Investire e speculare, qual è la differenza?
La differenza tra investire e speculare risulta in genere alquanto confusa. Ma chi riesce in qualche modo a elaborarla tende ad associarla al concetto di rischio. L’investitore sarebbe così un tipo razionale che presta attenzione a minimizzare le perdite, lo speculatore un tipo avventuroso e spesso spregiudicato che non si cura dei rischi pur di inseguire la prospettiva di grandi arricchimenti. Espressa in questi termini, la distinzione mantiene quella certa vaghezza che possono avere le definizioni di un dizionario della lingua italiana. Sarà utile cercare di andare più a fondo.
Investimento e speculazione secondo Bogle
Una delle più illuminanti trattazioni di questa questione fu svolta da John Bogle, il celebre fondatore del gruppo Vanguard, in un discorso del 2002 agli studenti dell’Università del Missouri, ripreso poi anche da Pat Dorsey, il responsabile della ricerca azionaria di Morningstar, nel suo splendido libro The Five Rules for Successful Stock Investing.
A Bogle e Dorsey vorrei dunque ispirarmi, partendo da un grafico che corredava la lezione di Bogle del 2002. Eccolo:
Come si vede, il grafico analizza i rendimenti dell’indice S&P 500, decennio per decennio, nell’arco del secolo scorso, scomponendoli in tre parti: crescita dei dividendi, crescita degli utili (earnings), variazione del multiplo P/E.
Le prime due hanno a che fare con l’andamento dell’economia e dell’attività d’impresa, e sono definite da Bogle, in aggregato, come rendimento dell’investimento (investment return). La terza riflette invece la psicologia del mercato ed è chiamata rendimento speculativo (speculative return).
Come Bogle mette in chiaro, la distinzione tra enterprise (impresa) e speculation (speculazione) in qualità di fattori che determinano i rendimenti del mercato azionario non è una sua idea originale. Risale a John Maynard Keynes e al suo classico del 1936, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta.
L’applicazione che Bogle dà del principio di Keynes ci consente di percepire una serie di differenze importanti tra la componente economica e quella speculativa del rendimento del mercato.
Crescita costante e regressione verso la media
Il grafico evidenzia come il ritorno medio annuo dell’S&P 500, nel XX secolo, sia stato del 10,4%.
Il risultato è stato quasi per intero determinato da dividendi (5,0%) e utili (4,8%), la cui tendenza alla crescita si è rivelata continua e relativamente costante, con l’unica eccezione del prolungato e drammatico crollo dei profitti in occasione della Grande Depressione degli anni ‘30.
Se si escludono gli anni ’30, non c’è stato decennio in cui dividendi e utili (investment return) abbiano dato un ritorno medio annuo inferiore al 6%. Da un decennio all’altro, le differenze sono state contenute, con un gap inferiore agli 8 punti percentuali.
Al contrario, il rapporto prezzo/utili ha mostrato una grande variabilità da un decennio all’altro, ma nel complesso ha finito per dare un contributo insignificante. Nell’arco di un secolo, cioè, è rimasto sostanzialmente immutato, evidenziando una tendenza non alla crescita (come nel caso dei dividendi e degli utili) ma alla regressione verso la media.
Decenni di espansione del multiplo P/E sono stati dunque seguiti da decenni di contrazione. E viceversa.
L’unica eccezione appare al momento essere quella degli ultimi due decenni: all’espansione di 7,7 punti percentuali degli anni ’80 ha fatto seguito quella ulteriore di 7,2 punti negli anni ’90. Sappiamo come l’esito sia stata la più grande bolla azionaria della storia, che è iniziata a scoppiare proprio nell’anno 2000.
L’esperienza storica e l’evoluzione dei mercati in questi ultimi anni inducono a pensare che il processo di regressione dei P/E verso il loro livello medio non abbia smesso di funzionare.
All’eccezionale espansione dell’ultimo ventennio del secolo (lo straordinario bull market del 1982-2000) dovrà fare seguito un’altrettanto eccezionale contrazione dei multipli di mercato in questo decennio e – probabilmente – anche nel prossimo.
La conclusione di Bogle è che, nel lungo periodo, sono le componenti economiche (dividendi e utili) a determinare i risultati dell’investimento azionario. Le emozioni, cruciali nel dettare le oscillazioni dei P/E e i rendimenti speculativi del mercato, sono tanto dominanti nel breve periodo quanto ininfluenti nel lungo.
Analisi dei fondamentali e dabbenaggine
Siamo ora pronti a ricavare da questa lezione un’utile definizione di cosa distingua un investitore da uno speculatore.
Il primo – come nota Dorsey – punta a massimizzare, attraverso l’analisi dei fondamentali economici e finanziari, l’investment return, e cioè il rendimento che può ricavare nel tempo dalla crescita dei dividendi e degli utili.
Contemporaneamente, al fine di minimizzare il rischio speculativo e massimizzare il suo rendimento totale, l’investitore presta grande attenzione ai multipli di un titolo e del mercato in modo da acquistare solo quando il prezzo è a sconto rispetto a una stima ragionevole del loro valore.
Lo speculatore, invece, è indifferente tanto al valore che all’analisi del rendimento dell’investimento (investment return). L’unica cosa che gli interessa è che ci sia qualcun altro disposto a pagare più di lui per lo stesso titolo.
Come scrive Dorsey, “il ritorno che gli investitori ottengono dai loro asset dipende in larga misura dall’accuratezza delle loro analisi, mentre il ritorno di uno speculatore dipende dalla dabbenaggine altrui.”
guardare prima di toccare: un po come al mercato della frutta e verdura.Un’occhiata ai bilanci ed alle attese future (che in quanto tali non sono elevabili ad assioma ma averne anche una vaga cognizione non guasta) è sempre meglio darla.La speculazione per quanto può dare ti può anche togliere; va a culo o sfiga ed è da incoscienti buttarsi su un titolo senza nemmeno conoscerlo; è quasi come giocare al rosso o al nero al Casinò.SalutiBel blogé da tempo che volevo lasciare un commento ma mi sembrava di aggiungere delle stupidagini visto che i suoi post sono sempre esaurienti.Ri Saluti
Zener,<br/><br/>è come dice lei. La speculazione dà e toglie, come al Casinò. Più di frequente, toglie, perchè gli speculatori (soprattutto i piccoli e meno esperti) tendono a sovrastimare le loro abilità in questo gioco. <br/><br/>I risultati sono quelli che sappiamo: in aggregato, gli investimenti degli italiani rendono una miseria.<br/><br/>L’investitore, invece, impara a sfruttare la tendenza dei mercati azionari ad apprezzarsi nel tempo, in parallelo con la crescita dell’economia. Sa essere paziente. Sa essere indifferente alle perturbazioni di breve periodo. Impara a stimare il valore delle sue azioni.<br/><br/>Zener, non abbia timore a lasciare dei commenti. Arricchiscono il blog. E mi sono molto d’aiuto a capire cosa e come è più utile che io scriva.<br/><br/>Cordiali saluti,<br/><br/>Giuseppe B.
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