinese sull’export mondiale. Sbaglio io o sono dati corretti? Se fossero corretti, la percentuale dell’export cinese sarebbe del 45% del Pil. Sarebbe utile capire se sia più corretto raffrontare questo valore dell’export con il Pil ufficiale o quello PPP, cioè effettivo. Anche nel secondo caso, sarebbe comunque oltre il 20%.
Molto interessanti gli interventi di Gianni e di Valter.
Dal mio punto di vista, sintetizzerei il tutto dicendo che, a livello mondiale, manca totalmente un classe dirigente.
Le classi dirigenti non esistono più a livello nazionale, e quindi, di necessità, non esiste alcun potere di regolazione a livello mondiale.
La grande scommessa delle globalizzazione è stata quella di provare a vedere se l’idea di lasciare i mercati completamente liberi di agire avrebbe funzionato oppure no.
E non mi riferisco alle questioni della finanza. Penso all’accesso all’acqua potabile, al prezzo dei prodotti agricoli di prima necessità, alla diffusione degli slums, agli impatti del deterioramento ambientale sulle condizioni di vita. A situazioni cioè che toccano da vicino la maggior parte degli esseri umani.
Su tutti questi punti non si è fatto niente, non si è pensato niente, non si è investito niente. E l’idea è di continuare a non fare niente, nella speranza che da soli i mercati trovino una soluzione.
L’attuale classe dirigente mondiale più di così non è in grado di fare.
Hai detto bene Luca, è facile per Pandit dire che Citi è tornata in nero dopo aver incassato vagonate di miliardi di dollari dai contribuenti in capitale fresco e garanzie sul debito, e dopo aver sostituito il mark to market col mark to model, ossia quando si dice che c’è la verità, poi la mezza verità, e infine la statistica.
Per 21 – CasauBond… che dire, la tua affermazione è talmente grottesca che potrebbe anche essere vera! Allora troviamo un economista di bell’aspetto e facciamogli cantare l’Inno all’Ottimismo e forse allora tornerà anche il bel tempo sui mercati… (o forse l’abbiamo già al Governo un ottimista per natura?)
Altra considerazione: e se Roubini fosse in fondo soltanto un opportunista che cavalca l’onda? Facile essere pessimisti adesso, lo sono tutti o quasi! Come dire, saltiamo sul carro del vincitore, che ci sarà gloria per tutti… Più difficile è essere contrarian, ma il bello sta proprio in questo.
Per Walter post 26.Non sarei cosi’ fiducioso su Unicredit e le banche italiane.Unicredit ha una leva di piu’ di 50 volte.Questo l’ho scoperto sul sito http://www.soprarnosgr.it nel punto sui mercati di febbraio.Sul punto sui mercati sono scritte le varie leve delle banche con addirittura MPS a leva 160 mi sembra.Inoltre c’è scritto che i 10 miliardi dei Tremonti bond serviranno a poco per le banche italiane. A queste servirebbero ben 200 miliardi con la congiuntura attuale.
Ma davvero credete che l’orso della crisi finanziaria più complessa di sempre e della recessione economica più profonda e severa dal ’29 ad oggi sia ormai alle spalle?
Per Fabris (32)
rinagrazio tutti per il dibattito e il dr Bertoncello che ospita le mie indegne righe.
caro Fabris, no, io non credo che l’orso sia vinto, ma non penso sia questa la cosa più importante.
Il cambiamento che io vedo in queste settimane sta nel fatto che, mano a mano che le istituzioni finanziarie riportano dati (a meno di non voler credere che questi dati siano ostinatamente falsi, cosa che mi sembra improbabile, ma che non posso escludere a priori), sembra (dico: sembra) che i problemi restino confinati agli intermediari già discussi e che già avevano avuto “sorprese” in bilancio.
Non credo affatto che la parte dura della crisi sia finita, ma solo che (e non è poco) la crisi fiananziaria non abbia nuove frecce al suo arco in quantità tali da distruggere il mondo. Sia cioè un qualche modo capita meglio nelle sue pur immense dimensioni. E non mi par poco.
per Andrea (31): caro Andrea, la banca ha una leva 50? Vuol dire che fa girare il patrimonio 50 volte (mi pare tanto, sui tremontibonds si dice la leva sarà di 10/15, e non penso che Montepaschi sia in sé a 160…), non che perderà. Dipende da cosa ha fatto con i soldi. Sono 30 anni che lavoro in banca, non conosco tutto, ma un po’ della mentalità delle banche l’ho respirata.
Insomma, non so se sia primavera, ma qualche rondine in giro c’è.
Tipo il petrolio che si è stabilizzato e la perdita di alcune correlazioni che hanno dominato i mercati nel 2008.
PS: il pil cinese dipendente dalla crescita interna per il 90% è un dato che ho appreso da terzi e che non ho verificato. Mi fa piacere discuterlo con tutti voi.
Ma, ragionando un attimo, non si giustificherebbe una crescita dell’8% del PIL se la dipendenza dall’export fosse su cifre di molto superiori al 10%. E chi recentemente è stato in Cina mi ha parlato, anche in questi ultimi mesi, di cose “turche”. Autostrade e città che sorgono dal nulla, insomma tutt’ora un cantiere febbrile.
Ho il sospetto che alcune statistiche sull’economia cinese siano costruite per motivi politici. Non so le statistiche sulle leve delle banche. Voi che ne dite?
A me sembra che le cose realmente nuove siano due : il deficit degli Usa (la nuova bolla?) e l’incremento che le autorità cinesi vogliono dare ai consumi interni. La prima è utile se non viene sprecata per tenere in vita attività fallite; la seconda se i cinesi cominciano a spendere. Per il momento in febbraio hanno esportato 35 miliardi in meno che devono cercare di riversare sul mercato interno. Su base annua 35Mld al mese fanno 400Mld, quantità paragonabile con la crescita del Pil cinese del 2008.
Gentile Dott. Bertoncello
Ho trovato su amazon il commento ad un libro intitolato “The Great Inflation and Its Aftermath: The Past and Future of American Affluence” di Robert J. Samuelson
http://www.amazon.com/review/R2D9YFI5FFX7KD/ref=cm_cr_pr_viewpnt#R2D9YFI5FFX7KD
In sostanza Samuelson sosterrebbe che i salvataggi e gli aiuti all’economia rischierebbero di portare ad una situazione simile alla grande inflazione, in contrasto con le opinioni di Krugman nel suo recente “The Return of Depression Economics and the Crisis of 2008”
http://www.amazon.com/review/R19ERXP9DBSTL6/ref=cm_cr_pr_viewpnt#R19ERXP9DBSTL6
Ha una sua opinione in merito?
