Petrolio, materie prime: analisi del bull market II
Nella prima parte di questa analisi abbiamo visto come il petrolio sia entrato, quasi di soppiatto nel 1999 e più tumultuosamente dal 2004, in un bull market paragonabile a quello degli anni ’70. L’ascesa delle quotazioni dai 10 dollari a barile di un decennio fa agli oltre 110 dollari di questi giorni (un nuovo massimo superiore, in termini reali, al precedente picco storico dell’aprile 1980) è solo in parte, come ho mostrato, un riflesso della crisi del dollaro. Ci sono, dunque, motivi più fondamentali. Quali?
Il più importante è connesso a una condizione di squilibrio tra domanda da un lato e offerta e capacità produttiva, dall’altro, che si protrae ormai da qualche anno.
Vediamola, riassunta in una serie di grafici. I primi due, tratti dall’ultimo Oil market report dell’International Energy Agency (IEA), ci mostrano i dati aggiornati a fine 2007 sulla domanda e offerta mondiale di petrolio, e le stime dell’IEA sulla domanda nel 2008.
Come si vede, la domanda di greggio è aumentata da 84,8 milioni di barili al giorno (mbd) nel 2006 a 86 milioni nel 2007. E’ prevista in accelerazione a 87,6 milioni nel 2008. Nel contempo, la produzione (supply) è aumentata solo di poco, da 85,4 milioni di barili a 85,6 milioni nel 2007.
Una conseguenza, messa in evidenza dal grafico seguente, è stata la riduzione delle scorte nei paesi sviluppati dell’OCSE (OECD), scese a fine 2007 (linea nera continua) fino a coprire meno di 51 giorni di consumi, il livello più basso dal 2004.
Dal lato della domanda, l’analisi del trend è presto fatta. A livello aggregato, i ritmi di crescita restano moderati e in linea, in sostanza, col tasso medio degli ultimi 25 anni (+1,6% annuo).
La composizione, nel tempo, è pero molto mutata. Il grosso degli aumenti – come evidenzia il grafico qui sotto – viene da due regioni, Asia (Cina in particolare) e Medio Oriente, dove i consumi sono poco sensibili all’andamento del prezzo della materia prima, dato che il costo dei derivati (benzina, gasolio, etc.) è fortemente sussidiato dallo stato.
Per il resto, la domanda si presenta stazionaria in America del Nord ed Europa per effetto non solo di una minore crescita economica ma soprattutto di una sempre maggiore efficienza energetica e di processi di sostituzione del petrolio con altre fonti nei settori diversi dal trasporto (dove invece i derivati del petrolio restano per ora insostituibili).
L’importanza della capacità produttiva non utilizzata
Dal lato dell’offerta, il discorso un po’ si complica. L’andamento della produzione, e la misura in cui riesce a far fronte agli aumenti di domanda, non è l’unico, e forse neanche il prevalente tra i fattori da considerare per capire come si forma il prezzo.
Più importante nel determinare le quotazioni del greggio è, probabilmente, l’evoluzione della capacità produttiva non utilizzata.
Per capire meglio questo punto, sentiamo la spiegazione che ne dà Leonardo Maugeri, direttore Strategie e Sviluppo di Eni, in un suo bel libro appena pubblicato, Con tutta l’energia possibile.
“La capacità produttiva non utilizzata deriva essenzialmente dal sottosfruttamento dei giacimenti. In caso di interruzione dell’offerta di uno o più paesi, può essere resa immediatamente disponibile, rappresentando pertanto un margine di sicurezza fondamentale per il mercato mondiale. Per questo, molti – e io tra questi – ritengono che l’entità di questa capacità sia il fattore che più influenza il prezzo del petrolio.”
Negli ultimi anni, come evidenzia il seguente grafico, tratto da un articolo del Fondo Monetario Internazionale (IMF) dello scorso novembre, gli aumenti della domanda (barre verdi) hanno in genere superato sia gli incrementi di produzione (barre azzurre per i paesi OPEC e arancione per i paesi non OPEC), sia gli aumenti di capacità produttiva dei paesi OPEC (barre viola).
Si sono così create tensioni non solo, come abbiamo già visto, per il ridursi delle scorte, ma, soprattutto, per la graduale erosione del margine di sicurezza costituito dalla capacità produttiva non utilizzata.
Lo si vede bene, per quel che riguarda i 12 paesi dell’OPEC, nel seguente grafico, tratto dall’ultimo Energy Outlook dell’Energy Information Administration (EIA) americana:
Già dal 2003 la capacità di riserva dell’OPEC è scesa sotto alla media decennale di 2,5 milioni di barili al giorno, e lì è rimasta. Un miglioramento, secondo le stime dell’EIA, è previsto solo a partire dal 2009.
Perchè l’OPEC è così determinante
Se le analisi si concentrano in genere sulla capacità produttiva non utilizzata dei paesi OPEC (e più in particolare dell’Arabia Saudita, che è il vero produttore di riserva a livello globale), è perché al di fuori del cartello tale capacità di riserva è poco significativa.
Come spiega Maugeri, anche se l’OPEC controlla solo poco più del 40% della produzione mondiale di petrolio, ed esistono, fuori dell’organizzazione, altri grandi produttori come Russia, Usa, Messico, Cina, Canada e Norvegia, la sua vera forza si è storicamente basata sulla capacità di esportare la maggior parte della propria produzione.
E’ l’OPEC, insomma, che è in grado di rifornire rapidamente i mercati mondiali in caso di crisi, oltre ad essere l’OPEC ad avere il controllo della gran parte delle riserve provate di petrolio (quasi il 65% si trova nei cinque paesi del Golfo Persico: Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Iran, mentre tra i paesi non OPEC solo la Russia ha riserve importanti).
Il prezzo del petrolio è dunque schizzato al rialzo, soprattutto dal 2004, in primo luogo perché erano venuti meno degli adeguati margini di sicurezza a garanzia della continuità degli approvvigionamenti.
Il ripetuto accendersi di focolai di tensione, di natura geopolitica, in paesi OPEC come Iraq, Iran, Nigeria e Venezuela, ovviamente, non ha fatto che acuire la percezione del rischio.
