l'Investitore Accorto

Per capire i mercati finanziari e imparare a investire dai grandi maestri

Concorsi di bellezza e attese degli investitori

Chi opera in Borsa compra in genere quando si persuade, per le ragioni più svariate, che i prezzi saliranno e vende quando pensa che scenderanno. Agisce dunque sulla base di aspettative, che il mercato azionario finisce per aggregare e scontare nei prezzi.

Le aspettative di ogni operatore si intrecciano con quelle degli altri e con il procedere – spesso imprevedibile – tanto del mercato che della sottostante realtà economica. Il risultato, per quanto gli osservatori professionali si sforzino di razionalizzarlo, lascia spesso stupefatti: il mercato è capace di avanzare baldanzoso dopo una cattiva notizia e ritrarsi nauseato dopo una buona, sa agitarsi per un nonnulla e poltrire in apparente letargia all’accadere di fatti importanti.

Detto in altro modo, il ruolo giocato dalle aspettative è tale che non basta affatto l’analisi dei fondamentali economici per intuire qualcosa di dove possano andare a parare le Borse.

Il 2009 sarà un anno di recessione globale? Gli utili societari scenderanno ancora? Di per sé, un investitore che conoscesse – con presciente esattezza – la risposta a questi due cruciali quesiti non avrebbe motivo per ritenersi sicuro del fatto suo, più di quanto non lo sia chi, come me, di quegli arcani non ha la soluzione. Tutto dipende, infatti, da come la marea degli investitori reagirà nel suo complesso a quanto accadrà, e poi ancora da come ciascuno risponderà alle reazioni altrui.

Keynes e il concorso di bellezza

Dell’affascinante complessità di questo gioco esiste una famosa e divertente metafora, quella del concorso di bellezza”, proposta da John Maynard Keynes nel suo capolavoro Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta del 1936.

Lì Keynes paragona l’enigma posto dal mercato azionario a un concorso a premi organizzato da un giornale, in cui la vittoria andrà a chi saprà scegliere, tra le immagini di sei donne, il volto ritenuto più bello dal maggior numero di lettori.

I partecipanti più naive, osserva Keynes, sceglieranno direttamente il volto da loro giudicato più bello. Quelli meno ingenui cercheranno invece di capire quale sia l’idea prevalente di bellezza. Ma il gioco non si ferma qui. I partecipanti ancor più sofisticati si sforzeranno di “anticipare quel che l’opinione media si aspetta che sia l’opinione media.” Di questo passo – conclude Keynes – ci sarà anche chi si eserciterà in un “quarto, quinto o ulteriore grado” di formulazione di previsioni su previsioni su previsioni.

Prima di perdermi e di perdere per strada gran parte dei miei lettori, mi affretto a dire che non è questo ciò a cui intendo arrivare col mio post. Mi accontenterò di fermarmi molto prima di un “quarto o quinto o ulteriore grado” osservando come da molto tempo, nell’analisi dei mercati azionari, si sia fatta strada la comprensione dell’importanza delle aspettative. Sono così fioriti diversi studi che, anziché concentrarsi sui fondamentali economici, mirano a scandagliare la psicologia e l’attitudine nei confronti del mercato (con un anglicismo, il sentiment) dei vari segmenti in cui può essere suddivisa la vasta massa degli investitori.

Al livello più semplice, si tratta a volte di rilevazioni puramente aneddotiche, altre volte di sondaggi presso campioni della mutevole popolazione degli operatori di mercato. Al di là della spesso dubbia rappresentatività, il problema, in questo secondo caso, è che non sempre quello che la gente dice di sé corrisponde al suo vero stato psicologico o, ancor meno, a quello che poi fa.

Per fare un esempio banale, mi potrebbe anche capitare di dire agli amici – conversando amabilmente attorno a una tavola – di aver provato paura al cinema di fronte a certe scene di quel thriller che mi ha portato a vedere mia moglie, così appassionata del genere. Resta il fatto che chi ha davvero paura di solito scappa. E da un cinema io sono sì a volte fuggito, ma per noia o disgusto e mai per paura.