Cordiali saluti,
Vinello
. o O (se risolviamo tutti i quesiti espressi in questa discussione, propongo per la prossima il tema: “Dio esiste?”)
🙂
“Indegne righe”? (33)
Gentile Valter, non è certo indegno quel che lei scrive nè quanto contribuiscono i molti altri lettori che da un po’ di tempo stanno dando vita a scambi di opinioni sempre più ricchi e interessanti.
Per me, sinceramente, è un vero piacere ospitarvi. E quanto scrivete mi è, spesso, motivo d’ispirazione.
Il fatto che da un po’ di tempo si siano avviate dinamiche autonome di discussione, diciamo così, multilaterale – che cioè non si limitano alla sola interlocuzione con me – costituisce uno sviluppo davvero positivo, un segno di maturazione del blog come luogo di comune arricchimento, che mi gratifica molto.
Continuate, continuiamo così.
Cordiali saluti,
Giuseppe B.
Gentile Vinello (35),
Samuelson o Krugman? Rischiamo una grande inflazione o una grande depressione con deflazione? Le propongo di partire (solo per qualche sommaria considerazione) da un’interessante intervista che Ben Bernanke ha concesso al network CBS qualche giorno fa:
http://www.cbsnews.com/stories/2009/03/12/60minutes/main4862191.shtml
Ecco un primo passaggio rilevante:
In the crisis, Bernanke had freedom to act immediately – he doesn’t need permission from Congress or the president. While they debated on Capitol Hill, Bernanke cut interest rates nearly to zero; then he used Depression-era emergency powers to launch a dozen rescue programs of his own. There was support for money market funds, mortgages, short term lending to small business, and support for auto loans, student loans and small business loans – commitments of a trillion dollars, doubling the size of the Fed’s balance sheet.
Asked if it’s tax money the Fed is spending, Bernanke said, “It’s not tax money. The banks have accounts with the Fed, much the same way that you have an account in a commercial bank. So, to lend to a bank, we simply use the computer to mark up the size of the account that they have with the Fed. It’s much more akin to printing money than it is to borrowing.”
“You’ve been printing money?” Pelley asked.
“Well, effectively,” Bernanke said. “And we need to do that, because our economy is very weak and inflation is very low. When the economy begins to recover, that will be the time that we need to unwind those programs, raise interest rates, reduce the money supply, and make sure that we have a recovery that does not involve inflation.”
Il crollo della domanda e la paralisi del sistema creditizio hanno costretto la Fed a intervenire in modo massiccio, creando moneta. E’ stato e resta semplicemente necessario. Senza un simile intervento, saremmo oggi nella stessa condizione del 1930-31 e una Grande Depressione sarebbe già tra di noi.
Il rischio che la crisi imboccasse questa strada, dice Bernanke in un altro passaggio dell’intervista, c’è stato – a ottobre. Il Congresso avrebbe potuto rifiutarsi di conferire alla Fed quei poteri speciali (che non aveva al tempo del fallimento di Lehman Brothers) che le hanno poi consentito di intervenire per impedire altre sciagure (AIG, Citigroup, etc…).
Superato quell’immane scoglio (che riguardava la volontà politica), la crisi ha preso un corso diverso. Resta di difficile soluzione, ma – sostiene Bernanke – i pericoli di depressione sono ormai passati.
In futuro, arriverà il momento in cui bisognerà guardarsi anche dall’inflazione e la Fed dovrà badare a ridurre l’offerta di moneta a mano a mano che il sistema finanziario ritorna ad assolvere la sua funzione e la domanda privata, nell’economia, riprende naturale vigore.
Insomma, la risposta di Bernanke alla sua domanda, Vinello, è che le autorità politiche e monetarie hanno affrontato in questi mesi un enorme rischio di depressione, che stanno un po’ alla volta addomesticando e riducendo e che in un futuro, prima o poi, si ritroveranno a che fare con un rischio prevalente di inflazione, che dovranno dimostrarsi altrettanto capaci di contenere.
Questa lettura della crisi – che è più vicina a quella di Krugman che non a quella di Samuelson e che, per quel che può valere, è anche la mia – nasce dalle lezioni della storia, e in particolare dalle lezioni impartite dalla Grande Depressione.
Bernanke è uno dei massimi studiosi della Grande Depressione. E questo è quanto afferma nell’intervista:
He’s among many economists who now believe it was the Federal Reserve itself that helped turn a recession in 1929 into a global calamity.
“They made two mistakes, basically. One was they let the money supply contract very sharply. Prices fell. Deflation. So monetary policy was, in fact, very contractionary. Very tight during that period. And then the second mistake they made was they let the banks fail. They didn’t make any strong effort to prevent the failure of thousands of banks. And that failure had terrible effects on credit and on the ability of the economy to right itself,” Bernanke explained.
La Fed, dopo lo scoppio della bolla del ’29, fece per Bernanke due errori fatali: lasciò che la politica monetaria diventasse di fatto molto restrittiva (cosa che sarebbe vera anche oggi, se la Fed di Bernanke non facesse uso dei suoi poteri speciali e non ricorresse al quantitative easing) e, secondo errore, lasciò che le banche fallissero a migliaia, portando il sistema creditizio ad accartocciarsi su se stesso.
Una parziale inversione di questo sciagurato corso d’azione, aggiungo io, maturò solo a partire dalla fine del 1931 e contribuì infine alla ripresa dei mercati prima (dall’estate del 1932) e dell’economia poi (dal 1933). Ma un danno enorme, a quel punto, era stato fatto.
Bernanke sa di dover evitare quei due errori. Poteva non essere messo in grado di farlo se la politica non avesse risposto. E, a ottobre, il rischio è stato enorme. Ora ci sono gli strumenti per far sì che quei due errori non si ripetano.
Si stanno facendo e si faranno errori di altro genere? E’ probabile. In futuro, ci sarà chi studierà le lezioni da apprendere dalla crisi del 2008-2009. Ma per il momento, l’approccio di Bernanke (e, sostanzialmente, di Krugman) mi sembra il più fondato e ragionevole.
Il sistema creditizio deve essere preservato in vita, perchè è vitale per l’economia. La domanda deve essere sostenuta dai bilanci pubblici, perchè il settore privato è indisponibile a farlo.