La componente speculativa del bull market
Da ultimo, e in modo sempre più prepotente, ai motivi fondamentali a sostegno del bull market del petrolio si sono aggiunti quelli speculativi.
A mano a mano che un numero crescente di operatori di mercato si è reso conto che le tensioni sui prezzi del greggio non erano di breve periodo, e ancor più da quando è venuta meno l’attrattiva dell’investimento azionario per la crisi sempre più acuta delle Borse, ingenti capitali si sono riversati sul mercato dei contratti a termine e a premio sul petrolio.
Al New York Mercantile Exchange (NYMEX), ad esempio, il numero di contratti future e di opzioni aperti (open interest) si è impennato in modo esponenziale, come evidenzia il grafico seguente, a cura del centro di ricerca Cambridge Energy Research Associates (CERA):
L’esplosione del trading in contratti derivati riflette, com’è evidente, non un aumento di domanda fisica di petrolio (che come abbiamo già visto si è discostata di poco dai moderati tassi di crescita dell’ultimo quarto di secolo), ma di domanda speculativa, che sempre più, negli ultimi tempi, ha contribuito a gonfiare i prezzi del greggio.
Consumi insostenibili e catastrofismo
Resta da chiedersi cosa abbia portato all’attuale stasi nella capacità produttiva, che è in definitiva la vera anomalia all’origine del bull market e anche il tratto che differenzia la crisi di oggi da quella degli anni ’70, quando il petrolio scarseggiò per un’azione politica di embargo e non perché mancavano i pozzi.
Come e quando si tornerà a una condizione di equilibrio e di stabilità? Oppure – interrogativo più drammatico – sarà mai possibile tornarci? Non è che l’oro nero comincia a scarseggiare?
Qualche risposta, a mio avviso convincente, può essere trovata nel libro, che già citavo, di Maugeri.
Il catastrofismo in merito alla disponibilità di greggio, scrive Maugeri, ha una lunga storia. Già nel 1919 la prestigiosa U.S. Geological Survey stimò che gli Stati Uniti avrebbero esaurito il proprio petrolio nel giro di appena nove anni. Un’altra ondata di predizioni apocalittiche si diffuse negli anni ’70. E oggi torna a farsi avanti.
E’ indubbio che il petrolio è una risorsa finita. E che lo stiamo dissennatamente sprecando per usi banali, approfittando di prezzi che, per gran parte della storia di questa eccezionale fonte energetica (senza uguali per flessibilità, duttilità, facilità di trasporto), sono stati troppo bassi.
Ancora oggi, ad esempio, l’americano medio consuma 26 barili di petrolio l’anno, rispetto ai 13 di un europeo o ai 2 di un cinese. Per fare cosa? Il 75% del consumo è concentrato nel settore dei trasporti.
Grazie ai bassi prezzi dei carburanti (per effetto di un’imposizione fiscale che non supera il 20% rispetto al 60% medio dell’Europa) il 60% degli automezzi venduti negli Usa sono SUV e Light Trucks, che divorano un litro di gasolio o di benzina ogni 4-5 chilometri. Si tratta di una tipologia di comportamento insostenibile? Non c’è dubbio.
Del petrolio, in futuro, dovremo dunque avere molta più cura. Però, per Maugeri, temere che il suo esaurimento sia imminente non è realistico.
Il petrolio c’è, lo si è solo cercato poco
Oggi ne consumiamo circa 30 miliardi di barili all’anno. Le riserve “provate”, secondo le più recenti stime della IEA, sono di circa 1.100 miliardi di barili e quelle recuperabili di 2.600 miliardi. A queste andrebbero aggiunti altri 1.000 miliardi di barili di cosiddetto petrolio non convenzionale (greggio ultrapesante, sabbie bituminose e scisti bituminosi).
Inoltre, va considerato che, secondo le definizioni internazionalmente accettate, si dicono “provate” le riserve che risultano commercialmente recuperabili in base ai prezzi e alle tecnologie esistenti al momento della previsione.
Le stime della IEA assumono un prezzo di 18 dollari al barile. E’ evidente che a prezzi superiori, e con tecnologie più evolute, le riserve provate aumentano, e di molto. E’ quanto si è continuamente ripetuto nel corso dell’ultimo secolo: le previsioni sulle riserve di greggio sono state sistematicamente riviste al rialzo.
In conclusione, per Maugeri di petrolio ne avremo ancora per tutto il XXI secolo e anche oltre.
Su un orizzonte temporale più limitato, la continua disponibilità di greggio è anche quanto ipotizza la IEA nel suo ultimo Energy Outlook, dove stima che da qui al 2030 la domanda globale di energia si ripartisca tra le varie fonti primarie così come risulta dal seguente grafico:
Il petrolio, dunque, dovrebbe mantenere la sua centralità ancora per decenni, con una conseguenza e a una condizione – nota la IEA.
La conseguenza è che il ruolo dell’OPEC diventerà sempre più fondamentale. La sua quota della produzione mondiale dovrebbe infatti passare dall’attuale 42% al 52% nel 2030.
La condizione è che l’OPEC, così come gli altri produttori, facciano i necessari investimenti – per un importo, da qui al 2030, che la IEA quantifica in 5.400 miliardi di dollari, concentrati soprattutto nell’esplorazione e produzione.
E qui si arriva al punto cruciale. Se la capacità, negli ultimi anni, non si è tenuta al passo con gli aumenti di domanda, non è perché è diventato all’improvviso difficile rimpiazzare i pozzi la cui produttività cominciava a declinare. E’ perché non si è investito abbastanza, soprattutto nei paesi dell’OPEC dove le riserve sono più abbondanti.
Qualche dato, citato da Maugeri nel suo libro, è davvero chiarificatore.
Il 70% della perforazione esplorativa resta oggi concentrato tra Stati Uniti e Canada, dove si trovano però meno del 3% delle riserve petrolifere mondiali. Solo il 3% dei pozzi esplorativi perforati nel periodo 1992-2002 era in Medio Oriente, dove è raccolto il 70% del petrolio mondiale.
E ancora, tra il 1995 e il 2004 sono stati realizzati negli Stati Uniti 15.700 pozzi esplorativi. Nel Golfo Persico ne sono stati perforati meno di 100. E le cose continuano ad andare persino peggio in Iraq, Iran e Venezuela e non molto meglio in Russia.
