Banche in crisi e ombrelli
Come se la stanno cavando le banche italiane, alle prese con la crisi finanziaria e la recessione economica? Per farmene una rapida idea ho dato uno sguardo all’ultimo bollettino economico della Banca d’Italia, uscito a metà gennaio. La diagnosi della nostra banca centrale è rassicurante. Ecco cosa scrive:
“Nel complesso il sistema bancario italiano ha sinora risentito meno di altri dell’impatto della crisi […]. Dall’inizio delle turbolenze i maggiori gruppi bancari hanno registrato svalutazioni connesse con la crisi per circa 4,5 miliardi di euro, un ammontare contenuto se confrontato con quello delle principali banche internazionali […].”
La redditività, certo, è in calo. In una congiuntura così difficile non potrebbe essere diversamente. Ma si tratta di una flessione che, per ora, non è stata affatto drammatica. Nei primi tre trimestri del 2008 il Roe (rendimento del capitale e delle riserve) è sceso al 9% dall’11% del 2007. Le banche hanno patito la riduzione delle commissioni e “l’azzeramento dei proventi dell’attività di negoziazione”, ma si sono in parte rifatte grazie al miglioramento del margine d’interesse. Sono state cioè in grado di aumentare il differenziale tra il costo della provvista di fondi, diminuito grazie alle riduzioni dei tassi messe in atto dalla Banca Centrale Europea, e l’interesse incassato sui prestiti alla clientela.
Alle prese con un peggioramento della congiuntura, le banche si stanno difendendo anche con l’imposizione di criteri molto più stringenti nell’attività di credito.
L’ultima indagine trimestrale Banca d’Italia – Il Sole 24 Ore, svolta a dicembre, ha messo in luce “un marcato peggioramento delle condizioni di accesso al credito […], soprattutto tra le imprese che hanno effettivamente richiesto un nuovo affidamento o l’ampliamento di uno esistente.” Per le famiglie, le cose non vanno molto meglio visto che “l’irrigidimento dei criteri di offerta ha interessato sia i mutui per l’acquisto di abitazioni sia il credito al consumo.”
Per farla breve, delle banche italiane non c’è troppo da preoccuparsi. A stare peggio sono famiglie e imprese. Si conferma il vecchio detto del poeta americano Robert Frost, secondo cui “un banchiere è uno che vi presta l’ombrello quando c’è il sole e lo rivuole indietro appena comincia a piovere”.
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Uno studioso italiano, Altan, ha fatto studi approfonditi sui meccanismi che presiedono agli utilizzi dell’ombrello, e ne ha individuato uno in particolare.
Che le banche italiane siano “di manica stretta” non è una novità e potrebbe aver rappresentato la loro, e nostra (di risparmiatori e contribuenti), salvezza in questa crisi.
Ci stà anche che, vista la situazione, le banche abbiano ulteriormente stretto i cordoni della borsa, ma a condizione di non ricorrere all’aiuto pubblico.
In caso contrario l’aiuto andrebbe subordinato alla sistemazione di qualche pratica poco ortodossa nei confronti di risparmiatori e delle aziende, e mi riferisco ad esempio:
– all’ostruzionismo (per non dire rifiuto) nei confronti della surroga dei mutui;
– all’applicazione di condizioni svantaggiose (commissione di massimo scoperto, meccanismo di variazione dei tassi attivi e passivi, balzelli vari);
– al collocamento di prodotti inefficienti (obbligazioni strutturate, index e unit linked, derivati alle aziende, ecc.);
– alla politica dei budget ad ogni costo (costo per il cliente si intende).
Non ultimo l’impegno, chiaro e verificabile, di facilitare l’erogazione del credito alle aziende e alle famiglie per sostenere l’economia e uscire vivi dalla spirale della crisi.
Ma a questo punto mi viene un dubbio…la classe politica ha la capacità e la lungimiranza per imporsi e favorire l’interesse pubblico a scapito di quello dei banchieri?
Michele
Bertoncello, anche se questa non è la sede adatta vorrei chiederle se vorrà nei prossimi giorni dedicare un fondo a questo tema: la Borsa italiana negli ultimi tempi performa molto meno delle sorelle europee, perchè secondo lei? E quali scenari futuri per Piazza Affari rispetto a Londra-Parigi-Francoforte?
Dottor Bertoncello lei dovrebbe scrivere più articoli. Perchè i suoi sono gli articoli più competenti sul web.
Altri fanno o solo le cassandre o gli ottimisti a tempo perso. Mentre nei suoi articoli c’è competenza ed equilibrio.
Denota anche esperienza diretta con la borsa. Per non parlare di chi sputa rialzi o cali di quotazioni senza aver mai preso un titolo in borsa.
Lei invece i titoli li ha comprati e sta soffrendo come noi sugli alti e bassi della borsa. Questo è certo un primato a confronto di commentatori che ripeto no hanno mai preso un titolo in borsa e vogliono fare i competenti a tempo perso.
Saluti e buon lavoro.
Antonio,
Sono sicuro che Bertoncello non stia “soffrendo come noi sugli alti e bassi di borsa”. Primo, perchè io – per esempio e spero per voi di non essere il solo – non soffro affatto (anzi!) e soprattutto perchè se pensassi che lui stia soffrendo mi verrebbe il dubbio di non aver capito praticamente nulla di tutti i suoi post!
Saluti!
Lo so Pier che Bertoncello non sta soffrendo per gli alti e bassi del mercato. La sua è una visione di lungo periodo, come la mia e forse anche la tua.
Il tempo guarisce tutto, anche le perdite.
Ma capire è anche soffrire, ti sembra ?
Senza soffrire non si può capire mai niente in questo mondo.
Saluti.
Grazie a tutti, come al solito, dei commenti.
San Siro (2),
sono d’accordo. Le analisi di Altan sull’uso dell’ombrello sono tra le più perspicaci e convincenti che io conosca.
Alessandro (4),
al suo tema ho dedicato un post diversi mesi fa. Non mi sento più di tanto incline a tornarci su. C’è un problema di composizione settoriale (il peso eccessivo del settore finanziario) che affligge la Borsa italiana. E forse, negli ultimi mesi, c’è stato anche dell’altro. Penso alle preoccupazioni sulle prospettive dell’Italia e alla relativa immaturità del nostro mercato, che in fasi di grande emotività tende a finire più di altri in balia di scelte d’investimento solo emotive. Comunque, del mercato italiano io parlo poco perchè voglio incoraggiare i lettori a guardare ai mercati su scala globale. Investire solo in Italia è molto sbagliato. E altrettanto lo è guardare all’Italia come al metro di tutte le cose. Il mercato italiano, nel mondo, conta assai poco.
Antonio (5),
lei è sin troppo generoso e comunque la ringrazio. Mi piacerebbe scrivere di più. Purtroppo, per quanto mi piaccia, è un’attività che richiede del tempo.
Pier (6) e Antonio (7),
soffro? non soffro? Diciamo che sbagliare non mi piace, e quando mi rendo conto di aver fatto degli errori di valutazione la prima, istintiva reazione non è di piacere. Anche se cerco di valorizzare gli errori come occasioni di apprendimento. Però degli alti e bassi del mercato, in genere, non mi curo. Passo poco tempo (il minimo necessario) a guardare cosa il mercato sta facendo e può capitare per settimane che non abbia un’idea precisa di come si comporta il mio portafoglio. Nel breve periodo non considero affatto le bizze dei listini come una misura del mio successo come investitore.
Cordiali saluti,
Giuseppe B.