Entrambe le azioni possono essere finanziate creando moneta, come la Fed sta facendo. Si può così guadagnare tempo e stabilizzare la situazione fino a chè un po’ di fiducia ritorna nel settore privato e i problemi strutturali, che esigono tempo, vengono gradualmente risolti (regolamentazione dei mercati, asset tossici, ricapitalizzazione delle banche sane e graduale winding down di quelle irrimediabilmente malate, etc. etc…)
Cordiali saluti,
Giuseppe B.
Egr. Dott. Bertoncello,
la politica della Fed durante le depressione del ’29 e che lei ci ha descritto nel # 38 è stata la politica monetaria praticata DURANTE la depressione, sarebbe altrettanto interessante conoscere qual’era stata la politica della Fed PRIMA della bolla del ’29; come forse conoscerà anche lei, ci sono opinioni (come per esempio quelle degli economisti di scuola austriaca) che sostengono che le cause della depressione del ’29 sono le stesse di quelle relative alla crisi attuale: l’espansione creditizia della Fed dovuta a bassi tassi di interessi; e che hanno creato le varie bolle nel corso di questi ultimi anni (da quella della new economy a quella immobiliare).
Se fosse d’accordo, non trova che qualcosa andrebbe rivisto nelle politiche della Fed, sia nei momenti più felici ma anche nei momenti di crisi?
Gentile Sueggiù (38),
la sua osservazione è pertinente. Ma, per quel che ne so, è difficile attribuire troppe responsabilità alla Fed per il formarsi della bolla del ’29.
Mi riferisco, in particolare, ai dati che cita Russell Napier in Anatomy of the Bear.
Gli anni ’20, in America, furono un periodo di tendenziale deflazione. Se si escludono le materie prime agricole, i prezzi erano in genere più bassi nel ’29 che all’inizio del decennio.
La crescita del credito fu quasi perfettamente allineata a quella del PIL nominale. Non ci fu, dunque, bolla creditizia.
Il problema fu la mania per la Borsa, che sbocciò attorno al 1925 e che poco dopo cominciò a preoccupare anche la Fed.
Dal ’27 la Fed cercò di esercitare la sua “moral suasion” nei confronti di quelle banche che si dimostravano troppo attive nel credito ai broker, finalizzato all’acquisto di azioni. Se infatti la crescita del credito, nel complesso, era normale, a non essere affatto normale era la crescente canalizzazione degli impieghi bancari verso le attività di Borsa.
La “moral suasion” della Fed ebbe in qualche modo successo, perchè le cifre dimostrano che l’ammontare di credito verso i broker, originato dalle banche americane sotto il diretto controllo della Fed – si stabilizzò e poi cominciò a flettere tra la fine del ’27 e il ’29.
Purtroppo, a quel punto, le dinamiche della bolla avevano già attecchito. Il credito cominciò a essere originato al di fuori del settore bancario. In particolare, nell’ultimo biennio, a diventare travolgenti furono gli afflussi di capitali dall’estero finalizzati alla speculazione a Wall Street.
La Fed reagì con l’unica arma che le restava a disposizione: dal febbraio ’28 all’agosto ’29 alzò il tasso di sconto dal 3,5% al 6,0%.
L’azione restrittiva della Fed, nell’estate del ’29, cominciò a esercitare i suoi effetti sull’economia. E ciò, nel giro di pochi mesi, portò allo scoppio della bolla.
Col senno di poi si può certo dire che la Fed avrebbe potuto fare di più e meglio. Ma sarebbe un giudizio assai severo.
Meno severo, e più obiettivo, è invece affermare che le più gravi responsabilità la Fed se le assunse con la sua inazione dopo il ’29.
Prima del ’29, dopo tutto, la Fed – che pur era una banca centrale alle prime armi – si era dimostrata propensa a un certo attivismo nella sua condotta di politica monetaria.
Perchè dunque la quasi totale paralisi, dopo il ’29 e fino alla fine del ’31?
La risposta di Napier, che mi pare degna di considerazione, è che nel ’28 la Fed aveva perso una personalità decisiva, quella del Governatore della Fed di New York Benjamin Strong.
Quando la bolla scoppiò, nell’autunno del ’29, la Fed di New York intervenne tempestivamente, acquistando titoli di stato al fine di iniettare liquidità nel sistema e impedire una traumatica contrazione monetaria. Ma fu bloccata dalle altre Fed regionali, convinte che una tale manovra sarebbe solo servita a riaccendere la speculazione.
La Fed di New York, priva di Strong, non fu in grado di far prevalere il suo punto di vista. Da lì in poi, per due drammatici anni, l’opinione prevalente al vertice della banca centrale americana rimase quella che gli eccessi andavano purgati. E purga fu!
Cordiali saluti,
Giuseppe B.
Egr. Dott. Bertoncello,
nel ringraziarLa per la risposta, volevo solo aggiungere quello che non emergeva nel mio commento ma che trova una conferma nella Sua illustrazione #40 ed era l’idea che i cicli economici fossero determinati dall’interazione di miliardi di individui piuttosto che dalle decisioni di un organismo centrale.
Mi sembra invece di capire che i cicli economici (le espansioni e le recessioni), siano “causati” da decisioni di uomini che detengono le leve della politica monetaria (dalla Sua descrizione pare che la stessa cosa accadeva 80 anni fà).
Non so se la troverò d’accordo ma la stessa Fed ha forti responsabilità, assieme al sistema creditizio, nell’avere creato le premesse per questa bolla (o perlomeno più che negli anni ’20…).
Se allora non c’era motivo per essere troppo severi vista la giovane età della Fed, quali potrebbero essere le scusanti per la Fed di oggi?
Possiamo quindi fidarci dello stesso organismo e sopratutto delle sue politche per uscire dalla crisi?
Cordialmente
Complimenti a tutti per questo thread. Lo ritengo straordinariamente interessante. Senza la presunzione di aggiungere nulla di significativo ad analisi e punti di vista accurati e oompetenti, vorrei esprimere il mio; diversi sono gli aspetti trattati fino a questo punto.
