L’altalena dei prezzi delle materie prime
Mi è capitato di leggere, sul blog CalculatedRisk, che l’analista di Goldman Sachs Arjun Murti ha tagliato la sua previsione per il prezzo medio del petrolio nel 2009 a 45 dollari al barile – in linea, in pratica, con le quotazioni attuali. Per Murti la domanda di petrolio continuerà a deteriorarsi a causa delle condizioni economiche globali, che sono “le più deboli a partire, per lo meno, dai primi anni ’80.” Il crollo della domanda è tale che l’Opec, da sola, faticherà a riportare il mercato in equilibrio. Una stabilizzazione dei prezzi, a giudizio dell’analista, richiederà robusti tagli dell’offerta anche da parte dei produttori non-Opec.
CalculatedRisk aggiunge un’interessante osservazione. Per alcuni tra i maggiori produttori dell’Opec – quelli riuniti nel Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gulf Cooperation Council) – ridurre la produzione non è facile. Si stima infatti che, dopo aver fatto lievitare la spesa pubblica negli ultimi anni – al fine di finanziare, tra l’altro, investimenti in infrastrutture, welfare e sistemi pensionistici – quei paesi abbiano bisogno di un prezzo del greggio di 50 dollari al barile per raggiungere il pareggio di bilancio. Con le quotazioni scese fin quasi a 40 dollari, l’alternativa è o di aumentare la produzione (facendo crollare ancora di più il prezzo), o di accumulare debito pubblico, o di tagliare impegni di spesa già presi. Si tratta, in ogni caso, di opzioni dolorose. E’ normale che sia forte la tentazione di percorrere un’abituale scorciatoia: vincolarsi pubblicamente – in seno all’Opec – a limitare l’offerta e a rispettare il sistema di quote, solo per fare – una volta a casa – l’esatto contrario.
Ci sono dunque buone ragioni per pensare che, nell’immediato, i prezzi del greggio – come quelli di tutte le materie prime – rimangano sotto pressione (vedi grafico sotto, a cura di CalculatedRisk).
Il cambio di scenario, in meno di un semestre, è stato sconvolgente. Rispetto ai massimi di inizio luglio, le quotazioni del greggio hanno perso il 72%, crollando da 145 dollari a meno di 41. L’indice CRB, calcolato in base ai prezzi di un paniere di 19 commodities, è sceso da un massimo storico di 474 a 209 – una caduta del 56%.
A ripensarci, fa sorridere tutto lo scompiglio che, sempre sei mesi fa, poco prima che il mercato invertisse rotta, creò un’altra previsione di Murti, il quale stimava allora probabile un’ascesa del greggio verso i 150-200 dollari a barile “entro 6-24 mesi.”
In quei giorni scrissi un’analisi del mercato delle materie prime, intitolata Materie prime, il bull market si ferma in Cina?, che penso sia interessante rileggere alla luce dei turbinosi sviluppi degli ultimi sei mesi. In essa analizzavo gli squilibri fondamentali tra domanda e offerta, che stavano alla base del bull market iniziato nel febbraio del 1999 (quando l’indice CRB toccò un minimo di 118). Paventavo anche una possibile, imminente, inversione di rotta, esprimendomi così:
“[…] La crescita economica è il fattore che più di ogni altro concorre a determinare la domanda di greggio. Dopo un lungo periodo di forte espansione dell’economia mondiale, il 2008 si presenta come un anno gravido di incertezze. Gli Usa sono sull’orlo della recessione, l’Europa è in rapido rallentamento e persino dalla Cina […] vengono segni di raffreddamento.”
