l'Investitore Accorto

Per capire i mercati finanziari e imparare a investire dai grandi maestri

Le banche, i mercati e la bolla del credito II

Ho scritto nella prima parte di questo articolo che per comprendere i tremori che stanno scuotendo da qualche mese i mercati finanziari globali bisogna guardare alle banche. E per decifrare le difficoltà delle banche bisogna andare oltre l’implosione del mercato Usa dei mutui subprime, e risalire fino alle origini di quella che oggi appare sempre più nitidamente come una bolla dei tassi e della liquidità, di proporzioni senza precedenti.

Chiudevo la prima parte notando come la tardiva stretta con cui la Federal Reserve, a partire dal giugno 2004, cercò di normalizzare una politica monetaria troppo espansiva fallì in quello che era uno dei suoi scopi, e cioè produrre anche un rialzo della parte lunga della curva dei tassi così da calmierare, in primis, un mercato della casa già allora troppo effervescente.

Perchè la manovra non ebbe gli effetti desiderati?

Uno dei primi a sollevare la questione, senza però trovare una risposta soddisfacente tanto da definire il problema col termine diventato poi famoso di “conundrum (enigma), fu proprio Alan Greenspan in un’audizione parlamentare del febbraio 2005, quando era ancora presidente della Federal Reserve.

Da lì in poi è stato tutto un susseguirsi di studi e interpretazioni, ben riassunti in un articolo del Financial Times dello stesso anno. In estrema sintesi, le spiegazioni più accreditate dell’enigma dei bassi tassi americani a lungo termine hanno finito per essere tre:

a) Globalizzazione e bassa inflazione

Si è detto che il mercato scontava il permanere di condizioni di bassa inflazione. I cicli di espansione economica del passato erano sempre stati caratterizzati dall’emergere di pressioni sui prezzi, che finivano per spingere al rialzo i tassi a lunga e indurre la banca centrale a intervenire con una stretta sui tassi a breve. Ma quest’ultimo ciclo appariva diverso.

Per tutto il periodo 2004-2007, l’azione della Federal Reserve fu semplicemente finalizzata a “normalizzare” tassi a breve troppo bassi e non a sopprimere inesistenti dinamiche inflative.

Il processo di globalizzazione, infatti, grazie all’immissione sui mercati internazionali di almeno un miliardo di nuovi lavoratori a basso costo dalla Cina e dall’India, aveva creato le condizioni per una sostenuta espansione economica, di lunga durata, con bassa inflazione.

b) Debito insostenibile e recessione

Altri, più pessimisti, hanno ritenuto che il mercato scontasse l’insostenibilità dell’espansione americana, che aveva fatto leva, dal 2001 in poi, su un cumulo crescente e senza precedenti di passività: i “deficit gemelli” del bilancio federale e della bilancia commerciale



… l’indebitamento abnorme delle famiglie che, per la fatale attrazione di un mercato immobiliare in ebollizione, per l’eccessivo ottimismo nelle loro possibilità di guadagno e l’anemica crescita dei salari, riuscivano a tenere elevati i consumi solo facendo ricorso al credito…


… abbattendo fino a livelli negativi, per la prima volta nella storia, il tasso di risparmio:


I bassi tassi a lunga anticipavano dunque il collasso dell’economia Usa sotto il peso di tali e tanti squilibri: una fine traumatica della crescita nel baratro della recessione, e, piuttosto che l’assenza di inflazione, un periodo di deflazione (e cioè di diminuzione dei prezzi) causato dal degenerare dei debiti eccessivi in insolvenze.

c) Eccesso di liquidità e bolle, bolle, bolle

La terza interpretazione proposta all’”enigma” dei bassi tassi a lunga americani, per certi versi complementare alla seconda, è stata che i tassi si trovavano in uno stato di bolla speculativa. Avevano perso, perciò, ogni capacità di segnalare tanto gli eventuali rischi di deflazione come l’assenza o meno di inflazione.