Ecco come Maugeri riassume la situazione:
“In realtà, la stragrande maggioranza dei paesi petroliferi ottiene greggio da giacimenti molto vecchi, scoperti nella prima metà del secolo scorso e da allora attivi. In molti casi, la loro industria è sostenuta da tecnologie e mezzi arretrati che risalgono a 50 o 60 anni fa.”
“Le grandi e piccole compagnie petrolifere occidentali possono relativamente poco di fronte a questa situazione. Esse controllano meno dell’8% delle riserve globali. Oltre il 90% di esse è appannaggio di paesi che ne precludono il controllo a soggetti stranieri e sono assai restii a svilupparle in proprio.”
Cosa è dunque accaduto?
Le paure dei paesi produttori
Dipendenti dal petrolio, in qualche modo prigionieri di una “monocultura” economica da cui non hanno sinora saputo liberarsi, i grandi paesi produttori sono stati ossessionati, nell’ultimo quarto di secolo, dal rischio della sovrapproduzione.
Hanno guardato con sospetto gli sforzi profusi dall’Occidente nello sviluppo di energie rinnovabili. Per due volte, prima nel 1986, poi di nuovo nel 1998-99, sono stati traumatizzati dal collasso del prezzo del greggio sotto i 10 dollari a barile.
Hanno reagito nazionalizzando le risorse, limitando gli investimenti, almeno fino in tempi recenti. Ne sono risultate depauperate anche le risorse umane: meno ingegneri minerari, geologi, tecnici di giacimento, esperti di impianti petroliferi.
Solo da quando i prezzi sono tornati a impennarsi, il ciclo degli investimenti petroliferi è di nuovo esploso.
Il problema, nel mercato dell’energia come in quelli di un po’ tutte le materie prime, è che ci vuole molto tempo perché i gap tra domanda e offerta vengano colmati. Un esempio? Il petrolio del Mare del Nord fu scoperto nel 1969. Ma solo nel 1977, otto anni dopo, cominciò a essere distribuito.
Come vedremo nella terza parte di questa analisi, i forti investimenti dei tempi recenti probabilmente non daranno risultati significativi prima del 2010, nella migliore delle ipotesi.
Le attuali tensioni sono destinate dunque a durare. Con quali effetti sulla crescita economica? E sull’inflazione? E con quali rischi e opportunità per gli investitori? Tenterò di dare qualche risposta in una terza parte di questo articolo.
Buongiorno Dott. Bertoncello.Le scrivo per esprimere il mio dissenso con quanto scritto nell’articolo, più precisamente dai ragionamenti del Dott. Maugeri (ENI)circa l’enorme disponibilità di petrolio a nostra disposizione.Personalmente sono molto vicino alle tesi di ASPO (Associazione studio picco petrolio e gas) che prevede il picco degli all-liquids entro il 2010 (il crude avrebbe già raggiunto il suo picco nel 2005). I motivi sono i seguenti:come si può non sottovalutare il fatto che già nel 1956 Hubbert predisse correttamente il picco USA nel 1970? Ebbe fortuna?Come mai sebbene la tecnologia estrattiva sia enormemente cresciuta (vedi perforazione occidentale)la produzione ne abbia giovato relativamente, o meglio abbia raggiunto ormai un apice? Perchè Maugeri (ENI) non chiede di investire più con gli enormi proventi ottenuti in questi anni? Perchè Exxon e Chevron stanno timidamente avanzando campagne di presa di coscienza sui consumi energetici? Perchè Jerome Van der Veer (Shell) scrive una letterina agli azionisti dicendo che dopo il 2015 ci saranno seri problemi?Perchè c’e un video in rete di Bush che intervistato dopo il suo viaggio in Arabia Saudita alla domanda: Presidente, ha chiesto ai Sauditi di aumentare la produzione? Risposta: come posso chiedere a qualcuno di fare qualcosa che non è in grado di fare?Perchè Maugeri nel suo studio fa riferimento a….gia nel 1919 l’U.S. Geological Survey…Ma io dico: un riferimento al 1919?!?!Boh.Cordiali saluti.
per chi volesse documentarsi valutando opinioni diverse:http://petrolio.blogosfere.it/http://www.aspoitalia.net/index.php
Marco,la ringrazio del suo commento.Vorrei dirle questo: lei è “molto vicino alle tesi di ASPO”. Io, invece, di mia natura tendo a non essere vicino alle tesi di nessuno.Cerco di fare, meglio che posso, il mio lavoro di informatore (badi bene, informatore e non esperto: non intendo certo spacciarmi per un esperto di questioni energetiche). Mi documento presso le fonti che ritengo più attendibili. Soppeso con la mia testa le informazioni che raccolgo. Se trovo contraddizioni, carenze, ambiguità, mi sforzo di verificare e approfondire. Alla fine riferisco quello che ho capito.Gli articoli che sto scrivendo sul petrolio e sulle materie prime (la storia non è finita) si sono attenuti a questa metodologia di lavoro. Se vuole, una metodologia critica, scientifica, applicata al mondo degli investimenti – che è ciò di cui si occupa il mio blog.Lei sembra avercela con Maugeri, che è forse visto come una “bestia nera” dall’ASPO. Ma le guerre di religione sul petrolio (come su qualsiasi altra questione) sono un’insensatezza, un’espressione di infantilismo intellettuale. Per me vale soltanto la qualità delle analisi. Il libro di Maugeri è un ottimo lavoro, e ne consiglio caldamente la lettura. Entrando nel merito delle sue argomentazioni, sarò sincero: mi sembrano inconsistenti.Il geofisico Hubbert predisse nel 1956 il picco di produzione americana nei primi anni ’70. Bene. Ma questo non ci dimostra nulla relativamente alle questioni attuali. Quello che è più interessante è come i suoi epigoni di oggi – come Colin Campbell – siano impegnati da una ventina d’anni a produrre previsioni catastrofiche