ROUBINI
Al momento, in attesa di essere smentito, io lo penso come il “Cohen” della recessione. Le sue analisi e previsioni hanno avuto molta più eco di altre e questo l’ha assurto, come si dice, agli onori della cronaca; si è creato un personaggio nel quale mi sembra si sia o si voglia intrappolare. Lo chiamano e lo intervistano per sentirsi dire che le cose non possono che andar peggio; come, con molta pertinenza, dice Valter citando le strategie di previsione del tempo degli anni ’40 e la legge della persistenza, ormai è molto più facile mantenere ad oltranza la view ribassista che anticipare un’inversione; solo se dovesse anticipare anche l’inversione del trend, dal mio punto di vista, sarà il caso di considerarlo non solo fortunato. Chiaramente sensazionalista la previsione “recessiva per tutto il 2009 e il 2010”; non è detto non andrà così ma nessuno dotato di senno può veramente credere di sapere cosa succederà nel 2010. Nel caso… soldi a leva e Maldive ! 🙂 Negare che in questi ultimi mesi le cose stiano andando perlomeno meno peggio di prima, è negare la realtà; che poi la situazione possa nuovamente avvitarsi su se stessa è un altro discorso.
BANCHE FALLITE
Leggo spesso che le “banche sono tecnicamente fallite”, che “senza l’intervento dello stato sarebbero anche realmente fallite”. E’ vero, ma questo penso possa essere portato a sola testimonianza di ciò che è successo e di quanto sia (stata) grave la situazione; non penso sia corretto dire “dato questo allora il futuro…”. Questo discorso mi fa venire in mente il tifoso di una squadra di calcio che dopo il primo tempo vince solo 1-0 dopo aver stradominato la partita, dire all’altro “Se il vostro portiere (leggasi stati) non avesse fatto i miracoli staremmo sul 4-0”. Vero, ma il portiere gioca nella squadra avversaria… a differenza di altre crisi il coordinamento globale degli stati è risultato il “portierone” di qusta recessione; in altri casi questo straordinario ultimo difensore non c’era stato. Basterà nel secondo tempo quando chi ha attaccato inizierà ad essere stanco e scoraggiato per il tanto lavoro e lo scarso risultato ? Speriamo, ma nessuno può avere la certezza di sapere il risultato finale.
TARGET DI DISCESA
Ho letto diverse previsioni di target di discesa. Non penso che esista un qualsiasi ragionamento, un qualsiasi algoritmo che permetta di identificare il target di discesa di un qualsiasi indice. Quando questa crisi sarà alle spalle ci sarà senza dubbio qualcuno che ci avrà preso; se avrà saputo farsi la dovuta pubblicità sarà il nuovo Roubini… fino alla successiva inversione di trend.
PARAGONI
Leggo chi dice che sarà peggio degli anni 30, chi dice di guardare al Giappone e che tutte le misure messe in atto non è detto che avranno effetto perchè è tutto nuovo e inesplorato. Sono concetti contradditori.
USA e CINA
Quanto dice Gianni lo condivido. L’aggravio del deficit USA e le ripercussioni sul dollaro non sembrano di difficile previsione, così come una spirale inflattiva; ma Bernanke e Obama ne sono ovviamente coscienti (e ci mancherebbe) quindi immagino faranno tutto quanto gli sarà concesso fare. Molto dipenderà, purtroppo per loro, dal timing; non saranno tanto le mosse in se stesse quanto il momento in cui verranno messe in atto. I consumi interni cinesi sono l’altra grande novità per il futuro; la Cina potrebbe diventare IMPORTATORE per consumo e non solo per produzione. Non posso escludere che questa strategia, oltre ad avere evidenti risvolti di pace sociale, non dipenda anche dal fatto che prima o poi lo yuan dovrà apprezzarsi.
Ciao.
In giro stanno fiorendo ottimisti a go go. Il peggio sembra esser passato, l’arcobaleno ha preso il posto della tempesta. Bernanke ad un talk show, Pandit di colpo tramutato da dead man walking in profeta della rinascita di Citi, la Cina sulla strada del consumismo interno sfrenato. E’ di nuovo in scena il pendolo della natura umana: dal pessimismo più nero all’ottimismo della rivincita. E’ proprio questo passaggio repentino da un polo all’altro che mi dice che il rally in atto è tanto bello quanto inserito in un bear con i veri attributi. Non mi confondete con un pessimista. Il recupero ci sarà, ma non ora. E’ presto, troppo presto. E sarà lento, sofferto, pieno di ostacoli. Questa crisi è complessa, profonda, globale, sincronizzata. E’ una crisi da eccesso di debito a buon mercato. La peggiore possibile, in altre parole. Perchè la più lenta da smaltire, da assorbire. Perchè passa attraverso un cambio di stile di vita collettivo. Questa sera un mio amico, nel commercio al dettaglio da oltre 30 anni, mi ha detto di non aver mai visto una contrazione simile nella domanda. Il suo negozio, in pieno centro peraltro, probabilmente chiuderà i battenti fra qualche mese. Ieri l’altro, di prima mattina, alla stazione Termini, la fila dei taxi, tre per riga, era lunga oltre 400 metri. E siamo in Italia. Il paese meno indebitato a livello privato. Pensate in America cosa sta accadendo. Li si è davvero spenta la luce. E nel microcosmo di ogni famiglia non si chiude occhio la notte, vuoi perchè si sta perdendo il lavoro, vuoi perchè non si ha più un montante per andare in pensione, vuoi perchè la propria casa sta andando all’asta o i risparmi di una vita sono ormai carta straccia. E’ una guerra, una calamità umana di proporzioni vastissime. C’è bisogno di tempo per riparare queste ferite. Tanto tempo. Vi do ragione sul fatto che lo slowdown in atto sta rallentando. Ma un tasso di variazione negativo, per quanto in contrazione, è sempre un tasso negativo. E ci fa capire che il fondo non è stato ancora toccato davvero. Bisogna raschiare quel fondo, purtroppo, prima di vedere il vero rally.