“[…] Nessun bull market procede ininterrotto, senza pause e temporanee inversioni del trend. L’occasione per un simile movimento in controtendenza comincia forse a stagliarsi all’orizzonte. Trae origine dallo scoppio della bolla immobiliare americana, che sta imponendo i suoi costi in termini di minore crescita a tutto il pianeta. Ma va maturando in Cina. […] E’ ovvio che un repentino rallentamento del gigante asiatico scuoterebbe dalle fondamenta i mercati delle commodities. I rischi che questo accada nei prossimi trimestri, come non è mai accaduto nell’ultimo decennio, non sono affatto trascurabili. […] L’insistenza con cui di recente le autorità cinesi hanno cercato di escludere qualsiasi rischio di hard landing per l’economia non fa che aumentare i sospetti. Le Olimpiadi di Pechino sono ormai imminenti ed è ovvio che tutte le leve del governo siano tese ad assicurare che all’appuntamento si presenti un paese in grande spolvero. Subito al di là della scadenza olimpica si profila però all’orizzonte uno scenario alquanto denso di nubi – per la Cina e per il mercato delle commodities.”
Nelle mie conclusioni, sposavo però la tesi che – in un orizzonte di più lungo periodo, guardando al di là del probabile, imminente rallentamento ciclico – il bull market secolare, iniziato nel 1999, non era da considerare defunto.
Citavo, a questo proposito, un grande investitore, Jim Rogers (ex partner di George Soros), che prima di ogni altro aveva preconizzato, sul finire della scorsa decade, l’avvento di un’era di grandi rialzi dei prezzi delle materie prime, divulgando poi questa sua visione in un libro di successo, Hot Commodities.
“Come scriveva nel 2004 Jim Rogers […] i bull market delle materie prime sono caratterizzati da grandi rally e grandi cadute. Nel mercato Toro del 1968-1982, ad esempio, l’indice CRB a un certo punto crollò del 53% prima di riprendere l’ultima fase della sua ascesa.”
Negli ultimi sei mesi, come ho già accennato, la caduta è stata del 56%. Per quanto straordinaria ci sia parsa, è da notare il fatto che esiste almeno un precedente, per niente remoto, di un simile collasso che si rivelò essere solo una correzione nel corso di un bull market di più lungo periodo e di ben più vaste dimensioni.
Nel mio post, riferivo anche di come Rogers consigliasse di tenere lo sguardo fisso sulla Cina, diventata in questi anni il consumatore più importante – decisivo ai fini della formazione dei prezzi – in molti mercati delle materie prime. Citavo il seguente passaggio del suo libro:
“Voglio essere chiaro: quando la Cina farà uno starnuto il resto del mondo correrà a caccia di aspirine. I prezzi delle materie prime, in particolare, cadranno e un sacco di investitori si faranno prendere dal panico. Voi e io, tuttavia, a quel punto compreremo altre materie prime: domanda e offerta hanno cospirato nel creare un bull market di dimensioni secolari, e ciò significa che i prezzi dovrebbero continuare a salire almeno fino al 2015…quel miliardo e trecento milioni di cinesi non sono certo in procinto di scomparire.”
Chiudevo il post col seguente commento: “Sulla data del 2015 non farò scommesse. Ma lo scenario tratteggiato quattro anni fa da Rogers continua a meritare la massima considerazione.”
Sei mesi dopo, non ho cambiato parere. Nonostante la gravità della crisi congiunturale, nonostante l’evidenza che il 2009 sarà – in buona parte – un anno di recessione globale, continuo a pensare, con Rogers, che “quel miliardo e trecento milioni di cinesi non sono certo in procinto di scomparire.” Né sono sul punto di svanire i rimanenti cinque miliardi e mezzo di voraci creature umane, tutte vogliose di benessere e crescita.
Penso che le forze della reflazione – tassi d’interesse spinti a zero, come ha appena fatto la Federal Reserve, e manovre fiscali espansive, già abbozzate, per un importo pari almeno a un punto e mezzo di PIL mondiale – alla fine avranno la meglio su quelle della deflazione. Se necessario, tra deflazione e inflazione, i governi sceglieranno quest’ultima. Hanno una semplice arma con cui prevalere: creare, a volontà, tutto il denaro che serve.