che vengono poi continuamente smentite dai fatti e riviste. Per Campbell, il picco globale di produzione di petrolio doveva essere nel 1989, poi nel 1990, poi nel 1995, 1996, 2002…Ora ci risiamo. Come lei afferma con dogmatica convinzione, la produzione “ha ormai raggiunto un apice.”Ma le cose non stanno così. I dati più affidabili sulle riserve di petrolio sono quelli della International Energy Agency (IEA), che ho citato nel mio articolo.Il petrolio c’è ancora per molti decenni, anche se non è certo illimitato, e sarà disponibile a prezzi superiori a quelli del passato.La stasi produttiva degli ultimi anni non è una manifestazione del “peak oil” ma del semplice fatto che nel ventennio in cui i prezzi hanno oscillato tra 10 e 25 dollari a barile non si è investito. I neanche cento pozzi esplorativi scavati nel Golfo Persico tra il 1995 e il 2004 – di cui Maugeri parla e che io cito – ne sono una conferma evidente. E ancora peggio è andata in Iraq, Iran, Venezuela, e non molto meglio nelle ex repubbliche sovietiche. Come scrivo nel mio articolo, dove il petrolio è abbondante non lo si è cercato. I pozzi che continuiamo a usare sono vecchi di 50-60 anni.Da qualche anno, con i prezzi schizzati al rialzo, gli investimenti sono tornati abbondanti. E infatti IEA, EIA, o prestigiosi centri di ricerca indipendenti come il CERA prevedono che dal prossimo decennio la capacità produttiva torni a crescere a un ritmo più che sufficiente a soddisfare la domanda.Lei si (mi) chiede perchè figure di vertice di alcune compagnie petrolifere occidentali stanno lanciando allarmi. Penso che ciò abbia a che fare col fatto, che riferisco nel mio articolo, che le riserve di petrolio sono state sempre più nazionalizzate dai paesi produttori. Di questo passo, il futuro delle compagnie occidentali finirà per essere giocato sempre di più nelle fonti energetiche alternative al petrolio.Lei cita Bush. Non conosco il video. Non so se Bush si riferisca davvero a una “incapacità” da parte dell’Arabia Saudita. Se è così, potrebbe essere una tipica “gaffe” di Bush, riferita però alle capacità tecniche, non alla disponibilità di petrolio. Certamente, lo dice anche Maugeri, le capacità tecniche dei paesi produttori, compresa l’Arabia Saudita, non sono paragonabili a quelle delle grandi compagnie occidentali. E questo, già oggi, sta comportando ritardi nello sviluppo di nuovi pozzi.Un conto, dunque, è fare catastrofismo sulla fine imminente del petrolio, un conto è riconoscere che la transizione energetica in cui stiamo entrando sarà densa di problemi, tensioni, incognite.Confondere i problemi non aiuta. Il petrolio c’è. Ma una transizione oltre la dipendenza dal petrolio è inevitabile. Prima la affrontiamo meglio è. I problemi più urgenti sono di natura ambientale, tecnica, politica. La disponibilità di petrolio nel sottosuolo della terra, sfruttabile ai prezzi e con le tecnologie esistenti, non è la questione per ora all’ordine del giorno.Cordiali saluti, Giuseppe B.P.S.: il riferimento all’U.S Geological Survey e alla sua predizione del 1919 è un modo per far capire che le previsioni catastrofiche sono vecchie di un secolo. Quasi quanto la storia del petrolio. Si sono sbagliati in tanti.P.S. 2: A Riccardo che aggiunge gli indirizzi dell’ASPO e del blog Petrolio su Blogosfere, dico: sono a favore del confronto più aperto. Non mi piacciono però le battaglie ideologiche. Ieri ho scritto un breve commento al blog Petrolio. Non è stato pubblicato. Spero, naturalmente, che si sia trattato di una svista. Mi resta purtroppo il sospetto che il mio punto di vista sia stato ritenuto troppo “eterodosso” per meritare la pubblicazione.
Gentile dott. Bertoncello, Mi permetto di fare alcune osservazioni sulla sua interessantissima analisi:Per quanto riguarda gli scisti, sappiamo che hanno un EROEI estremamente basso, e quindi la stima andrebbe ridimensionata di parecchio.Senza contare l’impatto ambientale, che sarebbe devastante.Riguardo alle riserve provate, si assume implicitamente che sia possibile estrarre petrolio al ritmo di 86 milioni di barili/giorno per i prossimi 36 anni, dopodichè una bella mattina del 2044 qualcuno dovrebbe dire:”Gente! oggi ci facciamo gli ultimi 86 milioni di barili e da domani si va tutti a piedi.”Non è un po semplicistico?A parte che se da qui in poi ci limitassimo ad estrarre la stessa quantità di petrolio di oggi la *crescita* mondiale, ne potrebbe risentire…Poi bisogna considerare che se 30 anni fa bastava un calcio nella sabbia, oggi negli stessi pozzi bisogna sparare milioni di litri di acqua marina ad alta pressione per spremere ancora petrolio.Non è la stessa cosa, anzi io assumerei che i pozzi che si potevano trovare dando calci nella sabbia siano già stati trovati tutti e siano ampiamente sfruttati.Rimangono quelli sotto chilometri di roccia o di mare, o in posticini a -50 gradi.Non sarà facile spremere 86 milioni al giorno da pozzi simili e anzi, la teoria del picco postula che non sarà proprio possibile.Rimane da capire se effettivamente gli 86 milioni siano il limite o si potrà andare un po oltre, ma questa è una questione di lana caprina. Nessuno nega che ci siano ancora molti miliardi di barili seppelliti da qualche parte, però bisogna anche domandarsi in che modo saranno disponibili e con che prezzo energetico (EROEI), ed è inutile ricordarle che i limiti dovuti alla forza di gravità e ai principi della termodinamica non si possono superare semplicemente incrementando gli investimenti e migliorando le tecnologie.Dato che le stime e le informazioni disponibili sull’argomento sono spesso offuscate da interessi e pressioni enormi provenienti da vari soggetti, non è facile trarre una conclusione, e credo sia per questo che esistono organizzazioni scientifiche come ASPOsalutipablo