Per questo motivo, le inchieste sul sentiment meno inaffidabili sono quelle che raccolgono informazioni “quantitative” su cosa gli investitori fanno piuttosto che su quello che dicono. E sono due dei più noti tra questi sondaggi su cui vorrei ora concentrarmi.

Due sondaggi quantitativi sul posizionamento degli investitori

Il primo riguarda l’asset allocation, e cioè la diversificazione tra le diverse classi di asset, dei piccoli investitori americani. Viene svolto trimestralmente dall’American Association of Individual Investors (AAII) e ne riproduco qui un grafico, tratto dal blog The Big Picture, che riassume l’esposizione media nei confronti delle azioni negli ultimi 32 anni.

Quel che si nota è che rispetto a un’allocazione media di lungo periodo del 60% (molto più elevata che da noi perché negli Usa c’è una cultura ben più radicata e diffusa dell’investimento azionario) i piccoli investitori americani sono al momento sottopesati del 18% (vale a dire che solo il 42% dei loro asset finanziari è investito in azioni). Osserva Barry Ritholtz, l’investitore professionale che è anche autore di The Big Picture, come una tale fuga dalle azioni sia di portata analoga a quelle che si registrarono nel 1987, 1990 e 2002 (gli altri punti cerchiati del grafico) e che coincisero, in tutte e tre le occasioni, con dei minimi di mercato.

Basta questo ad assicurarci che anche questa volta il fondo del bear market è stato raggiunto? Sicuramente non basta. Ma il ridotto livello dell’esposizione verso le azioni ci indica, quanto meno, che la massa dei titoli pronti a essere messi in vendita si è già molto assottigliata.

Passiamo ora al secondo sondaggio, con cui i miei lettori dovrebbero avere qualche consuetudine, dal momento che ne ho già parlato di recente nel post Come valutare i rischi dell’investimento in azioni. Si tratta del rilevamento svolto mensilmente dalla banca americana State Street presso un ampio campione di investitori istituzionali in 45 paesi (grandi soggetti come fondi pensione e assicurazioni, nei cui portafogli è detenuto circa il 15% dei titoli scambiabili sui mercati globali). State Street fa un monitoraggio delle scelte allocative di tali investitori, quantificandone in particolare la rischiosità. Ne ricava una misura del loro appetito per il rischio, che chiama confidence index.

Ecco l’ultimo aggiornamento, pubblicato nella seconda metà di dicembre:

Il numero indice di 48,0, rilevato a dicembre, fa una certa impressione, anche se va subito aggiunto che la serie storica copre un periodo relativamente breve, a partire dal settembre 1998. Comunque, nell’ultimo decennio, il confidence index di State Street ha toccato il suo massimo storico di 109,7 nell’aprile del 2000. Da lì è sceso a un minimo ciclico di 86,8 nell’agosto del 2002 per poi risalire al picco più recente di 99,6 nell’agosto del 2007. L’ultimo dato non solo è il nuovo minimo dell’attuale ciclo, ma rappresenta quasi un dimezzamento dell’appetito per il rischio degli investitori istituzionali rispetto al fondo toccato verso la fine del bear market del 2000-2002.

Come già scrivevo in Come valutare i rischi dell’investimento in azioni, il confronto tra l’indice di State Street e l’andamento del mercato evidenzia come gli investitori istituzionali non siano poi molto più astuti, nel timing delle loro scelte allocative, dei piccoli investitori. Hanno anch’essi la tendenza a essere cauti quando sarebbe redditizio rischiare e a rischiare quando sarebbe redditizio essere cauti. In altre parole, i massimi nel confidence index tendono a coincidere con i top dei bull market, e i minimi con il fondo dei bear market.

Vale a questo punto la pena di chiedersi di nuovo: basta il minimo storico raggiunto dal confidence index di State Street per convincerci che il bear market azionario è ormai alla fine? Ovviamente, non basta affatto. Non sappiamo dove possa collocarsi il fondo né dell’indice né del mercato.