Per 43 Fabris – Certo che tu, caro mio, ti candidi seriamente per fare concorrenza a Mr. Doom!! E che diamine! Siamo d’accordo che la crisi è brutta e credimi, ne so qualcosa io che ci ho rimesso metà del capitale faticosamente sudato in anni di lavoro, ma tra tante incognite mi sento oggi di dire questo: sono certo che gli Stati Uniti, per loro natura e forse per altri motivi difficili da spiegare, usciranno a testa alta da questo vespaio e guideranno ancora la ripresa mondiale. Non so quando (se lo sapassi sarei un amico di Roubini, e Dio me ne guardi) ma prima o poi succederà. Vi autorizzo a darmi del cretino se non sarà così
A chi dice : si riparte nel 2009 (ora non lo dice più nessuno) o nel 2010 io chiedo : bene, ma da cosa si riparte? Nel 2000 indicavo, in uno scambio di lettere con Scalfari (allora non c’erano tanti blog di finanza) due cose : il bilancio federale degli Usa, allora in attivo, e i consumi interni cinesi. Il primo è stato saccheggiato da Bush, i secondi sono ancora fermi. Si ripartì da qualcosa, certo : la bolla del credito e la sua controparte, la globalizzazione, cioè far produrre ai cinesi a prezzi bassi, dando in cambio almeno in parte il prodotto della finanza creativa. Poi ho cominciato a guardare la crescita del deficit delle partite correnti Usa e l’evolversi del volume dei prodotti OTC, li ho visti crescere dal doppio del Pil mondiale a 12 volte. Perciò non mi sono stupito quando il castello di carte è franato, mi stupivo prima nel vederlo in piedi contro ogni logica. Non penso che dire “siamo sempre ripartiti” serva a qualcosa, è vero che lo abbiamo sempre fatto, ma sempre per qualche motivo. Secondo me una discussione utile può venire impostata sulla base di “stavolta ripartiamo da”. Si legge anche su blog finanziari tra i più seguiti che si deve ripartire dall’agricoltura, Prodi ha fiducia nel rafforzamento dell’industria. Ecco, mi sento di dire che sono due affermazioni errate.
A Fabris, (43):
la cosa bella di questa tornata del blog, è che tutte le argomentazioni hanno buone caratteristiche logiche: tutte sono rispettabili e sicuramente valide.
Mi piace il paragone del “portiere” (42), Marco, e anche il suo intervento, caro Fabris.
Ora, è vero che negli USA una luce si è spenta (E CHE LAMPADINA!), ed è vero che si dovrà rivedere il sistema economico un po’ dappertutto. Mi auguro che i politici (e chi li elegge) siano all’altezza di questo compito. Ma non possiamo a priori essere negativi su questo, non le pare?
C’è una cosa che mi preme di sottolineare. Io non credo che l’utlie dichiarato ieri da Unicredito sia tutto oro, anche se resto convinto che anche le altre banche italiane stupiranno in positivo.
Il fatto però che un anno fa si dicesse: “Il 2007 è andato bene, ma nel 2008 avranno svalutazioni (subprime & c.) tali da farli saltare”, e ciò non sia accaduto, e il fatto che si dica oggi: “Sì, ma hanno bisogno dell’intervento pubblico, e ci sarà da spesare l’Est Europa e maggiori sofferneze”, a me fa pensare che si cerchino strumentalmente argomenti per giustificare un prezzo che è sceso molto al di sotto del patrimonio netto.
In realtà perchè questo sia accaduto potrebbe benissimo dipendere da altre cause, come dire… “interne” al mercato (io penso soprattutto al deleveraging e al panico).
La stessa cosa si può applicare alla Generali che quota neppure i 2/3 del suo patrimonio immobiliare.
Sto quindi maturando l’impressione che la crisi, per il suo aspetto finanziario, sia a questo punto circoscritta. Grosso modo, i nomi che hanno problemi gravi e gravissimi da un anno sono più o meno sempre gli stessi.
I mercati però hanno fatto (quasi) di ogni erba un fascio, e pertanto i valori sui “fondamentali”, cari al dr Bertoncello salteranno fuori.
Per me questo non è poco.
Già il fatto di vedere il mondo “in piedi” in un certo senso mi stupisce: sei mesi fa pareva tutto stesse miseramente crollando, ma di gente serena in giro io ne vedo ancora tanta.
Certo ci sono le file dei taxi, le acciaierie chiuse, cassaintegrati a migliaia, anche nella mia zona che è sempre stata un’isola felice ci sono fabbriche che chiudono, e poi la “luce spenta” negli USA. Ma mi è capitato anche di parlare con americani, persone normali, e li ho sentiti sì preoccupati, ma anche piuttosto combattivi e convinti che il loro governo stia facendo le cose giuste. Tutt’altro che demoralizzati insomma. E’ a questo che mi riferivo quando dicevo che gli americani sbaglieranno sempre tutto, ma hanno una energia giovanilistica che permertte a loro di cambiare in corsa.
Credo che il “portiere” stia parando più di un gol (per fortuna!)
Grazie al dr Bertoncello di ospitarci!
Per Valter 46 – Proprio a questo mi riferivo nel mio intervento (44) parlando dell’America, cioè a questa tua affermazione “Ma mi è capitato anche di parlare con americani, persone normali, e li ho sentiti sì preoccupati, ma anche piuttosto combattivi e convinti che il loro governo stia facendo le cose giuste. Tutt’altro che demoralizzati insomma… hanno una energia giovanilistica che permette loro di cambiare in corsa”. Io penso che quelli come Roubini & C. che straparlano di disgrazie, forse dimenticano che in economia (come in ogni altro aspetto della vita) alla fine la differenza la fa quel “quid” che non si può descrivere nè con i grafici nè tantomeno con le teorie, per quanto “autorevoli” esse siano.
Dott. Bertoncello,
vorrei suggerire di sviluppare un tema ripetutamente toccato in questa ed altre discussioni del suo blog:
Quale peso può avere, nella scelta di investimento, l’analisi dei dati sulla struttura dell’azionariato di ogni dato titolo.
Nell’ottica del piccolo investitore, infatti, non solo valgono le considerazioni da Lei ben trattate sul “value investing” e sui metodi di analisi (Graham&Dodd, P/E value etc), ma anche le cautele che derivano da come le aziende modificano le loro strategie in rapporto alle aspettative e al grado di controllo espresso dalla proprietà.
E’ evidente che tutti vorrebbero investire in aziende che, a parità di altri fattori e prospettive, siano gestione con l’obiettivo di restituire stabilmente valore all’azionariato, inteso nel senso più generale.
Ma gli obiettivi del management possono camratterizzarsi in altre direzioni quando nell’azionariato vi sia un qualche gruppo di controllo capace di esprimere un indirizzo diverso, quale che sia: perseguire una logica di integrazione e sinergia con altri business, o rapida distribuzione di utili, o vattelappesca cosa. Si pensi, tanto per fare degli esempi concreti, a quanto può essere influenzata la gestione di un impresa il cui pacchetto di controllo sia detenuto da un fondo sovrano straniero, oppure da un pool di azionisti individuali appartenenti a una stessa famiglia, o a un’altra azienda che magari ha degli interessi in business potenzialmente sinergici.