Dott Bertoncello la ringrazio per aver risposto al mio commento.Concordo con lei che fare del catastrofismo sia dannoso, ma penso ugualmente che sottovalutare il problema, non considerandolo all’ordine del giorno sia altrettanto deleterio.Il fatto che, i teorici di ASPO abbiano gridato al lupo più volte non significa che il lupo non sia alle porte (c’è tra l’altro un sito http://www.thewolfaftherthedoor.org ).Il fatto che Hubbert abbia scoperto il picco e che non ha rilevanza ai fini del picco……infatti siamo in Iraq per una missione di pace e se non ci sbrighiamo in Iran (atomica) non ci possiamo più mettere piede o mano sui pozzi e riserve. Ha rilevanza a fini di strategia economico-finanziaria-politica. E’ molto più facile prendere il petrolio in casa o nel vicino Messico! Se ci fosse!Maugeri sostiene (anche lei presumo) che i sauditi non posseggano la tecnologia necessaria per implementare e aumentare il rateo di produzione; ho i miei dubbi, l’Aramco è un gigante (molto di più delle piccole compagnie occidentali) che non penso abbia i piedi d’argilla.Diverso è il caso di pozzi di petrolio o gas da acque profonde. Quando i russi scoprirono il giacimento di Shtokman (gas) fecero salti di gioia; dopo un po’ si misero le mani nei capelli perché non sapevano come tirarlo fuori. Si rivolsero alla Total che alzò bandiera bianca. Finalmente i norvegesi della Hydro (specialisti con i loro giacimenti del Mare del Nord) promisero ai russi che dal 2015 forse qualche cosa si poteva riuscire a fare.Ma in Arabia Saudita lei pensa davvero che la perforazione orizzontale non sia già attuata? Davvero hanno l’anello al naso? Quanto ai pozzi cui fa riferimento Maugeri mi chiedo (Le chiedo) saranno in grado di coprire sia l’aumento di domanda da qui in avanti che la depletion dei vecchi (Messico con Cantarell e Mare del Nord?).Dei dati di IEA, EIA e CERA (quest’ultimo proprio indipendente non mi risulta chiedo lumi a lei, mi sembra che ci siano esponenti della Exxon ma posso sbagliarmi) io prendo solo i dati relativi al consumo e alla produzione.I dati sulle riserve non li considero (sono P100, P50, P10?), ognuno fa come gli pare.Io spero CALDAMENTE che Maugeri abbia ragione, non sono un tifoso, né catastrofista io voglio solo capire da profano (sono un Ing. Aeronautico) e qui lei mi può aiutare perché non sono un economista. Non ho infatti capito (senza ironia mi creda!) se è vero, ma indipendentemente che lo sia o meno, la parte economica di Matt Savinar http://www.thelifeaftertheoilcrash.com che le riporto:If Chevron Corp. keeps buying back its stock at the current rate, the company will have liquidated all its shares by about 2023. Exxon Mobil is buying back about $30 billion of its shares each year. If that continues, Exxon will have repurchased all its stock by about 2024. By 2011 or so, these companies, including Royal Dutch Shell Plc and BP Plc in the U.K., France’s Total SA and Conoco Phillips in the U.S., will no longer be able to increase their production . . .By 2014, their output will begin a long decline, says Maxwell, who has been involved in the industry for 50 years, mostly as an analyst. “They’ll be in liquidation,'” he saysCioè soprattutto il primo capoverso. Il resto è chiaro.Un ultima considerazione: petrolio ce ne è. Il problema è per quanto starà al passo con la domanda?Per quanto riguarda l’aeronautica mi creda (boutade di Branson a parte con il biofuel ed EROEI bassissimi) sarà molto difficile introdurre nei serbatoi un combustibile diverso da quello fossile. Per il resto, un petrolio che c’è ma che pochi sono in grado di permettersi (mio figlio che ha tre anni potrà permetterselo?) è come se non esistesse a mio modo di vedere.E di ieri la notizia ANSA che Delta Airlines (non l’Alitalia!) prevede di licenziare 2000 persone per fare fronte al caro petrolioDott. Bertoncello la ringrazio e le auguro Buona Pasqua a Lei e Famiglia.
Pablo e Marco,vi ringrazio dei commenti. Cercherò di rispondere, in breve, ad alcuni dei punti che sollevate.a) una premessa di metodo: da parte di persone con una formazione scientifica, mi aspetterei una lettura più attenta e meno distorta di quanto ho scritto nel mio articolo. Passando ora nel merito:b) sulla questione delle riserve “provate”: Pablo, perchè mi critica per i calcoli semplicistici? Nè io, nè Maugeri che cito, li facciamo. Li fa solo lei. Perchè ignora la definizione, che io riporto, di riserve “provate”? L’ultima stima della IEA sulle riserve “provate” è stata fatta assumendo un prezzo di 18 dollari al barile. A prezzi più alti, e con tecnologie più evolute, le riserve “provate” aumentano. A 110 dollari al barile, la quantità di petrolio che diventa economico estrarre è enormemente superiore a quella che è economico estrarre a 18 dollari. Elementare, no? Perchè non ne tiene conto?c) Non sarà facile estrarre più petrolio? Non sarà facile. Sta di fatto – e qui cito di nuovo Maugeri – che la produzione di greggio nel 2000 è stata del 25% superiore a quella del 1985 (che doveva segnare il picco secondo le previsioni del Club di Roma). E le tecnologie sono costantemente migliorate, tanto che se