Quando finirà la recessione?
Un lettore, Thomas78, mi ha scritto chiedendo da cosa si potrà capire che la recessione economica sta finendo e una ripresa è alle porte. E’ una buona domanda in sé. Ma lo è doppiamente perché pochi, in questo momento, hanno la tendenza a porsela. Siamo nel pieno di una crisi globale, i mercati azionari sono stati travolti da uno dei peggiori bear market della storia, nessuno prevede una rapida svolta. Il pessimismo la fa da padrone e i profeti di sventura sono i più ascoltati cantastorie del tempo.
In tutto ciò, naturalmente, non c’è nulla di nuovo. E’ sempre stato così. Per la generalità delle persone, la fase avanzata di una recessione è il momento peggiore. E’ lì che molte aziende stramazzano, come pugili suonati, incapaci ormai di resistere alla gragnola di colpi. E’ lì che si concentrano i tagli ai posti di lavoro e il futuro appare più cupo.
Per gli investitori, la dinamica è simile. Dopo un lungo bear market ci sono pochi vincitori e molti sconfitti. E’ perdente, spesso, chi ha cercato di mettersi in salvo vendendo. I grandi volumi, in un bear market, si concentrano nella fase avanzata, quando il calo delle quotazioni è già pronunciato. Chi scappa, non ha di solito più alcun profitto da difendere. Lo fa disgustato dalle sue minusvalenze e da quello che vede.
A ogni venditore, d’altra parte, corrisponde un compratore, che finché il bear market dura si sente spesso in trappola e quasi in agonia per il guaio in cui si è cacciato. Pensava di aver fatto un affare. Invece può solo lagnarsi delle sue perdite, dolorose anche se solo virtuali. In sovrappiù, si trova pure esposto agli aggressivi sfottò di chi gli ha lasciato il cerino in mano e, frustrato dai precedenti fallimenti, si sfoga apostrofandolo con un beffardo: “Te l’avevo detto!”
Tra amarezze e risentimenti, il pessimismo è dunque straboccante. Guardare in avanti, lucidamente, incute paura: “E se più in là ci fossero cattive notizie a perdita d’occhio, e alla fine solo il baratro?” Meglio lasciar perdere, abbassare lo sguardo, cercare sollievo in piccole, quotidiane certezze e, ogni tanto, esorcizzare le angosce più cupe nel catartico ascolto dei cantastorie più in voga, che di epocali tragedie e cataclismi abissali riempiono le loro acclamate narrazioni.
Recency bias, ovvero il peso del recente passato
Anche a fare uno sforzo, anche a voler essere razionali, non è facile evitare che ci facciano velo, nell’interpretazione del presente, gli accadimenti più recenti. E’ quello che in finanza comportamentale si chiama recency bias: la comprovata tendenza a sopravvalutare le esperienze appena fatte, a richiamare più facilmente alla mente i ricordi più freschi. Dopo una lunga recessione, dopo un estenuante bear market, riaffiorano di continuo memorie negative, che finiscono per colorare anche la nostra comprensione dell’attualità. E’ facile vedere dovunque conferme all’idea che recessione e bear market siano destinati a continuare e trovarsi così a trascurare – quando inizieranno a emergere – le evidenze contrarie.
Una buona risposta a queste difficoltà, per tornare finalmente alla domanda di Thomas78, è – oltre all’esserne consapevoli – la ricerca di segnali oggettivi. Se gli umori della folla e i nostri personali deficit cognitivi ci sono d’ostacolo, il ricorso a qualche riscontro fattuale ci può essere d’aiuto. Ma esistono questi indicatori che riescono ad allertare l’investitore della fine imminente di una recessione?
Uno, com’è noto, potrebbe essere proprio il mercato azionario, che con le sue cadute e le sue riprese ha, in genere, la tendenza a precedere le svolte del ciclo economico. Purtroppo, il mercato è a volte bizzoso. Nel 2001, ad esempio, rimbalzò prima della fine della breve recessione americana, ma poi tornò a crollare andando a segnare i minimi di quel bear market solo un anno più tardi.
