Il tesoretto e il governo dei peggiori
Soffro di una grave forma di intolleranza e sto cercando di curarmi. Scrivere un post forse mi aiuterà. Non riesco a leggere neanche solo mezza riga o ad ascoltare mezza frase che riporti l’espressione il “tesoretto” quando si parla di conti pubblici italiani. Non so dunque chi l’abbia messa in giro, se una mente alienata o un dilettante del genere humor noir, dotato di particolare cattivo gusto. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di individui che una collettività sana avrebbe ignorato, anziché fare a gara a imitarli.
In un paese che ha, emerso, un debito pubblico superiore al 105% del PIL e, sommerso, un dissesto clamoroso dei conti pensionistici (se non altro in termini di equità tra le generazioni, concetto estraneo a una cultura che sembra fondarsi sul principio “scordiamoci il futuro, arraffi chi può”), in un tale paese, dicevo, non c’è nessun “tesoretto” ma solo una voragine enorme di passività, buchi e ammanchi.
Chi parla dunque di “tesoretto” o ignora o irride (forse perché ha già molto arraffato) una realtà che è e sarà causa di sofferenza per molti italiani. E occupa pure una posizione pubblica di rilievo.
In senso lato (mi riferisco in genere al ceto dirigente che detta l’agenda del paese e crea anche buona parte del suo linguaggio) la storia del “tesoretto” mi sembra un’altra espressione di quel “governo dei peggiori”, la kakistocrazia, di cui aveva parlato Michelangelo Bovero in un suo libro di qualche anno fa.
E’ possibile, per favore, voltare pagina?
P.S.: Che una kakistocrazia di irridenti arraffoni si sia da tempo installata al potere in Italia è indubbio. Un suo variopinto e verace ritratto si può trovare nel libro La casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. E’ un lavoro che ha meritatamente venduto più di mezzo milione di copie in appena due mesi, e che invito a leggere. Per cambiare in meglio.