il tasso di recupero medio (la percentuale di greggio che si riesce a recuperare dai pozzi) era inferiore al 15% a metà del secolo scorso e superava di poco il 20% nel 1980, è oggi del 35%. E ancora, solo il 30% dei bacini sedimentari che si stima esistano nel sottosuolo è stato esplorato in modo adeguato.c) sulla teoria del picco e i catastrofisti: quello che io scrivo nell’articolo e nella mia prima risposta ai commenti vuol solo far capire che per quasi 100 anni, ormai, si sono fatte previsioni catastrofiche sulla disponibilità di petrolio. Si sono dimostrate sbagliate. La tendenza è sempre stata a sottostimare le riserve di petrolio esistenti nel pianeta. Da ciò traggo forse la conclusione che ci sarà sempre più petrolio di quanto pensiamo? No. Semplicemente vorrei che anche i catastrofisti facessero uso delle loro facoltà critiche e si chiedessero perchè da così tanti anni continuano a sbagliare. Penso che il dibattito energetico, e la maturazione di una migliore consapevolezza collettiva delle sfide che ci stanno davanti si debbano nutrire di molti contributi, anche umanamente appassionati, ma sempre critici, razionali, empiricamente fondati. L’ideologismo è deleterio. d) Il petrolio c’è, tutto va bene? No, non è questa la mia posizione, come un lettore non prevenuto dovrebbe essere in grado facilmente di capire. Io parlo di transizione inevitabile, di impegno nella conservazione di una risorsa preziosa e scarsa. Dire che di petrolio ce ne potrebbe essere per tutto questo secolo non è un incoraggiamento allo spreco o alla spensieratezza. Un secolo è un soffio nella storia dell’umanità. E’ evidente che abbiamo di fronte una transizione complicata. Ma il tempo per cercare di far evolvere l’umanità -senza catastrofi – verso l’utilizzo primario di fonti rinnovabili c’è. Dire che non c’è non è corretto – almeno in base alle informazioni che io sono riuscito a raccogliere e alle idee che mi sono fatto – e di certo non ci aiuta.e) Aggiungo che il problema psicologico e politico del catastrofismo è che genera paura più che consapevolezza, e quando la paura passa, la tendenza è a tornare ai comportamenti dissennati del passato, anche con maggiore abbandono di prima. Accadde così negli anni ’70. Ci fu allora il boom degli investimenti nelle energie alternative, che furono poi in gran parte abbandonati. Dalla metà degli anni ’80 il petrolio tornò abbondante e a buon prezzo, i catastrofisti furono derisi e dimenticati, ma anche gli sforzi razionali verso un superamento della dipendenza dal petrolio furono in larga parte messi da parte. Questo oggi non si deve ripetere. Non ce lo possiamo permettere.f) Sulle compagnie occidentali e quelle dei paesi produttori: ho già scritto che la tendenza di questi anni è stata verso la nazionalizzazione delle riserve. Escluse dai progetti più redditizi, le compagnie occidentali hanno trovato più conveniente riacquistare le proprie azioni anzichè investire in esplorazione e produzione. Marco, non penso che i sauditi abbiano l’anello al naso nè penso che l’Aramco non abbia le capacità per aumentare il rateo di produzione. Non so cosa la induca a reagire così a quanto ho scritto. Io ho solo citato dati che dimostrano come nel Golfo Persico, dove ci sono i due terzi delle riserve provate, si è fatta, tra la metà degli anni ’90 e la metà di questo decennio, pochissima esplorazione. Negli ultimissimi anni le cose sono cambiate. Come ho già scritto, con gli alti prezzi l’incentivo a investire è tornato forte. E gli investimenti sono ridiventati cospicui e stanno portando risultati. Tanto che, come dimostra ad esempio il grafico dell’EIA che io riporto nel mio articolo, si stima che la capacità produttiva di riserva dell’OPEC torni ad aumentare in modo cospicuo già dal 2009, superando i 4 milioni di barili al giorno rispetto ai meno di 2 milioni attuali. Maugeri (ma anche il CERA) su questo è però più prudente dell’EIA. La tendenza dei paesi OPEC è stata ad accumulare ritardi nello sviluppo dei progetti. Pagano dazio sia per una relativa arretratezza rispetto alle grandi compagnie occidentali sia per la scarsità di investimenti in capacità tecniche e in risorse umane del recente passato (mancano gli ingegneri e i geologi prima ancora dei pozzi esplorativi).g)i nostri figli si potranno permettere il petrolio? (Marco, anch’io ho figli, due di 7 e 5 anni). C’è un settore in cui il petrolio resterà ancora per diverso tempo insostituibile, ed è quello del trasporto. In questo campo le possibilità di risparmio sono però enormi. Già oggi tra il circolare con un SUV o con un’auto ibrida c’è una differenza abissale. E’ evidente che possiamo e dobbiamo fare molto di più. E che disincentivi fiscali all’uso più sconsiderato dei carburanti di origine fossile sarebbero facili da implementare. Per quanto io sia dell’avviso che si è fatto molto meno di quanto si doveva (in particolare negli Usa), dovremmo trarre incoraggiamento dall’osservare quanto le nostre economie siano diventate più efficienti sotto il profilo energetico. A prezzi costanti e in termini reali, a livello globale, ci volevano 0,89 barili di petrolio per produrre 1.000 dollari di PIL nel 1980. Oggi, di barili, ne bastano 0,63. Se limitiamo il confronto ai paesi più ricchi, oggi occorre meno della metà dell’energia che impiegavamo negli anni ’70 per produrre la stessa quantità di PIL. Si può e si deve fare molto di più.Cordiali saluti e i migliori auguri di Buona Pasqua a voi,Giuseppe B.