Mi domando se, fra i tanti modelli che sono stati considerati per la selezione dei titoli di investimento, ve ne siano alcuni (e quali= che prendono in considerazione le informazioni sulla struttura quantitativa e qualitativa dell’azionariato: qual è la concentrazione dell’azionariato rilevante, se l’azionariato di controllo sia composto da individui o investitori istituzionali ecc.
Anche in questo caso, la invito casomai a considerare questo mio post come spunto per aprire una nuova discussione (glie lo avrei mandato in forma di e-mail, se avessi saputo dove scriverle)
Saluti,
MW
Ancora buongiorno a tutti.
Voglio aggiungere una postilla alla mia precedente nota, anche se già “pesante” di suo(beato chi ha il dono della sintesi).
Io non mi illudo che questa sia una vera ripartenza dei mercati. Assolutamente.
Credo che tecnicamente siano ricoperture di scoperti.
Nell’ultimo periodo mi sembra che siano stati creati molti strumenti per andare “corti” in borsa, in barba anche ad alcuni regolamenti che lo vietano, mediante etf e certificati (esempio i “turboshort” eurostxx 50).
Mettere a disposizione del largo pubblico strumenti di questo tipo è forse una delle innovazioni finanziarie più interessanti dai tempi di Annibale.
L’ultima gamba ribassista (2009) mi sembra infatti più speculativa/panico che altro.
Non sono mai un “complottista”, ma ho l’impressione che sfruttando il panico sia stato relativamente facile raccogliere ingenti capitali al ribasso.
E quando scattano le ricoperture scatta all’insù il mercato.
Che ne dite?
Sono davvero soddisfatto di questo blog. Gli interventi si dimostrano per la maggior parte interessanti e ricchi di spunti. Perdonate il mio “apparente” pessimismo. Dico apparente perchè in realtà io sono una persona che propende sempre al bicchiere mezzo pieno. Le considerazioni che faccio sono però “viziate” dal mio punto di osservazione sulla crisi. Diciamo che la sto vivendo stando seduto nell’occhio del ciclone e quindi le forze in atto mi appaiono in tutta la loro forza straordinaria. Lo vedo quando mi capita di parlare con mio padre o mio fratello, entrambi dipendenti pubblici, impiegati in settori peraltro avulsi da problematiche di carattere economico. Per loro la parola recessione significa poco più che la gente spende di meno, magari senza neppure una motivazione oggettiva. Dalla mia di prospettiva, invece, la realtà appare molto diversa.
Ottima progressione di questo post, complimenti a tutti
45 – Gianni, riporto il tuo finale
“Secondo me una discussione utile può venire impostata sulla base di “stavolta ripartiamo da”. Si legge anche su blog finanziari tra i più seguiti che si deve ripartire dall’agricoltura, Prodi ha fiducia nel rafforzamento dell’industria. Ecco, mi sento di dire che sono due affermazioni errate.”
Non spieghi perchè.
Nei miei ormai vetusti ricordi delle teorie economiche dei tempi universitari, ho ripescato quella della matrice delle interdipendenze strutturali di Vassilj Leontieff, che spiegava proprio come lo sviluppo si diffonde da un settore economico all’altro all’interno di una matrice, appunto.
Se avrò tempo ne parlerò in termini semplici nel mio blog, meglio se il “Prof” Bertoncello tira fuori dal cappello qualche spunto tratto da tale teoria che ci potrebbe utilmente illuminare.
Tutto questo per dire, Gianni, che se non è l’agricoltura a ripartire e non è l’industria allora sono i servizi ? Non rimane molto altro, ti pare ?
Buonasera a tutti
seguo questo blog da poco e la qualità di tutti i commenti è molto elevata; per integrare il # 43 di Fabris aggiungo : lavoro come contoterzista in Riviera del Brenta per uno dei due colossi francesi del lusso e dalla metà di gen. 09 siamo completamen
te senza far niente e in tredici anni non abbiamo
mai perso un giorno di lavoro.A questo punto da appartenente al ” parco buoi ” penso : nel 2010 potremo forse rivedere lo S.P. a 1200 ma per guadagnare qualcosa da mettere in borsa con il lavoro vero quanto ci sarà da soffrire…. mi scuso per il livello scolastico dell’intervento.
Grazie sentitamente al Dott. Bertoncello che contribuisce egregiamente con il suo lavoro a farmi sbarazzare dei promotori finanziari sino ad
ora conosciuti.
Fabris (43) non rientro nella schiera dei “dal pessimismo più nero all’ottimismo della rivincita.”. Non rientro in quanto, come facilmente dimostrabile dai miei post in questo forum, non ho mai (e talvolta sbagliando, purtroppo) manifestato il “pessimismo più nero”, così come nel mio post 42 non manifestavo “l’ottimismo della rivincita”.
Ma ci sono da qualche tempo a questa parte degli indicatori che vanno meno peggio di prima o che recuperano; altri ancora invece sono molto negativi, è vero, ma le svolte al rialzo iniziano con una diminuzione della velocità al ribasso. Sono recenti e oltretutto sono conferme di altri dati precedenti, i dati inflazionistici che sembrerebbero escludere al momento possibilità deflattive: non è poco. Chiaro, molto probabilmente si porrà il problema opposto; chiaro, se questo dovesse succedere prima di una sostenibile ripresa la scelta di attivare una politica monetaria restrittiva al momento giusto sarà nuovamente una scelta cruciale; insomma ci sono dei bei problemi, ma siamo all’intervallo di una partita che ci vede soccombere, ma il nostro portiere ha fatto miracoli fino ad ora e se riusciamo a far respirare la difesa…
Dott. Bertoncello
La ringrazio per la risposta e il link all’intervista.
Vedremo quale sarà la capacità della Fed di eliminare l’eccesso di liquidità dopo la crisi, viste anche le attuli difficoltà trovate con AIG.
Speriamo bene 😀
Tra le altre cose, nell’intervista che ci ha segnalato, lo stesso Bernanke afferma che le crisi iniziate nel settore bancario terminano quando questo stesso torna in buona salute.
Alla Fed prevedono un aumento della disoccupazione.
(Il fatto di sentire le informazioni senza mediazione o da giornalisti attendibili non mi dispiace, vi sono trasmissioni che in 1h dicono molto meno dei 13 min di quell’intervista!)
