Processo a Mastella e ai politici italiani
“Non ci lasceremo processare sulla piazza mediatica né su qualunque altra piazza”, ha affermato stentoreo il ministro della Giustizia Clemente Mastella, parlando l’altro giorno da un inconsueto scranno: il sedile di una Maserati bianca decappottabile, su cui si trovava per partecipare alla parata del Columbus Day a New York.
Citazione colta, hanno subito sottolineato giornali e telegiornali, sparando la “notizia” in prima pagina. Si tratta delle parole usate da Aldo Moro, in un discorso del 1977, per denunciare i ricatti del terrorismo e farvi fronte.
Moro era un politico famoso per il suo parlare oscuro, ma che sapeva anche pensare chiaro. Tant’è che qualche mese dopo fu proprio lui a essere scelto come bersaglio dai brigatisti rossi, che lo uccisero. Di Mastella mi pare improbabile che, nel prossimo futuro, ci sia chi debba commemorare il martirio.
Più che la vita, il nostro ministro della Giustizia rischia infatti, se si vuole stare ai fatti, di perdere la faccia. E parto, con generosa disposizione, dalla premessa che già non l’abbia persa.
La parola ai fatti
A quali fatti mi riferisco? Bella domanda, a cui cercherò di rispondere in poche frasi.
In un paese civile, un ministro della Giustizia viene pagato dai cittadini-contribuenti per far funzionare, per l’appunto, la giustizia. E su questi fatti non viene processato, tranne che nei casi peggiori, ma giudicato sì.
Ora, parlare di parole – colte o no – come fanno dalla mattina alla sera molti politici e buona parte del circo mediatico del nostro paese, è quasi sempre mera retorica, che non cambia di uno iota lo stato delle cose. Anzi, proprio a questo serve, a preservare lo status quo. E’ tutto un alzare cortine fumogene che rende difficile ai cittadini capire i fatti, valutarli, e giudicare, in base a essi, i responsabili.
Insomma, la citazione di Mastella, seduto a New York su una Maserati bianca decappottabile, che “notizia” poteva mai essere? Non doveva certo stare lì, a campeggiare inutilmente sulle prime pagine dei giornali. In prima pagina dovrebbe andarci quello che il nostro ministro sta facendo o non sta facendo, in Italia, per migliorare il fatiscente stato della giustizia.
Di questo, purtroppo, si sa poco, almeno da politici, giornali e telegiornali. Ma quello che si può apprendere altrove lascia sgomenti.
Toghe rotte e giustizia in panne
Ho letto di recente “Toghe rotte, la giustizia raccontata da chi la fa”, un libro bello e doloroso, curato da Bruno Tinti, che fa il Procuratore aggiunto presso la Procura di Torino, e scritto col cuore in mano da un gruppo di magistrati che, come dice Tinti nella presentazione, “insieme hanno pensato di spiegare ai cittadini perché le cose vanno così male nella giustizia italiana.”
Il libro non nasconde le deficienze interne all’ordine giudiziario, con magistrati a volte inadeguati se non addirittura corrotti. Ma dimostra con abbondanza di prove che la causa vera dei problemi della giustizia italiana sta nel sistema di norme e procedure che i politici hanno approvato in Parlamento: un groviglio concepito, con scrupolo e attenzione al minimo dettaglio, per non funzionare.
Vorrei citare un paio di passi illuminanti.
“Prima di arrivare a una sentenza definitiva si deve passare attraverso un’indagine del PM che può essere caratterizzata da numerosi ricorsi e appelli al Tribunale della Libertà e da ricorsi in Cassazione contro i provvedimenti di questo; e quattro successivi processi (Udienza Preliminare, Dibattimento, Appello e Cassazione), per i primi tre dei quali è possibile un’impugnazione che può anche determinare il ritorno del processo alla fase precedente. Una tela di Penelope giudiziaria vista la quale c’è da meravigliarsi che, nonostante tutto, qualche processo arrivi a essere definitivamente celebrato.”
Delitto senza castigo
E perché sono pochi i processi che arrivano a conclusione? Perché nel 95% dei casi sul procedimento cade la mannaia della prescrizione, che il legislatore – in presenza di processi assoggettati a procedure astruse, ipergarantiste e interminabili – ha naturalmente voluto breve, per motivi di civiltà giuridica che a nessuno possono sfuggire.