Dott Bertoncello,mi spiace di averla delusa, ma anche da lei mi sarei aspettato che rispondesse ai punti più salienti e più interessanti della mia precedente lettera (CERA è realmente indipendente? Cosa risponde un economista alle affermazioni di Matt Savinar?)Vede, la poca conoscenza che ho dell’argomento picco sì, o picco no non proviene solo da ASPO, bensì da affermazioni di banche, economisti (Simmons), politici (Dick Cheney, il governo svedese, etc..), geologi che con ASPO non hanno nulla a che fare.A parte Maugeri l’unico che lei cita, mi può gentilmente indicare alcuni riferimenti da cui possa attingere informazioni?Spero non sia il solo. Possibilmente non alle dipendenze di qualche compagnia petrolifera. GrazieEntro adesso nel merito della sua lettera cercando di non distorcere il suo pensiero.Al para b) rispondendo a Pablo lei afferma correttamente che le riserve provate a 110 dollari al barile aumenterebbero in quanto la quantità di petrolio economico aumenterebbe. Benissimo.Quindi se ho capito bene, ci auguriamo un petrolio a 200 dollari al barile per aumentare le riserve, aumentandone la quantità economica da estrarre? Sul recupero medio la informo che per certi pozzi si arriva anche un fattore di recupero del 40%.Sul 30% dei bacini sedimentari non ancora esplorati mi auguro, ci auguriamo tutti che sia effettivamente così.Sull’ideologismo cui fa riferimento al para c, secondo lei non è equiparabile agli interessi di un esponente di una compagnia che ha tutto l’interesse (comprensibile) a fare soldi di più e il più a lungo possibile?Al para d lei dice che tempo per cercare di fare evolvere l’umanità senza catastrofi (è una parola che lei usa frequentemente, quasi quanto ASPO!) c’è. Io dico di no almeno in base alle mie informazioni che sono riuscito a raccogliere e alle idee che io mi sono fatto. (non raccoglie solo lei le informazioni!).Lei parla sempre di OPEC (45% del totale); ma degli altri che cosa mi dice? Non mi sembra che quell’area sia militarmente/ politicamente tranquilla tale da perforare allegramente indisturbatiAl para g lei dice che il petrolio resterà insostituibile per diverso tempo.. Lei sa che il solo settore aereo genera il 9% di PIL negli USA? Per il cibo lei che idea si è fatto? I pesticidi, fertilizzanti, gli agro-chimici necessari in agricoltura da dove arrivano? I medicinali? L’acciaio? L?alluminio per costruire le auto ibride? Quanto petrolio in più ci vuole per costruire un’auto ibrida?Lei sa meglio di me che più il contenuto tecnologico è alto più energia occorre per produrlo.Che mi dice del paradosso di Jevon di cui è a conoscenza? Se all’utente consegno un oggetto che consuma di meno lo userà di più.Piccolo esempio: ho molti colleghi che usano l’ADSL flat: lasciano il computer acceso 24 ore al giorno per n giorni a scaricare. E i consumi?E poi….. I cereali per sfamare tra l’altro i bovini di cui ci nutriamo? Pare che ci vogliano 6 barili di petrolio per immettere un bovino nel mercato.Per ogni caloria che noi introduciamo ne occorrono 10 di combustibile fossile per produrla. Da dove può arrivare il risparmio in questo campo? Da un riduzione della popolazione mondiale? Dove è secondo lei la transizione in questo settore?Tutto il settore plastico: come la mettiamo? Non aggiungo altro L’efficienza sul PIL cui fa riferimento sarebbe ancora più straordinaria se il PIL del 1980 in termini assoluti non fosse cresciuto.Quando dice che si può fare di più lei intende aumentare l’efficienza o diminuire il PIL in termini assoluti? Questa efficienza raggiungerà un asintoto?Oggi abbiamo macchine più efficienti…..Non è sufficiente. L’efficienza è divorata dalla quantità di macchine in circolazione.Ci vogliono 180 tonnellate di combustibile per fare decollare un 747. Poco più per un A380. Faccia le opportune moltiplicazioni Dott. Bertoncello. Cordiali Saluti.Marco Sagnotti
Marco,non se la prenda a livello personale. Lei non mi ha deluso. Anzi, la ringrazio per i contributi che dà al blog.Ho solo espresso il desiderio che il dibattito sia libero da pregiudizi, da tesi preconfezionate e sostenute in modo ideologico, dal ricorso alla deformazione polemica delle opinioni diverse.Questo blog è libero, come lo sono io. Non ho tesi da affermare a ogni costo. Sono una persona curiosa, che cerca di capire, e che di professione si sforza poi di informare nel modo più corretto e utile possibile. Posso sbagliare, come tutti. Ma a livello di metodo, faccio il possibile per restare vigile contro i rischi del dogmatismo, dell’ideologia, contro quella “volontà di potenza” che cova dentro ciascuno di noi e ci porta facilmente a fare un uso strumentale e capzioso delle nostre “ragioni”.Ora, alcune risposte nel merito.a) Lei ritiene salienti i suoi quesiti sul CERA e su Savinar. Io, molto meno. Non ne vedo la rilevanza. Ma non ho problemi a rispondere alle sue sollecitazioni. Il CERA, per me, è indipendente. E’ uno dei centri di ricerca più citati e di maggiore prestigio. Il suo fondatore, Daniel Yergin, è autore di testi famosi, è una delle personalità che godono di maggiore autorevolezza nel campo dell’energia. Quanto a Savinar, e alle sue osservazioni sui buyback delle grandi oil companies, che le stanno tanto a cuore, le ho già risposto. Hanno usato i loro capitali nel modo che ritenevano più redditizio, nell’interesse degli azionisti. Posso aggiungere che presumere che i buyback continuino indefinitamente al ritmo del recente passato è un’ipotesi come le altre, probabilmente un po’ più sciocca di altre.b) Nel mio articolo non cito solo Maugeri. Cito la IEA, l’EIA, il FMI, il CERA…Se cito Maugeri più di altri è perchè il suo libro è quello che mi ha più soddisfatto, offre una sintesi di alta qualità, è appena stato pubblicato ed è dunque più aggiornato di tanti altri lavori. Se lo giudico ottimo, è anche perchè è un lavoro di divulgazione scientifica (Maugeri si è formato al MIT e vi resta legato), che io ho trovato privo di quell'”ideologismo” che lei invece attribuisce, a priori, all’esponente di una compagnia petrolifera. Spero capisca che di ideologico, in questo caso, c’è solo il suo giudizio aprioristico. Io ho letto e valutato. Il libro di Maugeri è un lavoro che a ogni passo soppesa i pro e i contro, motiva, manifesta dubbi anzichè celarli. Lo legga prima di censurarlo. Vi troverà anche, visto che me li chiede, tantissimi “riferimenti da cui attingere informazioni”. Dopodichè, mi permetta di dirle che dal direttore Strategie e Sviluppo (incarico che Maugeri ricopre all’Eni) una grande multinazionale si aspetta qualità di analisi, lucida visione, non “ideologismi.” Maugeri, all’Eni, deve