“Well, a lot of mistakes got made. No question about it. But, you know, this was a much bigger thing than any single firm or any single individual,” Bernanke replied. “Over the last dozen years or so, enormous amounts of savings has flowed into the United States, and some other industrial countries. That savings has come from China and East Asia. It’s come from oil producers. And hundreds of billions of dollars, it has come into our financial system. And, you know, that would be great if we took that money and invested it wisely, and got a high return. But instead, our financial system didn’t do a good job.
Torna in mente quello che Greenspan scriveva nel suo libro “L’era della Turbolenza”. Si pensava che i paesi in via di sviluppo avrebbero fatto i lavori più pesanti e manuali. Grazie alla distruzione creativa (capacità di rinnovarsi) l’economia americana si sarebbe potuta occupare di attività a maggiore specializzazione in settori a grande valore aggiunto.
Forse, quindi, chi ha potuto si è spinto nella creatività finanziaria o “globalizzando i propri investimenti” ma il resto del paese non è riuscito a stare dietro con produzione/lavoro/consumo, perdendo capacità competitiva in troppi settori con i paesi emergenti, finendo per sostenere il tenore di vita e le aspettative troppe alte con il debito.
MarcoDC (42)
PARAGONI
Non ho detto che sarà peggio del 30 (quindi suppongo ci si rivolga ad altri), ma soprattutto non ho detto che le misure non avranno effetto perché tutto nuovo e inesplorato.
Ho preso lo spunto dell’argomento ’29, per affermare come non sia sufficiente dire che le meccaniche delle crisi siano simili solo per l’alto grado di gravità di entrambe (come asserito in commenti di topic passati).
Intendevo dire che analizzare le meccaniche di ogni singola crisi, per cercare di capirne i risvolti, lo preferisco a trarre conclusioni date dal panico.
Ho poi supposto che le due crisi siano differenti, quindi “relativamente” comparabili per capire dove vada a finire l’attuale, ma questa è un’opinione criticabilissima.
Non capisco però dove sia la mia contraddizione.
Fabris (43)
Non vedo dell’ottimismo nell’apparizione di Bernanke ad un talk show.
“It’s an extraordinary time. This is a chance for me, I think, to talk to America directly”.
Al limite posso vedere una necessità di instillare ottimismo negli americani, non lasciandoli allontanare dall’economia pensando che “sia uno sporco affare”, dove si spendono i soldi pubblici per salvare dei lobbisti.
“E’ di nuovo in scena il pendolo della natura umana: dal pessimismo più nero all’ottimismo della rivincita.”
Concordo sul pendolo, personalmente mi sento già meglio per la ripresa di questi giorni, ma cerco di convincermi che non son queste le cose su cui basarmi per investire.
Valter Campagnolo (46)
L’argomento Unicredit lo trovo particolarmente interessante.
Oltre 4 miliardi di utile netto eppure si è ricorso a due aumenti di capitale (di cui uno tramite cashes con ritorno prossimo al 10%).
Discussione sulla sottoscrizione dei Tremonti bond (con nuovamente interessi prossimi a 10%).
Difficoltà nell’est Europa con una netta sospensione dell’espansione in quest’area.
Interesse al microcredito (finalmente) della Grameen Bank.
Le perdite dovute ai fallimenti delle varie banche o assicurazioni l’anno passato, sembra siano stati (fortunatamente) minori rispetto all’utile netto di 4 miliardi.
Allora dov’è la contraddizione?
Sono ben lontano dall’essere un esperto, ma vorrei farvi notare una cosa.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza e Mercati/2009/03/comunicati-stampa-unicredit.shtml
Il deterioramento sembra sia aumentato più dei crediti verso la clientela.
A questo punto a me pare che le banche facciano quello che possono, ma il sostegno all’economia durante la crisi debba venire dal governo italiano, e non statalizzando chi dà ciò che può.
Le banche non possono aumentare indefinitamente a proprie spese il proprio rischio, è un compito dello Stato dare il suo contributo. Manovrine da 1 miliardo non mi sembra bastino.
Voi cosa ne pensate?
Magowiz (48) Non so cosa si suggerisca sui gruppi di controllo. Buffett però suggerisce di stare alla larga dai manager che pensano di essere dei cavalieri bianchi. Ovvero che espandono molto la propria attività anche acquistando aziende poco redditizie, credendo di cambiarle “con il loro tocco”. Non intendo fare riferimento a nessun manager in particolare scrivendo ciò. Inoltre suggerisce di stare alla larga da quei manager che dimostrano di interessarsi più al proprio interesse rispetto a quello dell’azionista. Alcune di queste idee suppongo le abbia prese da P. A. Fisher.
Scusate l’interminabile commento. Finisco col far notare che investireoggi ha un forum. Se si pensa che sia dannoso parlare un poco di tutto, al di là del topic iniziale, penso si possa chiedere di aprire (nel forum) una sezione dedicata ai lettori del blog del Dott. Bertoncello (nella quale il Dott. stesso potrebbe scrivere e rispondere). Sarebbe nel caso da rendere ben visibile come link nel blog.
Saluti,
Vinello
Gianni 45,
da dove ripartire ?
Io penso che si possa ripartire da una globalizzazione regolamentata, controllata, cioè sostenibile. Lo stile di vita, specialmente nei paesi occidentali, difficilmente tornerà ad essere quello di prima, ma questo non si può considerare un male.
E si potrà ripartire dal consumo dei mercati emergenti, da uno yuan più forte, da una propensione al consumo meno sfrenata e quindi più sostenibile nel lungo periodo da parte dei consumatori americani che, se non avranno imparato la lezione ora, no la impareranno più: non si può vivere con un indice di risparmio negativo. Io non penso che i risparmiatori americani riprenderanno facilmente questa abitudine ma sono certo che le banche americane ben difficilmente lasceranno che i propri clienti vivano ancora aldisopra delle proprie possibilità, pena una nuova crisi di solvibilità.
O forse lo spero.
Vinello (54)
riguardo la contraddizione non mi riferivo nè a te nè a nessuno in particolare.
Riprendevo affermazioni di diversi pessimisti, in questo thread ma anche in precedenti, per dire che la tesi del pessimismo passa talvolta da affermazioni contradditorie, sostanzialmente basate su due concetti:
– il paragone con altre crisi attraverso l’evidenzazione delle similitudini e il confronto dei dati
– lo smantellamento di ogni tentativo fatto da chi cerca di opporre argomentazioni sulle contromisure messe in atto, in base alla considerazione che tutto quanto studiato è inutile dato che oggi è tutto nuovo e inesplorato.
