Meno male che Silvio c’è
Silvio Berlusconi, si sa, non sopporta di essere secondo a nessuno. Così, in questi giorni, prima ha accusato il Partito Democratico di Walter Veltroni di “copiare la sua ricetta liberale” per l’Italia. Poi si è affrettato a competere persino sulla questione morale. A pochi giorni dall’approvazione del codice etico del Partito Democratico, ha annunciato, per bocca del fido Sandro Bondi (nella foto), che anche il Popolo della Libertà si doterà di una regola che garantisca l’irreprensibilità delle candidature.
Eccola: “Eventuali procedimenti penali che riguardano nostri parlamentari o eventuali candidati, esclusi quelli che hanno un’origine politica, costituiscono un motivo sufficiente di esclusione dalle liste”.
Ora, questo sì che è un guazzabuglio degno del nostro funambolico Cavaliere. Comico, direi, al pari della canzone “Meno male che Silvio c’è” e della buffonesca interpretazione che molti hanno potuto gustare ieri a Striscia la Notizia.
Veltroni imita le nostre ricette liberali, si lamenta Berlusconi. E poi che fa? Corre a scopiazzare il codice deontologico del PD. Con una vistosa, illiberale variante.
Giudica i giudici e affossa il fondamentale principio liberale della separazione dei poteri, attribuendosi di fatto la facoltà di discriminare i procedimenti penali validi da quelli non validi.
Infatti, chi deciderà quali siano i processi macchiati da un vizio di così arbitraria e soggettiva definizione come “l’origine politica”? Bondi non lo dice, ma è difficile sbagliarsi se si suppone che, alla fin fine, arbitro della questione sarà proprio lui, il leader maximo del PDL, Silvio “Meno-male-che-c’è”.
La situazione è così ridicola che mi ha fatto venire in mente una storiella. L’ho trovata nel libro Platone e l’ornitorinco, a esemplificazione di un atteggiamento che, in filosofia, viene chiamato emotivismo etico: è buono quel che mi fa piacere e mi fa sentire bene. Ovvero, nella versione di “liberalismo all’amatriciana” che Berlusconi sembra preferire, “facciamo quel che ci pare.”
Dice la barzelletta:
Un uomo scrive una lettera all’ufficio imposte dicendo: “Non riesco a dormire perché vi ho mentito. Ho dichiarato un imponibile troppo basso. Pertanto, allego alla presente un assegno di centocinquanta euro. Se continuo a non riuscire a dormire vi farò avere il resto.”
P.S.: Lo so, la storiella si presta a una facile contestazione. Viene infatti dagli Stati Uniti, un paese dove succede spesso che la gente soffra d’insonnia per il timore di non aver pagato tutte le tasse.
Qui da noi, è molto più comune che si dorma sonni tranquilli. E l’emotivismo etico, anziché un vizio, è normale che sia percepito come una virtù: “flessibilità, capacità d’adattamento,” si dice.
Per questo temo che del principio “deontologico” del PDL, enunciato da Bondi, finiremo per vedere applicata la seguente, estensiva interpretazione: “Dicesi procedimento penale di origine politica quel procedimento che, per qualsiasi ragione, vada a colpire un candidato o un eletto nelle liste del PDL.”
E siccome esclusi dalle cause di esclusione sono i procedimenti penali di origine politica, quale sarà mai il candidato o eletto nelle liste del PDL a veder sollevata contro di sé una causa di esclusione? L’ipotesi non esiste, per definizione.
E questo è il punto, ci dirà sorridente e sornione Silvio “Meno-male-che-c’è”. Il codice “deontologico” del PDL, a differenza di quello sinistramente liberticida di Veltroni, è “liberale”: lascia libero ogni candidato ed eletto del partito di fare quel che gli pare.
Silvio li sceglie? La sua scelta sana ogni difetto. Il popolo li vota? Il voto sana ogni difetto. Il popolo è sovrano, e non c’è nessuno più sovrano del leader che il popolo ama: Silvio “Meno-male-che-c’è”. Ahimé.