C’è da aggiungere che, dopo una lunga e atroce fase di ribassi, l’idea di affidarsi al mercato è quanto di più remoto ci possa essere nella mente della gente e degli stessi investitori. Oggi come oggi, è molto più facile che si sia inclini a simpatizzare con una famosa battuta del premio Nobel Paul Samuelson, il quale si prese una volta gioco delle capacità predittive di Wall Street, osservando come avesse “anticipato nove delle ultime cinque recessioni”.
Per fortuna, ci sono delle alternative. E penso in particolare all’America, per diverse ragioni. Non solo è evidente la centralità di quanto accade negli Stati Uniti per i destini del mondo intero. Ma si può anche ragionevolemente scommettere che, per la flessibilità della sua economia, per l’entità della reazione di politica fiscale e monetaria, e per il semplice fatto di essere entrata per prima in recessione, l’America sarà anche il primo dei grandi paesi che la recessione se la lascerà alle spalle.
L’affidabile Leading Economic Index americano
Tra le alternative che sono dunque accessibili a chiunque, la migliore, probabilmente, è l’indice dei Leading Economic Indicators (LEI), pubblicato dal Conference Board e noto qui in Italia come superindice economico. Si tratta di un indicatore composito, che sintetizza l’andamento di dieci variabili particolarmente reattive e influenti, tra cui massa monetaria, tassi d’interesse, ordini manifatturieri, permessi di costruzione, ore di lavoro, sussidi di disoccupazione, fiducia dei consumatori e prezzi azionari.
A chi ha seguito questo blog sin dagli inizi il LEI dovrebbe essere familiare, dato che l’ho spesso usato nelle analisi che consentirono di identificare per tempo, nel 2007, le elevate probabilità dell’instaurarsi di una recessione e di un maligno bear market azionario.
Nel luglio del 2008, nel post L’incredibile rally dei titoli finanziari, lo riportai in compagnia di due suoi “parenti” stretti, pure meritevoli di attenzione, e cioè il leading index dell’ECRI, un prestigioso istituto di ricerca privato, e il leading index dell’OCSE. Una rilettura di quel post potrà essere utile per apprezzare la validità di questa famiglia di indicatori. A quel tempo, sia il consenso degli economisti che quello di mercato erano ancora relativamente ottimisti sulla possibilità che una recessione (e una grave crisi finanziaria) potessero essere evitate.
Varrà la pena di ripubblicare il grafico del LEI che allora presentavo. Eccolo:
La variazione annuale del LEI (linea rossa), un semestre fa, indicava chiaramente come fosse da prevedere un crollo del PIL (linea blu). Nell’ultimo mezzo secolo, tutte le recessioni americane (rappresentate nel grafico dalle bande grigie) sono state precedute da una flessione del LEI sotto la linea dello zero. Così è stato anche questa volta.
Simmetricamente, lo stesso vale per l’annuncio di una ripresa economica. Nell’ultimo mezzo secolo, il LEI ha sempre offerto un valido segnale, con un anticipo di qualche mese. Di particolare utilità, in questo caso, è stata la variazione della media mobile a tre mesi, come osserva Paul Kasriel, chief economist di Northern Trust, in una recente analisi da cui traggo il seguente grafico:
Anche in questo caso, le recessioni sono evidenziate dalle bande grigie. La loro conclusione è preceduta sistematicamente da una stabilizzazione e poi da un ritorno alla crescita del LEI. Come osserva Kasriel, “quando la media mobile a tre mesi del LEI smetterà di flettere, questo sarà un forte segnale che una ripresa (del ciclo economico) è all’orizzonte.”
Per ora, come mostra il grafico e come conferma il dettaglio dell’ultimo set di dati, diffusi il 26 gennaio, ancora non ci siamo. Il LEI, a dicembre, ha dato qualche segnale incoraggiante, risalendo dello 0,3% a 99,5. Ma era sceso dello 0,4% a novembre e dell’1,0% a ottobre. Nell’ultimo semestre l’indice ha perso un cospicuo 2,5%.
“Al momento – commenta Kasriel – il LEI non sta indicando che una ripresa è imminente. Ma possiamo fare una scommessa. L’andamento del LEI annuncerà una ripresa prima che lo faccia il consenso delle previsioni degli economisti.”
Coerente con quanto scritto nella prima parte di questo post, quella di Kasriel è una scommessa che anch’io mi sento volentieri di condividere.