Facendo seguito a #51. Infatti la mia analisi è proprio che il capitalismo ha saturato tutti i settori di intervento profittevoli per l’iniziativa privata. Non serve più agricoltura perché più di tanto non possiamo mangiare. Non serve più industria perché più auto di quelle che ci sono a giro non ci stanno. Io lavoro per una cartiera, stiamo andando non male (anche perché è da poco fallito uno dei maggiori concorrenti), potremmo raddoppiare la produzione solo comprando macchine più moderne (quindi a parità di occupazione) ma non lo facciamo perché non sapremmo a chi vendere la nostra carta. I servizi sono saturi dalla fine degli anni ’80, almeno quelli utili, quelli compatibili con una crescita della possibilità di spesa di un reddito normale. Certo, ora abbiamo 50 canali televisivi gratuiti, solo che le cose costano di più perché dobbiamo pagare le spese per la pubblicità che tengono in vita i 50 canali. Per vendere bisogna spendere un sacco in marketing, customer care, pubblicità, offerte… Sono una parte dei servizi superflui che hanno fatto cadere il potere di acquisto della popolazione. Ancora negli anni ’70 una famiglia campava bene con un solo reddito, provate ora. Questo secondo me vuol dire che il sistema è imballato, che non sa produrre valore aggiunto. Secondo analisi del board delle banche asiatiche, nel 2008 sono stati distrutti 50 trilioni di dollari di attività finanziarie. Quindi per tutti gli anni 2000 siamo andati avanti grazie a questa megabolla (ricordate Enron? Parmalat con i suoi favolosi soldi in Bonlat? Il mondo degli anni 2000 è stata una Parmalattona). Al momento il mondo punta sul debito federale Usa. A mio avviso la cosa porterà solo una grande inflazione, quindi niente a che vedere con una ripresa del potere di acquisto dei redditi. L’unica cosa sana possono essere i consumi interni cinesi, che però rischiano di morire in culla se non sostenuti da una ripresa delle esportazioni. In futuro l’unica cosa possibile è più stato, certo non assistenziale ma imprenditore. Solo che al momento non è neanche pensabile proporre una politica simile (più tasse, lotta all’evasione, più risorse per istruzione, sanità, territorio…). Per questo prevedo parecchi anni bui.
Gianni, solo brevemente per questioni di tempo.
Non sono d’accordo su una tua considerazione “Non serve più agricoltura perché più di tanto non possiamo mangiare”: noi no, anzi, ma vallo a dire ai tanti paesi asiatici che mangiano solo quello che producono. Che poi non possano permettersi di acquistare altro è un altro, ampio, discorso.
E’ vero, non sarà del prossimo futuro, ma per il mondo c’è una straordinaria risorsa: l’Africa. Se solo si riuscisse, noi occidentali, i cinesi e gli africani stessi a non sfruttarla, ma a utilizzarla, le cose cambierebbero radicalmente, per tutti.
Ciao
Riporto una frase di Salvatore Gaziano dal sito Borsa Expert: “Chi fa previsioni avvelena anche te, digli di smettere”… dedicata con tutto il cuore a Mr. Roubini & C. A buon intenditor…
anche questi sono “doom” ed esagerati?
http://www.leap2020.eu/GEAB-N-32-is-available!-4th-quarter-2009-Beginning-of-Phase-5-of-the-global-systemic-crisis-phase-of-global-geopolitical_a2805.html
e il nuovo aggiornamento
http://www.leap2020.eu/GEAB-N-33-is-available!-Growing-Transatlantic-tensions-on-the-eve-of-the-G20-summit-An-illustration-of-Wall-Street-s-and_a2940.html
Nessuno ama Cassandra, specie se predice il futuro.
Caro Alex 27,
dedichi l’adagio nel tuo commento solo a Mr. Roubini & C.
Il senso della frase invece mi pare rivolto a tutti quelli che fanno previsioni (non solo quelle pessimistiche).
Non fare previsioni equivale a non dire nulla. Fare previsioni, argomentandole con l’uso della ragione e del buon senso, è il solo valore aggiunto che può dare un conoscitore dei mercati. Quando, due mesi fa, dissi che l’S&P sarebbe arrivato a 650 circa, ho manifestato la mia view. Così come oggi la manifesto sostenendo che siamo in presenza di un bear market rally. Non ho paura delle mie previsioni, perchè le baso su argomentazioni di tipo strettamente logico-empirico, assumendone pertanto la piena responsabilità. Non sono come quegli analisti da 4 soldi che ti dicono: se sale sopra x allora “potrebbe” salire ancora, altrimenti “potrebbe” scendere. Col condizionale nessumo ha mai fatto soldi. Fare congetture al condizionale significa non esporsi, non credere nella propria logica e capacità di analisi. Non saper “convivere” col proprio trading system.
Alex 27
Non vedo del male nel fare delle previsioni soprattutto se basate su buone analisi.
Avere un confronto è sicuramente positivo.
Che senso ha imbavagliare chi esprime la sua in una maniera articolata, quale può un economista?
“Chi fa previsioni avvelena anche te, digli di smettere”.
Smettere di fare previsioni non è una buona idea.
Ricordare il grado di affidabilità che possono avere o che hanno avuto in passato è utile: serve a non farsi false illusioni.
Ovviamente chi fa previsioni deve tendere a non dettare la verità a tutti gli altri.
Un poco in ritardo ma riecco Roubini:
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza e Mercati/2009/03/crisi-previsioni-roubini.shtml
Intanto il dato WLI del 13 marzo è risultato in recupero a 105,8 rispetto ai 104,8 del 6 marzo. Anche il tendenziale annuo è risultato in recupero a -23,3%.Forse grazie anche a questi dati le borse in quest’ultimo periodo sono un po’ rimbalzate.
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Non ho mai capito a cosa servano i bonus, questi signori non hanno già uno stipendio? Siamo giunti a un capitalismo moribondo dove il solito pantalone paga per mantenere una schiera di vip e lazzaroni di giornata. Il loro unico scopo è apparire su qualche rivista, prendere un sacco di soldi, ripetere in eterno le stesse coglionate mascherate da so tutto io. Se qualcuno è convinto che questi signori e i loro leccapiedi sappiano risollevare le sorti di un’occidente alla cacca, ci sarà da gettarsi per terra dalle risate se i momenti storici di cui inevitabilmente pagheremo delle conseguenze non molto allegre c’è lo permetteranno
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