prospettare scenari per i prossimi decenni da cui dipende il destino della compagnia. Devono proporsi di essere il più possibile corretti. La conclusione che Maugeri raggiunge nel suo libro – pur tra tante incognite – non è, come lei forse suppone, che il futuro sta nel petrolio. Il futuro, per Maugeri, sta nel solare.c) Di nuovo sulle riserve provate. Io non mi auguro un petrolio a 200 dollari. Lei estremizza indulgendo nella polemica. Ma che c’entra? Io mi auguro, questo sì, che il petrolio non torni a prezzi troppo bassi, ai 10 o 20 dollari del recente passato, perchè questa sarebbe una disgrazia. Ci priverebbe degli incentivi al cambiamento. Per il resto, torno a dire semplicemente che le stime più recenti, che io citavo, sono basate su un petrolio a 18 dollari, un prezzo molto basso. A prezzi maggiori, le riserve sfruttabili aumentano. Quante volte lo devo ripetere? E’ un punto che serve solo a sostenere che abbiamo un po’ di tempo in più per la transizione, e che l’argomento polemico che Pablo usava nel suo commento (là dove mi accusava di semplicismi) è solo un artificio retorico. d) Io parlo di OPEC perchè l’OPEC già oggi ha buona parte della capacità produttiva inutilizzata. E in prospettiva diventerà, probabilmente, sempre più importante. Il mio articolo, dopo tutto, è un’analisi del petrolio rivolta agli investitori. Si interroga sui motivi dei rialzi di prezzo e le prospettive. Non è un saggio sull’energia o sulla tesi del peak oil. Dopodichè, nessuno ha la sfera di cristallo. Tutto può succedere. In passato, per assicurare gli approvvigionamenti di energia, gli stati hanno spesso fatto ricorso alla guerra. Spero, ovviamente, che il futuro sia diverso. Ma la storia dell’umanità non mi lascia tranquillo. L’OPEC si può sfasciare. Possiamo essere spazzati via da una catastrofe ambientale. La transizione al solare, per qualche colpo di genio e di fortuna, può accadere più rapidamente di quanto non riusciamo oggi a immaginare. Chi lo sa? Immaginare scenari è un esercizio probabilistico, in cui, come sappiamo, finiamo spesso per sbagliare perchè le nostre capacità di analisi sono limitate, i dati in nostro possesso sono troppo carenti, e il futuro – in ultima istanza – è imprevedibile. Che le dico degli altri? Che il peak oil è già una realtà, o sta per diventare una realtà, in aree estrattive che nella storia del petrolio sono state importanti, come gli Usa, il Mare del Nord, il Messico. Ma questo non equivale a dire che il greggio, nel prossimo futuro, sia destinato a scarseggiare. e) Lei mi cita i mille usi del petrolio. Infatti, il petrolio è una fonte di energia che non ha eguali per flessibilità, duttilità, facilità di trasporto, come ricordo nel mio articolo. Abbiamo finito, per questo, per usarlo in molti modi. Resta il fatto che negli Usa, di gran lunga il primo consumatore al mondo, il 75% del petrolio è usato – più spesso sprecato – nel settore dei trasporti, dove sarebbe facile implementare enormi guadagni di efficienza. Lei si (mi) chiede: questa efficienza raggiungerà un asintoto? Le rispondo: lasci perdere. Ne siamo così lontani! Torno a osservare: il 60% delle auto vendute negli Usa sono SUV e Light Trucks, dei mostri di inefficienza! C’è dunque molto da fare per migliorare l’uso efficiente delle risorse fossili, ridurre il loro devastante impatto ambientale, guadagnare altro tempo utile per sviluppare tecnologie più evolute che ci consentano di transitare – senza cataclismi – verso una civiltà basata sull’uso delle energie rinnovabili.Cordiali saluti,Giuseppe B.
Gentile Dott. Bertoncello, mi spiace che abbia colto un intenzione polemica nel mio commento. Chiedo venia, non era questo il mio scopo.Non ho tenuto conto dei famosi 18$ perchè io ponevo il problema dal punto di vista del costo energetico, che ai giorni nostri è molto più alto che in passato, nonostante tutte le migliorie tecnologiche, e la tendenza al rialzo in questo caso è costante e inesorabile.Quante riserve si possono stimare con EROEI 100? (un barile per estrarne 100)Oggi probabilmente poche.Le cose cambiano se siamo disposti a sacrificare 10, o 20 barili per ottenerne 100.E così viaEstremizzando il concetto, non esiste prezzo abbastanza elevato da rendere conveniente l’estrazione di con EROEI pari o inferiore a 1, quindi l’equazione prezzo più alto -> maggiori riserve per me ha una validità limitata.E chiudo qui, sperando di aver chiarito il mio pensiero.Le auguro una buona Pasqua
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Notebook, thank you for your comment and best of luck for your new blog. I didn’t expect to find readers in Brasil, but blogging is fun also because you never quite know where it leads…Pablo, la sua ultima chiarificazione è senz’altro accettabile. Non c’è dubbio che più si procede nell’uso di una risorsa finita come il petrolio, più il costo energetico del suo sfruttamento aumenta. Il prezzo incide dunque sulla quantità delle riserve provate. Ma in modo limitato.Mi permetta di notare che, così dicendo, siamo arrivati a mettere in chiaro quella che, fin dall’inizio, a me sembrava evidentemente la differenza di fondo tra la mia posizione e quella sua o anche di Marco – insomma di due voci, se capisco bene, vicine all’ASPO e ai sostenitori del “peak oil”.Per me, ciò che ha “validità limitata” ha, appunto, validità limitata. Ne tengo dunque conto.Per voi – mi pare – ciò che ha validità limitata è, spingendo il ragionamento al limite, o, come lei dice, “estremizzando il concetto”, privo di “vero” significato. E dunque tendete a non tenerne conto.Voi siete, letteralmente, degli “estremisti”, portati a pensare che la “verità” si raggiunga “estremizzando” i concetti. Io non lo sono. Tendo ad accettare il fatto che la nostra conoscenza è finita e i nostri ragionamenti limitati. La differenza, mi sembra, sta tutta qua.Cordiali saluti,Giuseppe B.
Dott Bertoncello le scrivo solo in quanto chiamato in causa come estremista.Mi spiace che una persona debba etichettare in modo così violento (estremo) il pensiero altrui. E’ dettato forse da insicurezza nell’argomentare?Comunque l’umiltà non è la sua caratteristica migliore (“Voi siete, letteralmente, degli “estremisti”, portati a pensare che la “verità” si raggiunga “estremizzando” i concetti. Io non lo sono.”).Come le ripeto, ASPO non è l’unica associazione che teorizza il peak oil ma questo lei lo sa bene. Forse c’è qualche timore in lei che l’argomento possa diventare all’ordine del giorno a differenza di quanto da lei sostenuto in precedenza?Comunque per ASPO l’appuntamento con la sua verità è tra tre anni.Vedremo.Cordiali saluti dall'”estremista”