Egr Dott.Bertoncello,
evito i complimenti non perchè non li meriti, ma perchè più la leggo, più credo di identificarla come persona e mi sembra di capire che la piaggeria non le si addice, e non avendo il sottoscritto nessuna intenzione di adularla passo oltre.
Non le sembra che il Baltic Dry Index sia un buon rilevatore di bottom della recessione? E il D.J. Transport? Certo non basta guardare l’indice, bisognerebbe costruire delle medie mobili o forse è possibile trovarle da qualche parte? Io non saprei com muovermi.
Con stima, cordiali saluti.
Buffett
Articolo che resetta tutti i precedenti- seppur molto interessanti- a conferma che i mercati non possono essere previsti ma solo assecondati. Pero’ questo è da sempre….
molto interessante
ho letto altrove che la convinzione che può fare più danni a un investitore è: “stavolta è diverso”
sono d’accordo, se il passato può insegnare qualcosa, è che ogni volta è invece tutto identico, con le contingenti ampiezze
@ BRUNO: scusa ma dov’è che quest’articolo resetterebbe tutti i precedenti? Io lo vedo invece assai coerente con quanto espresso da Bertoncello nei post dell’ultimo semestre:
– termine della crisi economica indefinibile
– termine della crisi economica solitamente anticipato dai mercati finanziari
– fine dell’orso anch’essa indefinibile
– mercati finanziari sottovalutati, occasione di acquisto in ottica di stock picking fondamentale di lungo periodo che del timing non si cura
Molti dei commenti scettici nei confronti del lavoro dell’Autore del blog sono riassumibili in “lo vedi che c’è ancora crisi!” o in “lo vedi che le borse scendono ancora!”.
Inizio a pensare che l’ottica dell’investitore accorto (o intelligente, se preferite) sia seriamente incomprensibile ai più.
Qualcuno mi sa indicare come fare per tenere costantemente monitorato il LEI con relative MM?
Che voi sappiate esistono dati in formato Metastock?
In quale altro modo si possono dedurre tali dati, in modo da aggiornarli costantemente ed applicare ad essi la media mobile?
Ciao, grazie
Forse mi sono espresso male con il termine resettare. Quello che mi ha “trasmesso” l’articolo del Dott. Bertoncell, è che a prescindere da qualsiasi indicatore oggettivo,non ha senso per un investitore porsi la domanda quando finirà la recessione, semplicemente perchè appunto nessuno lo sa. Non rimane quindi che assecondare il mercato senza masticare montagne di dati, utilizzando un metodo che ognuno è libero di scegliersi. Ad esempio la preistorica media mobile a 200 giorni ci avrebbe buttato fuori dai mercati all’incirca nel novembre del 2007 senza ancora darci segnali di rientro.La stessa, quando sarà violata al riazo dai prezzi delle azioni, ci indicherà che forse sta per iniziare un trend ralzista duraturo.
Un saluto a tutti
@ BRUNO: capisco cosa intendi. A mio avviso la giurassica media a 200 periodi e l’approccio fondamentale della tradizione value hanno una cosa in comune, forse anche piuttosto importante: riducono all’osso la frequenza dell’operatività e ragionano in termini di lunghi o lunghissimi periodi. In fondo lo stesso Bertoncello ha abbandonato l’azionario quando ha ritenuto che una (lunga e ben articolata) serie di indicatori glielo suggerisse, e questo non sta certo scritto nel libro di Greenblatt e non è certamente molto Buffettiano (mi pare che Buffet sostanzialmente consideri eterno il matrimonio con un’azienda). Però rispetto ad un approccio tecnico, sia pure di amplissimo respiro, quello fondamentale affranca l’investitore dalla interpretazione dei grafici azionari che personalmente considero nè più nè meno che una moderna forma di stregoneria, soprattutto entro time frame ridotti.
@jacobel Ora ci siamo capiti di piu’! E mi trovi perfettamente d’accordo sulla inutilità di operazioni grafiche a breve o brevissimo termine ( per noi normali investitori specialmente)Personalmente però trovo l’approccio fondamentale troppo complicato rispetto a quello tecnico, se non fosse per il semplice fatto che un grafico sintetizza moltissime informazioni. Diciamo che si puo’ usare l’approccio fondamentale per individuare un titolo a sconto e quello grafico per decidere “quando” entrare/uscire dall’azione?