Una volta usciti dalle strettoie di questa crisi, si riaffacceranno i trend di più lungo periodo e di ben più vasta portata che l’umanità sta cavalcando in questo avvio di XXI secolo. In particolare, l’industrializzazione di un enorme continente ancora in gran parte povero come l’Asia, il crescente e insostenibile depauperamento di risorse naturali non rinnovabili, l’indifferibile necessità di transitare verso una civiltà ecosostenibile e un’economia post-materialistica, in cui l’esigenza di consumare “cose” dovrà diventare sempre meno prevalente rispetto allo scambio di beni sociali e immateriali.
Non so quanto durerà questa complicata transizione. Né so se avrà successo, anche se – com’è ovvio – me lo auguro con tutto il cuore. Immagino, però, che della sua urgenza – nei prossimi anni – torneranno a parlarci, col loro persuasivo linguaggio, i prezzi delle materie prime. In un modo: salendo.
Gent.mo Bertoncello
La sequo con stima e piacere, ammirandola per la sua indipendenza e competenza.
Gradirei una risposta o perchè no, un suo post sui rischi di fallimento.
Le spiego meglio… nella mia giovane “carriera” di investitore accorto ho subito un importante scotto per il fallimento di una società (Arquati) dove avevo qualche decina di migliaia di euro.
Questo avvenimento mi sta condizionato e quando sento di fallimenti (Alitalia in ultimo) ho paura.
Leggevo da lei che la fine di un periodo di recessione è sovente maggiormente soggetto a fallimenti aziendali e le chiedo:
in che modo si può minimizzare in rischio default?
Consapevole che la diversificazione sia già un ottimo modo, acquistare azioni di grosse capitalizzazioni può essere sinonimo di maggior sicurazza?
Credo sia un ottimo momento di accumulare posizioni azionarie per un orizzonte medio- lunga e le occasioni non mancano (anche grazie all’ aiuto di finanze.net e formulavincente.com) ma come posso selezionare aziende solide e finanziariamente sane?
Esistono vie legali per recuperare, anche in minima parte, i soldi investiti?
Grazie 1000 del suo prezioso contributo.
Serene festività
Mirko
Forlì
Buongiorno Mirko,
Lei ha rivolto la domanda al dr. Bertoncello, e quindi mi trovo nei panni dell’avvocato-non-chiamato, ma voglio solo dare un contributo di discussione al suo interessante quesito.
Si possono minimizzare i rischi? Per me, sì: ad esempio un buon Fondo di investimento, o molti ETF, hanno una tale diversificazione da rispondere bene alla Sua esigenza.
Lei p. e. potrebbe scegliere di investire in un fondo che segua il metodo “value”, che tante volte è stato esposto in questo blog.
Può anche fare una cosa “intelligente”, e cioè un piano di accumulo.
Ce ne sono a costi di entrata ZERO (cosa molto importante), e qualche banca ne offre su alcuni dei fondi italiani tra i migliori (io non dico per chi lavoro, ma da me ad esempio è così).
Il piano d’accumulo Le consentirebbe di ridurre rischio e volatilità del 66% rispetto all’acquisto in unica soluzione.
Non è un consiglio: è un’idea su cui discutere.
egr. dott Bertoncello,
condivido quanto egregiamente esposto nell'”altalena dei prezzi delle materie prime”. A tal proposito vorrei aggiungere alcune consideazioni sul prezzo del petrolio che, a mio parere, non potrà che lievitare in futuro. Per avvalorare questa considerazione parto dal prezzo della benzina che se non erro costa 1,14/1,15 Euro al litro. Cerco ora di scorporare il prezzo dalle tasse. Quanto gravano queste? Il 60%? Non so, ipotizziamo corretta tale percentuale e decurtiamola dal prezzo alla pompa; 1,14-60%= 0,456. Nel prezzo sono comprese tutte le componenti che gravano sul costo finale, che approssimativamente sono: ricerca geologica; studio di fattibilità;progettazione; perforazione; estrazione; trasporto(quasi sempre via nave); stoccaggio; raffinazione; e trasporto alla pompa di benzina. Probabilmente questa non è un analisi corretta, però serve a rendere l’idea. Ha mai provato a fare un confronto con l’acqua minerale? E’ vero che le bottiglie sono di un litro e 1/2, ma è anche vero che i prezzi variano da 20 centesimi a 1 Euro. Mi sembra inoltre che i costi per l’utilizzo dell’acqua per uso alimentare siano irrisori se confrontati con quelli della benzina. L’acqua poi è una commodity? Se questa analisi(molto naif) ha un senso logico, rischiamo di trovarci, fra qualche anno, con il petrolio ben oltre i prezzi di Luglio. Se va bene.