La politica troppo a lungo espansiva della Federal Reserve aveva finito per inondare di liquidità diversi mercati, da quello immobiliare a quello azionario a quello obbligazionario.

Tali eccessi si erano poi venuti aggravando in conseguenza delle politiche economiche di molti paesi asiatici, Cina in testa, che, dalla crisi valutaria del 1997 in poi, avevano puntato con decisione su una crescita a tappe forzate, tutta basata sull’export.

A sostegno e a rinforzo delle loro politiche mercantilistiche, questi paesi avevano utilizzato le ingenti riserve valutarie

Fonte: Fondo Monetario Internazionale

… generate dai surplus commerciali (espressi nel grafico qui sotto in percentuale del Pil mondiale)…

Fonte: Fondo Monetario Internazionale

… per acquistare titoli del debito americano e mantenere in tal modo l’allineamento delle loro valute al dollaro (il grafico qui sotto mostra la percentuale del debito pubblico Usa detenuta da investitori stranieri: come si vede, è andata crescendo in modo esplosivo dal 2001, in larga misura per l’intervento massiccio delle banche centrali, soprattutto asiatiche).


Si era così andato consolidando un processo di mutuo sostegno tra Usa e Asia, ribattezzato Bretton Woods II, perchè in qualche modo riecheggiante gli accordi raggiunti nel 1944 nell’omonima località del New Hampshire, che avevano gettato le basi del sistema monetario, centrato sul dollaro, in vigore fino ai primi anni ’70.

Un simile, informale, rapporto di scambio era funzionale a mantenere elevati i consumi americani e le produzioni ed esportazioni asiatiche. Finiva, però, per scaricare i suoi costi sull’Europa, la cui moneta era l’unica, tra le principali, che tendeva ad apprezzarsi oltre ogni ragionevole misura.

Nel complesso, Bretton Woods II risultava comunque fortemente espansivo per tutta l’economia globale, come lascia ben intendere il grafico che segue:

Sommate assieme, base monetaria e riserve valutarie raggiungevano, a livello globale, tassi di crescita mai visti prima, andando a configurare un’enorme bolla di liquidità, che inondava un mercato dopo l’altro.

In sintesi e semplificando, secondo questa interpretazione, la dinamica sottostante agli sviluppi dell’economia e dei mercati finanziari su scala planetaria è stata, nell’ultimo decennio, la seguente:

a) in America, centro del sistema globale: bassi tassi a breve, ampia liquidità, consumi sostenuti, deficit commerciale, mercati degli asset in crescita, ottimismo e propensione al rischio, ricca e variegata offerta di credito, accumulo di debito, dollaro debole;

b) in Asia, piattaforma produttiva per l’economia globale: forti esportazioni soprattutto verso il mercato Usa, elevati surplus commerciali e accumulo di riserve, acquisto di titoli del debito in dollari per mantenere competitive le valute locali;

c) di nuovo in America e da qui a livello globale: bassi tassi a lunga, sostenuta crescita economica (l’ultimo quinquennio, anche se in Italia non ce ne siamo accorti, ha fatto registrare la più poderosa e prolungata espansione dell’economia mondiale dagli anni ’70).

L’enigma di Greenspan svelato

Delle tre interpretazioni del “conundrum” di Greenspan, è quest’ultima, probabilmente, la più completa.

C’è stato un tacito e informale scambio tra America e Asia, per cui la prima si è gonfiata di debiti che hanno finanziato tanto i consumi interni quanto l’industrializzazione della seconda, e la seconda ha ammassato risparmi che sono stati utilizzati per acquistare i debiti della prima, mantenendone basso il costo e consentendo così ulteriore accumulo di debito e un altro giro di questa giostra.

Si è trattato, per anni, di un processo caratterizzato da uno stabile squilibrio, come l’ha definito Bill Gross di PIMCO.