Forse lo hai intuito ma preferisco le strategie trend following..
@ BRUNO: a questo punto sarei curioso di sentire l’opinione del padrone di casa :D! A me viene da dire che “trend following” e “value investing” sono sostanzialmente contraddittori, perchè in teoria il value investor compra prima e a prezzi più bassi del trend follower e non vedo quindi come possano coesistere. Inoltre un “trend follower” ha un problema non da poco, stabilire quando e se c’è un trend, il che inerisce, c’è poco da fare, l’analisi tecnica. Non che il problema di stabilire quando e se ci sia del “value” sia un problema da poco, sia chiaro, ma mi pare un’impresa comunque affrontabile con lo studio e il buon senso, a differenza dell’esegesi di un grafico. Il fatto è che un trend follower dovrebbe “soffrire” meno di un value investor, ma quello che guadagna in opportunismo lo paga con gli interessi in falsi segnali e stop loss. In ogni caso rimane il fatto che il Nostro ci ha dimostrato come entrare e uscire con successo dall’azionario senza usare l’analisi tecnica facendo comunque, io credo, uno strappo discrezionale ai capisaldi del value investing più puro (quello “matrimoniale” alla Buffet, per dire).
A questo proposito vorrei domandare a Bertoncello se l’implementare delle analisi macro in un’ottica di stock picking non finisca di fatto per tradirla. Ovvero, se il titolo tal dei tali era solido e sottovalutato nel 2007 e lo è rimasto fino ad oggi perchè venderlo sulla base di considerazioni macro che, teoricamente, non dovrebbero scalfirne il valore sul quale si sta scommettendo? Non si rischia così di ingolfare l’operatività di selezione dei titoli con indicazioni che, per quanto possano avere bene funzionato in questo caso, potrebbero di fatto fornire altre volte, ed erroneamente, segnali di dentro-fuori piuttosto lontani da un approccio di buy&hold?
Peccato che chi è entrato in borsa con un ottica di buy&old dal 2000 in poi si è già ingoiato due trend primari ribassisti da – 50% cadauno( di cui il secondo in atto!) che di fatto hanno compromesso per sempre qualsiasi velleità di guadagni futuri. Se poi per sbaglio qualcuno nel 1990 avesse deciso di investire soltanto sul Nikkei… Ma questo in Bravo Dott. Bartoncello già ce lo aveva ammonito.. I falsi segnali sono l’inevitabile prezzo da pagare per evitare i trend primari ribassisti.
Ciao.
Buffet, uno degli indicatori che personalmente seguo da vicino è, come segnali tu, il Baltic Dry Index il cui movimento, visibile in uno di questi grafici
http://investmenttools.com/futures/bdi_baltic_dry_index.htm
mi sembra abbastanza eloquente (e incoraggiante).
In questa pletora di dati negativi che telegionali e giornali ci propinano quotidianamente ad uso audience e non certo informazione, oltre al BDI, vorrei segnalarne un altro positivo: lo spread dei Treasury 3M-10Y è abbastanza stabilmente intorno a 2,5. A questo proposito un articolo di Bertoncello, molto interessante ma sul quale ho dissentito almeno in parte, segnalava questo attuale spread come non + significativo dato il basso livello del tasso 3M: questo giusto per completezza.
Sul LEI… nessun dubbio sulla sua capacità predittiva come indice anticipatore del ciclo economico, che non confonderei però con quello della borsa; sarebbe interessante riuscire a sovrapporre uno dei grafici dell’articolo con lo S&P ad esempio.
Nutro inoltre forti dubbi sull’affermazione di Kasriel “il LEI non sta indicando che una ripresa è imminente. Ma possiamo fare una scommessa. L’andamento del LEI annuncerà una ripresa prima che lo faccia il consenso delle previsioni degli economisti”; è forse il LEI un indice di cui lui, Bertoncello e noi abbiamo la visione esclusiva ? O solo noi sappiamo cosa serve e su cosa si basi ? No ovviamente.