E allora? A che serve questo articolo? A che servono questi sondaggi? Ci dicono, per tornare alla deliziosa metafora di Keynes, che il concorso di bellezza che si sta svolgendo di questi tempi sui mercati azionari non è Miss Italia (vedi foto in alto). Il termine bellezza, per descrivere le modelle (o, per chi preferisca, i modelli) che hanno sfilato in questi ultimi mesi, è a dir poco un eufemismo. I giurati sono ormai rassegnati al peggio e basterà un volto, o forse un fondoschiena, non del tutto deforme per mandarli in visibilio e riorientare le loro scelte.

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6 pensieri su “Concorsi di bellezza e attese degli investitori

  1. Gentile dott.Bertoncello,
    Articolo come sempre interessante. Dall’osservazione dei mercati in questi giorni, dalla lettura dei suoi articoli e perchè no, anche dall’andamento del mio portafoglio azionario, sono sempre più convinto di questo: il mercato, come tutti i prodotti umani, sconta pregi e difetti delle proprie origini, della “razionalità limitata” che così candidamente ci caratterizza. La risposta emotiva alle aspettative, a mio avviso relativizza molto la teoria delle scelte efficienti che dovrebbe caratterizzare il muovere dell’operatore economico e a maggior ragione dell’investitore all’interno e all’esterno dei mercati.
    Da profano, il difetto delle varie pretese tecniche di previsione, mi pare stare proprio nell’imprevedibilità della “variabile umana” che straordinariamente e fortunatamente, non smette mai di sorprenderci.
    Al di fuori dell’analisi fondamentale, ci resta poco, forse proprio i concorsi di bellezza!

    Cordialmente,
    Justrento

  2. salus in ha detto:

    nota di servizio:
    a grandi titoli i Tg e quotidiani allarmano che l’Ocse è ancora più negativo sul futuro dell’economia e rivede al ribasso le precedenti previsioni, che rivedevano al ribasso le precedenti previsioni, che rivedevano al ribasso le precedenti previsioni, che prevedevano al ribasso le precedenti previsioni, e così via.
    Morale della favola: non ci sono mai stati tanti fenomeni di analisti come oggi e tutti che prevedono una situazione peggiore di quella che era, che era stata peggiorata di quella precedente, e così via…
    finale: gli analisti e gli studi non hanno mai beccato una previsione.

  3. massimo in ha detto:

    Gentile Dott. Bertoncello,
    ovviamente La ringrazio e Le rinnovo la mia stima…non per niente sto pubblicizzando il suo blog tra i miei amici.
    Vorrei chiederLe un’opinione su un’argomento apparso qualche settimana fa e che ha avuto un certo rilievo giornalistico; si tratta della q di Tobin…e del crollo di un’ulteriore 55% in borsa che dovrebbe aspettarci a medio termine…qual’è la sua opinione?…scienza o fantascienza?
    Cordiali Saluti
    Massimo

  4. Mirko in ha detto:

    Gent.mo Dott Bertoncello,

    noto con piacere che ha trovato maggior tempo per scrivere nel suo interessantissimo blog.

    Esulo dal post per chiedere una informazione:
    Dove posso trovare una tabella con i migliori rapporti prezzo/p-book Usa ed UE?
    Sapere che vi siano importanti aziende europee ed americane, con brand molto importanti e leader di mercato con valutazioni corrispondenti quasi al loro valore fallimentare, non riesce a lasciarmi indifferente 🙂

    Ringraziandola per il suoi post,

    Cordiali saluti

    Mirko

  5. Massimo,

    la previsione cui lei fa riferimento è di Russell Napier, ed è basata sugli studi che questo analista ha fatto dei quattro maggiori bear market del Novecento, raccolti in un libro dal titolo “Anatomy of the bear.” A Napier e al suo libro ho accennato in un recente post. L’argomento che lei solleva non si può liquidare in una battuta, nè a dire il vero è molto pertinente con il tema (attese e concorsi di bellezza) che qui tratto. Cercherò di parlarne in un prossimo articolo.

    Cordiali saluti,

    Giuseppe B.

  6. maurizio in ha detto:

    complimenti per la sua analisi sempre attenta e discreta , frutto di tanto lavoro e professionalita’.

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