Grazie per i suoi interventi. Se le è possibile non tralasci alcun argomento.
Buone feste a tutti:
Egr. dr. Bertoncello
seguo con assiduità le sue analisi che trovo veramente pregevoli e mi aiutano ad orientarmi nelle straordinarie vicende finanziarie ed economiche che il mondo sta vivendo. Sperimento per curiosità e sfida intellettuale il trading sulle valute e mi capita di osservare escursioni veramente pazzesche dei cambi come euro-dollaro o dollaro-yen, spesso senza alcun rapporto con i fondamentali economici, in quanto tutte e 3 queste valute rappresentano Paesi ed economie in grave recessione.
Come si pùò trovare qualche spiegazione logica di questa estrema volatilità e quali sono le forze che spingono in questa fase le valute in una direzione o nell’altra?
Mi piacerebbe leggere le sue riflessioni sull’argomento “Crisi globale e valute”.
Auguri di un sereno 2009
Egr Sergio,
per quanto riguarda la volatilità sui rapporti di cambio tra Euro Dollaro e Yen, ho formulato una ipotesi che ha bisogno di conferme, ma ha per lo meno il pregio della semplicità.
Secondo me si è trattato dello smontaggio di leve finaziarie aperte in un decennio o più in Yen a basso tasso d’interesse.
Partendo dal fatto che mi sono poste le medesime Sue domande, e non trovando risposte di tipo “macro”, ho pensato, traendo spunto qua e là nelle cronache giornalistiche:
Tutto sarebbe partito dal fallimento di Lehman.
Cioè, sembrerebbe che le banche, in preda alla crisi e al panico, abbiano ordinato agli Hedge Funds e alle consorelle di rimborsare i prestiti assunti per leva finanziaria.
Sembrerebbe che i rimborsi abbiano toccato un controvalore di 6.000 miliardi di Dollari…
(Dato che ho trovato in un piccolo articoletto interno nel Sole 24 ore).
Una cifra pazzesca, quasi dieci volte le svalutazioni da subprime, che, fosse vera, avrebbe scatenato tra settembre e ottobre uno tsunami finanziario senza precedenti:
1) massiccia richiesta di Yen (divisa nella quale gli Hedge e le Banche si finanziavano).
2) nel frattempo vendite accelerate di materie prime, azioni e bonds.
3) ciò che rimaneva, tra rimborsi e vendite, veniva immediatamente tramutato in Dollari e rimpatriato negli States a chiusura delle leve.
4) su circa 10.000 Hedge Funds che esistevano all’inizio 2008, sembra che circa metà abbia chiuso, in buona parte a causa appunto di questa “escussione”, in parte per i divieti di vendeita allo scoperto in borsa, divieti che hanno apportato altra perturbabilità sui mercati. (E quindi dubbia efficacia pratica)
Ciò spiegherebbe in modo semplice quanto avvenuto, non solo in campo valutario, ma sui mercati in genere.
L’Europa sarebbe stata particolarmente bersagliata in quanto le minus sulle azioni e sui bonds erano (in una prima fase soprattutto), compensate dalla plus sul cambio Euro/Dollaro.
Segnalo solo che se questa mia teoria funzionasse, significherebbe che il mercato azionario avrebbe funzionato in modo egregio alla più grande (e si spera irripetibile) bufera della sua storia.
Vorrei anch’io avere opinioni a riguardo. Grazie,
Valter