Stabile” perché mutualmente vantaggioso e implicitamente garantito dalle autorità politiche e monetarie della superpotenza americana e dei paesi emergenti asiatici. Ma “squilibrato” perché tanto l’accumulo di debito in America che quello di riserve in dollari nei paesi asiatici era, a lungo andare, fondamentalmente insostenibile.

Ciò che di recente ha cominciato a manifestarsi è che, sia per i tentativi di “riequilibrare lo squilibrio”, attraverso la leva dei tassi a breve negli Usa e la maggiore diversificazione delle riserve in Asia, sia per la logica implicita allo squilibrio stesso, il processo da “stabile” si è fatto “instabile.”

Per intravedere cosa questo possa comportare, bisognerà prima fare una panoramica di quel che Bretton Woods II, col suo mix incendiario di debito, liquidità, crescita drogata ed eccessiva propensione al rischio, abbia prodotto sui mercati finanziari, in particolare quelli del credito.

Lo vedremo in una terza parte di questa analisi. Per ora, vorrei chiudere con un’osservazione che ci sarà essenziale da qui in avanti.

La liquidità come “stato della mente”

Ho fatto più volte uso del concetto di liquidità, che in finanza non è dei più univoci. Si tratta della disponibilità di moneta, in ultima istanza controllata dalle banche centrali? Sì, anche. E sulla base di questa definizione, ho mostrato graficamente di quale entità sia stata la bolla degli ultimi anni.

Ma questa accezione è diventata sempre più inadeguata nei mercati finanziari del XXI secolo, nei quali sono proliferati nuovi veicoli di credito e d’investimento poco o per niente regolati dalle banche centrali – quello che Paul McCulley di PIMCO ha per primo definito, nel suo complesso, come “shadow banking system” (sistema bancario ombra). Banche d’investimento, Siv (structured investment vehicles) e hedge fund sono i suoi attori protagonisti.

In questo nuovo contesto, cos’è dunque la liquidità? La definizione migliore mi pare sia di nuovo quella di McCulley, che l’ha chiamata uno “stato della mente”.

“Nei mercati dei capitali di oggi, integrati globalmente e regolati in modo leggero, la liquidità ha a che fare con l’appetito per il rischio di prestatori e prenditori di denaro, collettivamente considerati. E’ cioè una funzione della disponibilità da parte degli investitori di sottoscrivere rischio e incertezza con capitali presi a prestito e della disponibilità da parte dei risparmiatori di prestare denaro a investitori che intendono sottoscrivere rischio e incertezza con capitali presi a prestito.”

Vedremo come uno “stato della mente” reso euforico dalle irripetibili opportunità di crescita offerte ai mercati del credito da Bretton Woods II e dalle innovazioni di prodotto frutto di un’ingegneria finanziaria sempre meno frenata dal buon senso e/o dalle autorità, abbia finito per generare “liquidità” (e, per un certo periodo di tempo, profitti) che sfidano la più fervida immaginazione.

Ora che lo “squilibrio” di Bretton Woods II da “stabile” ha cominciato a farsi “instabile” (il mercato della casa americano è stato, in fin dei conti, il punto più debole di una catena planetaria, che avrebbe potuto iniziare a sfilacciarsi anche in altri punti), lo “stato della mente” è diventato ansioso e preoccupato da euforico che era.

Ha così preso avvio un processo inverso di contrazione della “liquidità” (e dei profitti, come dimostrano i tremendi buchi venuti a galla nelle trimestrali delle grandi banche americane) che, a una a una, finirà per afflosciare le tante bolle gonfiatesi in questi anni.