Kasriel ha fatto la “buttata”…
Vi ringrazio per i ricchi contributi. Su alcuni spunti cercherò di tornare nei prossimi giorni. Purtroppo vado di fretta e per le prossime 36 ore non sarò in grado di rispondere. Alla prossima settimana, dunque.
Cordiali saluti,
Giuseppe B.
Buongiorno a tutti, volevo postare un commento a mio avviso molto giusto di Massimo Gramellini sul tema della crisi e resessione, che così scrive:
“Gli analisti continuano a sviscerare compiaciuti le cause dello sfascio che non hanno saputo evitare, ma non danno uno straccio di indicazione su come uscirne e intanto su come conviverci con dignità. Non è questione di essere ottimisti, ma di smetterla di essere così petulanti”.
Per Bruno e JacoBel: condivido e apprezzo i vostri spunti, avete arricchito di parecchio il già ottimo post del “padrone di casa”. Ho solo una domanda per Bruno: nel tuo post n.6 tiri in ballo la mm a 200 giorni. Ma con quale altra linea la “incroci” per avere i segnali di ingresso e di uscita? Un’altra mm? a quanti giorni? Premetto e ribadisco che anch’io trovo allucinante fidarsi di indicatori a brevissimo termine, ad ogni modo mi piacerebbe sapere che medie mobili (e che tipo di loro “incrocio”) ritieni discretamente attendibili per cercare di cogliere le opportunità sui movimenti azionari di lungo periodo (2-3 anni?).
MarcoDC,
grazie mille per i grafici indicatimi. Bellissimi e alcuni significativi oltre che incoraggianti, il tutto indipendentemente dal movimento di mercato dei prossimi due-tre mesi. Se il BDI mantenesse le promesse che sta facendo, alla prima correzione bisogna prendere in considerazione di accumulare seriamente, senza mai scordarsi di acquistare valore.
Cordiali saluti, Buffett
Per Alfredo
La mm 200 giorni va incrociata con il il grafico dell’indice azionario del mercato sul quale si è scelto di investire,però questa mm è più indicata per l’investitore sistematico di lungo periodo e non di 2/3 anni. Personalmente uso l’incrocio della media mobile degli ultimi tre mesi con il grafico del mercato/fondo/azione prescelta. Ovviamente dopo aver adottato regole di risk management
Un saluto
Gentile Buffett,
se lei vuol farmi dei complimenti io li accetto ben volentieri. Abbiamo tutti bisogno di conferme, così come di critiche avanzate con spirito costruttivo. Lei ha ragione: detesto il servilismo e l’interessata adulazione che si accompagnano alla piaggeria. Ma penso di saper in genere distinguere tra un atteggiamento così meschino e un atto sincero di ammirazione.
Il Baltic Dry Index è un indicatore senz’altro utile per monitorare l’evoluzione del ciclo economico. Sinceramente, seguo poco il DJ Transport. Penso che il LEI – composito com’è – sia superiore.
Gentile Mink (5),
i dati sul LEI sono disponibili sul sito del Conference Board. Può trovare il link verso la fine del mio articolo.
Cordiali saluti,
Giuseppe B.
Gentile Marco DC (11),
Kasriel non ha fatto una battuta. Ha parlato seriamente sulla base della sua lunga esperienza. E io penso che anche questa volta è probabile che finisca per avere ragione, anche se ovviamente dovremo aspettare la conferma dei fatti.
Consideri però una semplice cosa: il LEI aveva dato tempestivi segnali di recessione – che io avevo riportato nel mio blog – già verso la fine del 2007 (se non sbaglio, vado un po’ di fretta e a memoria). Ma il consenso degli analisti questi segnali, via via sempre più decisi, li ha ignorati fino all’estate del 2008. Ogni mese si trovavano nuove scuse per ritenere che il LEI, questa volta, si sbagliasse. Naturalmente, il LEI non è infallibile ed è giusto sottoporlo a confronto con altre evidenze. Il problema è che, a mio avviso, le evidenze utilizzate per criticare il LEI – per diversi mesi nel corso del 2008 – erano notoriamente MENO affidabili del LEI stesso (si è trattato, spesso, dei ballerini dati sul PIL, per fare un esempio). Eppure, una maggioranza degli analisti ha a lungo preferito assegnare un peso maggiore a dati meno credibili.
