L’Italia crepuscolare dei partiti pret-à-porter
Italia nella “poltiglia”, come scrive il Censis? O Italia “depressa” come racconta il New York Times? Per la verità c’è un’Italia che resta, almeno in apparenza, vitale e dinamica, capace di attrarre (o forse, più spesso, carpire) cospicui investimenti e fucina di nuove iniziative: penso, naturalmente, all’industria dei partiti politici. Denunciati come “intoccabili” nel libro la Casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, sbeffeggiati come “abusivi” nel V-day di Beppe Grillo, i partiti si sono messi lestamente al lavoro.
Passata, a fine settembre, la settimana della moda milanese, sono stati loro a salire sulla catwalk e a dare il via a una serie di mirabili, e ben propagandate, sfilate (nella foto).
La prossima stagione non vestiremo più Democratici di Sinistra o Margherita, Forza Italia o Alleanza Nazionale, Verdi o Comunisti, in versione italiana o rifondata, UDC, Udeur o altre mise democristiane. No, dalle sfilate abbiamo appreso che questi partiti sono out.
Il 2008 sarà l’anno dei Democratici e del Popolo della Libertà, di Alleanza per l’Italia e di Sinistra l’Arcobaleno, senza tralasciare l’intrigante gioco di evanescenze e trasparenze della Cosa Bianca.
La moda, si sa, è fatta di linguaggi seducenti e altisonanti. Nella sua vacua volubilità si ammanta di simbolici riferimenti all’universale e al necessario.
Come scriveva Georg Simmel in un classico e raffinato saggio del 1895, “la moda è contemporaneamente essere e non essere”.
Da un lato, se il suo potere sulle coscienze è così vasto è perché si sono indebolite “le convinzioni grandi, tenaci, incontestabili” mentre uno spazio sempre più grande è occupato dagli “elementi effimeri e mutevoli della vita.”
Dall’altro, facendo leva sugli impulsi universali all’eguaglianza e all’individualità, “la moda innalza l’insignificante facendone il rappresentante di una collettività, l’incarnazione particolare di uno spirito collettivo.”
Ogni singola moda finisce così per avere “la mirabile proprietà di presentarsi come se volesse vivere in eterno.”
E così è anche per i partiti pret-à-porter. Ascoltiamoli: i messaggi dalla catwalk quasi evocano il trascendente.
Scrive, ad esempio, il comitato dei saggi nel manifesto per il Partito Democratico:
“Con la trasformazione dell’Ulivo in un partito superiamo definitivamente la prima lunga stagione della vita repubblicana e creiamo un soggetto destinato a segnare il profilo della politica italiana ed europea nel secolo che è appena iniziato. Abbattiamo definitivamente i muri ideologici del novecento e cominciamo a costruire ponti, tra culture politiche e settori della società italiana, tra i generi e le generazioni.”
E Forza Italia, nel suo “supergazebo online” per raccogliere adesioni “Verso il nuovo partito”, scrive così:
“La nostra è una svolta epocale, quasi una rivoluzione… Vogliamo rovesciare quella che noi consideriamo la piramide del potere con al vertice i responsabili, i proprietari, i leader dei partiti. […] Al vertice ci sono i cittadini e c’è la gente, il popolo della libertà e dalle decisioni di questo popolo verranno fuori i rappresentanti, i leader di questa nuova iniziativa.”
La “Carta d’intenti” costitutiva di Sinistra L’Arcobaleno parla invece di un “nuovo soggetto unitario, plurale, federativo” che punta alla costruzione di una “sinistra politica rinnovata”, una sorta di divinità trinitaria, solo che qui le entità “unitarie” sono addirittura quattro: Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Democratica e Verdi.Un soggetto uno e quattrino, dunque, un mistero per credenti e non credenti, che nell’Italia del 2008 verrà ad affermare i principi di “uguaglianza, giustizia, libertà”, ma anche “pace, dialogo di civiltà, valore del lavoro e del sapere, centralità dell’ambiente” e ancora “laicità dello stato” e “critica dei modelli patriarcali e maschilisti“.
Si potrebbe continuare. E ci sarebbe da restare ammaliati. Ma a un cronista corre l’obbligo di non fermarsi solo a osservare la scena, per quanto godibile, ma ricercare il contesto, correre ad esempio a sbirciare anche quanto accade nel backstage, e riferire.
Dietro le quinte si incontra, tra gli altri, un Ignazio La Russa, che riflettendo sulle epocali novità che hanno messo fine all’alleanza di centro-destra, la Casa delle Libertà (Cdl), e sulle rivoluzionarie trasformazioni che ci porteranno, nel 2008, tempi nuovi e partiti nuovi, dice così:
“Fini non esclude in futuro una federazione tra il Partito della libertà, l’Alleanza per l’Italia e la Cosa bianca di Casini. Non è più la Cdl? Vorrà dire che la chiameremo il Castello delle libertà”.
La risata ghignosa non viene riportata, ma si può immaginare.
Oppure c’è un Adolfo Urso, che dall’alto di un pensatoio come la fondazione Farefuturo, offre questa pregnante spiegazione delle ragioni che porteranno Alleanza Nazionale a trasformarsi in Alleanza per l’Italia:
“A sinistra hanno fatto il Pd e la Cosa rossa, Berlusconi ha lanciato il Pdl e solo Fini dovrebbe restare fermo?”
In breve, nel backstage si pensa e si dice che quella dei partiti pret-a-porter è solo una messinscena.
Serve a qualcosa? Probabilmente a nascondere il vuoto di pensiero e a sopire il generale senso di frustrazione per l’incapacità di cambiare.
“Inventare parole nuove è il sintomo più sicuro della sterilità delle idee,” diceva Madame de Stael.
E se non ci sono idee, e viene a mancare l’ambizione e il coraggio di innovare, assumendo quei rischi che ciò comporta, per non essere scalzati dal potere non resta che fingere e occultare l’inanità di tanto costoso agitarsi sotto una coltre di fantasmagoriche, rutilanti apparenze.
Come osserva Tancredi, principe di Falconeri, nel Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”
Machiavellismo apparentemente acuto, quello de Il Gattopardo, ma nella sostanza velleitario e fallimentare. Proprio come l’accattivante incedere sulle catwalk e l’ammuina nelle aule parlamentari dei partiti pret-à-porter in questo crepuscolo della seconda repubblica.