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6 pensieri su “Le banche, i mercati e la bolla del credito II

  1. PAP8-) in ha detto:

    Visto che è la prima volta che scrivo, innanzi tutto complimenti per il Blog!Sto trepidantemente aspettando il terzo capitolo della saga….ma quanto ce lo farai sudare ancora?:-)Ti auguro un buon 2008!Andrea

  2. Giacomo in ha detto:

    Davvero interessantissimo e…semplice anche per i non addetti ai lavori!Grazie e complimenti per la chiarezza e la professionalita’.PS: immediatamente aggiunto alla lista dei siti preferiti

  3. giuseppe bertoncello in ha detto:

    Vi ringrazio dei complimenti e mi scuso per il ritardo nel completare la “saga”. Non ce l’ho fatta a pubblicarla prima di Natale, come avrei voluto (si è ripetuto quello strano fenomeno per cui il tempo, nei giorni che precedono il Natale, subisce un’improvvisa accelerazione). Ho poi staccato la spina fino all’Epifania, dedicando le feste a moglie, figli, parenti, amici e…allo sci. Ora che la spina è stata riattaccata, la “saga” del credito dovrebbe arrivare a compimento in tempi molto brevi. Il canovaccio è già pronto.Intanto, ai sin troppo generosi lettori del blog faccio di cuore i migliori auguri di un sereno e proficuo anno nuovo.

  4. Francesco in ha detto:

    Un grazie di cuore a te che accompagni nel difficile mondo dell’investimento quasi come un padre per me che sono un giovane alle prime armi bisognoso di lezioni .Non posso inoltre che accodarmi ai commenti fatti , rimarcando come per chiarezza di esposizione efficacia di sintesi di contenuti e generosità di approfondimento la lettura del tuo blog è necessaria e unica e mi lascia in desiderio di altro . Non mi puoi consigliare ed indirizzare ANCHE a leggere altro ( anche giornali se è il caso )grazie ancora

  5. Giuseppe Bertoncello in ha detto:

    Francesco,ti ringrazio di cuore per i complimenti. Ma non esageriamo! Sono padre di due bambini di 7 e 5 anni, e so cosa significa. Nel blog, spero di confrontarmi con persone adulte e di essere messo anche alle strette – soprattutto dai più giovani…Mi chiedi consiglio su cos’altro leggere. Dipende dal tuo grado di formazione, dalla tua conoscenza delle lingue, dai tuoi obiettivi: tutte cose che non conosco.L’Investitore Accorto, come avrai visto, cita continuamente altri siti, libri e autori, ed è corredato da quasi 300 link a siti pubblici (o comunque con sezioni non a pagamento), tra i quali c’è, penso, il “meglio del meglio” che uno può trovare su Internet. Potresti passare la tua vita a trarre da lì le tue letture…Forse la mole di link è tale da suscitare imbarazzo più che curiosità (ci penserò, magari riducendo all’essenziale l’offerta di link). O forse la difficoltà è la lingua. Purtroppo, gran parte delle letture che mi sento davvero di consigliare sono in lingua inglese, mentre da noi il materiale di qualità è molto più raro (ed è questo uno dei motivi per cui mi sono imbarcato nell’avventura di questo mio blog). Tra i link che propongo in lingua italiana, ti suggerisco senz’altro Finanze.net assieme alla lettura (e rilettura) del “Piccolo libro” di Joel Greenblatt (a cui ho dedicato un lungo post).Vai poi a curiosare tra i siti italiani elencati nella sezione “Formazione dell’investitore”: ce ne sono diversi che offrono materiale di qualità, anche se a volte, forse, un po’ troppo “accademico.”Comunque, un consiglio che sempre dò a chi si presenta come un “principiante” nel mondo degli investimenti è di non avere fretta. Dedica tempo a formarti, a cercare di orientarti e capire. Utilizza magari gli strumenti che molti siti offrono per creare dei portafogli virtuali dove mettere alla prova le tue idee e verificarne la validità. Se cominci a impiegare risparmi veri, fallo con gradualità.Un cordiale saluto,Giuseppe Bertoncello

  6. Francesco in ha detto:

    Questo post alla luce dei fatti accaduti nell’ultima settimana sembra quasi “profetico”.
    Che dire complimenti e restiamo in attesa di nuovi post sull’attualità.

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