Risultato? L’inciviltà più totale, come spiegano di nuovo Tinti e colleghi:
“Forse è bene dire chiaramente che tutte le contravvenzioni in materia antinfortunistica, ambientale, ecologica, di inquinamento; tutti i delitti di corruzione, falso in bilancio, frode fiscale; tutti i delitti di maltrattamento in famiglia e violazione degli obblighi di assistenza famigliare, tutti i delitti di falsa testimonianza, tutti i delitti di truffa, anche ai danni dello Stato o di Enti Pubblici o dell’Unione Europea; tutti questi delitti e tanti altri che non cito perché sarebbe un elenco lunghissimo non saranno mai puniti.”
“Nessun processo per questi delitti si concluderà con una sanzione effettiva. Nessuno che abbia commesso uno di questi delitti andrà mai in prigione.”
Pazzesco, ma è così: un incentivo fenomenale per chi sia tentato di transitare dal campo di attività legale a quello illegale, e un ceffone in faccia alle vittime di tanti reati e a chi, in genere, per scrupolo più che altro personale, alla legalità si attiene.
E Mastella che fa? L’indulto…
In presenza di una situazione di impunità per la quasi totalità dei delitti commessi dai “colletti bianchi”, il ministro della Giustizia, preoccupato, ha proposto e ottenuto, col consenso di larga parte del parlamento (esclusi Italia dei Valori, Lega Nord, Alleanza Nazionale, e pochi casi personali – vedi articolo) di abbonare tre anni di pena, con un indulto, a quella minoranza di criminali “inetti” (vedi articolo con lista dei reati esclusi) che non avevano saputo approfittare della maglie slabbrate della legge per arrivare alla prescrizione.
Sono così usciti dalle carceri in oltre 25mila (venticinquemilaseicentootto, per la precisione), e la lista fa rabbrividire (vedi articolo).
Con tanta brava gente di nuovo in libertà ci si può stupire se i crimini sono subito aumentati? Se, ad esempio (vedi grafico sotto), le rapine in banca, per cui si hanno dati più tempestivi, sono quasi raddoppiate?
No, e infatti così è stato, come documenta un utile articolo, “Crimini e misfatti a un anno dall’indulto”, di Giovanni Mastrobuoni e Alessandro Barbarino, pubblicato sul sito Lavoce.info.
Nihil sub sole novi, ci spiegano anche Mastrobuoni e Barbarino. L’indulto di Mastella ha prodotto i risultati che ci si doveva aspettare. E’ da 50 anni che, in Italia, la classe politica persevera, a larga maggioranza, nell’errore.
“I dati ISTAT mostrano che a seguito dei vari atti di clemenza susseguitisi dal 1962 ad oggi i crimini che aumentano più marcatamente sono le rapine in banca (0.38 all’anno per ogni detenuto liberato), lo spaccio di stupefacenti (0.61 all’anno per detenuto), le frodi (5 all’anno per detenuto), i furti di autoveicoli (5 all’anno per detenuto), i borseggi (42 all’anno per detenuto) e persino gli omicidi (0.02 all’anno per detenuto).”
“Analizzando le statistiche giudiziarie penali regionali, si evince che l’aumento dei crimini denunciati alle forze dell’ordine va di pari passo con l’aumento degli scarcerati, e il fenomeno è tanto più evidente nelle regioni nelle quali si liberano più detenuti.”
E se uno volesse ragionare in termini di mera efficienza, lasciando da parte ogni principio di giustizia? Di nuovo un fiasco completo, documentano Mastrobuoni e Barbarino. I costi sociali delle scarcerazioni sono molto più elevati del costo di mantenere in carcere i condannati (magari costruendole, le carceri che non ci sono e che nessun politico sembra volere).
Giudichiamo i fatti
Mastella, con simili successi alle spalle, è dunque deciso a non farsi processare dalla piazza, mediatica o no. Anche quando sta comodamente seduto in Maserati, godendosi il Columbus Day a New York, pensa ai processi e gli fanno antipatia.
Io non lo processerò. Non ne ho titolo. Ma come cittadino-elettore-contribuente giudico, in base ai fatti, il suo operato, e quello di chi l’ha voluto al suo posto e non gli fa mancare i voti e il sostegno: un obbrobrio.