Perchè? La mia interpretazione (che presumo essere anche quella di Kasriel) è che la maggioranza delle persone – e anche degli analisti – ha la tendenza a credere a ciò che è coerente con le proprie preconcette aspettative (oltre che con il consenso dei più). La conseguenza è che i punti di svolta del ciclo, di solito, dalla maggioranza non vengono nè visti nè creduti.
Cordiali saluti,
Giuseppe B.
Gentile JacoBel (9),
lei pone troppe buone questioni perchè io possa pensare, in poche parole, di darle delle risposte soddisfacenti.
Comunque, penso che lei abbia in sostanza ragione su tutto il fronte. Trend following e value investing sono concettualmente agli antipodi. Per un value investor, il trend following – che la maggioranza tende a praticare, perchè risulta concettualmente ovvio e psicologicamente rassicurante – è un’attività meramente speculativa, che si basa su una sola premessa: io seguo il gregge, ma nel gregge ci sarà qualcuno più sciocco di me che comprerà i miei titoli a un prezzo più alto.
Questo principio, naturalmente, ha una sua applicabilità in un limitato numero di situazioni (spesso imprevedibili). Ma non può trovare applicazione nella maggioranza dei casi. Una maggioranza degli investitori che ritenga che la maggioranza è più sciocca di lei si sbaglia. E di questa fondamentale stoltezza della massa degli investitori è lastricata la storia dei mercati finanziari.
Quanto alla questione della compatibilità tra stock picking in base al valore fondamentale e analisi macro, è di nuovo vero quanto lei sostiene, e cioè che un value investor alla Buffett (diciamo un value investor puro) si affida totalmente alla propria analisi del valore. Io nel mio blog mi permetto diverse eccezioni a questo approccio, facendo uso di un certo eclettismo.
I motivi, così sui due piedi, sono probabilmente due.
Il primo è che nè io nè i miei lettori siamo dei Buffett (anche se mi rallegrerei molto di essere smentito). Il value investing è così eccentrico rispetto al modo “normale” di pensare e operare degli investitori, che io – nel mio blog – mi ci avvicino un po’ alla volta, a dosi omeopatiche.
Il secondo motivo è che un’idea alla base del mio blog è di affrontare, in modo critico, il mondo dei mercati finanziari e degli investimenti a 360°, senza pregiudizi. C’è un bias positivo nei confronti del value investing, perchè lì storicamente si trova la maggiore concentrazione di investitori di grande e duraturo successo, a indicare che quello è il filone più promettente. Ma vale la pena “sporcarsi le mani” anche con altri approcci ed essere, oltre che critici, anche aperti. Questo genere di eclettismo critico è fecondo e anche Buffett lo ha sempre raccomandato, osservando a più riprese come un investitore, pur senza mai abdicare alla propria intelligenza, dovrebbe essere curioso di tutto.
Cordiali saluti,
Giuseppe B.
Gentile Giuseppe Bertoncello,
la ringrazio infinitamente per la risposta, basata su onestà e franchezza come è nel suo stile. Mi colpisce soprattutto la sincerità con cui ha sottolineato che “non essere dei Buffet” è una questione di preparazione intellettuale e non di capitalizzazione delle proprie tasche (scusa sovente addotta da investitori poco accorti, per così dire). Il che offre come non disprezzabile corollario che “essere dei Buffet” è qualcosa che inerisce la sfera dell’apprendimento e del progresso personale.
Per quanto riguarda l’eclettismo critico che la porta a “sporcarsi le mani” ovunque la conduca la sua curiosità, beh, non posso che rallegrarmene come suo assiduo lettore! A questo proposito, nell’attesa di maturare ulteriori questioni finanziare da sottoporle, mi permetto di domandarle, visto che è un popperiano, se non abbia già letto le opere del buon Ch. S. Peirce, vero padre del fallibilismo e del pragmatismo americano, tristemente dimenticato da Popper e da molti altri saccheggiatori del suo pensiero. Io ho sempre usato i suoi insegnamenti e quelli del suo vero erede e divulgatore, Umberto Eco, per tenere saldo il timone del buon senso anche al cospetto dei mercati finanziari. Non a caso il suo approccio, caro Bertoncello, mi è subito risultato persuasivo!
Cordialmente
JacoBel